Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15748 del 23/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/06/2017, (ud. 20/04/2017, dep.23/06/2017),  n. 15748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3802-2013 proposto da:

R.R. (OMISSIS), G.D. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA POMPEO TROGO 42, presso lo studio

dell’avvocato PICONE GIUSEPPE, rappresentati e difesi dall’avvocato

ORLANDO MARIO CANDIANO;

– ricorrenti –

contro

D.L.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 35, presso lo studio dell’avvocato LISABETTA MIGNATTI,

rappresentato e difeso all’avvocato SCIPIONE SCORCIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1511/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 27/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

FATTO IN DIRITTO

Con atto di citazione notificato in data 18.01.1994 i coniugi G.D. e R.R. convennero innanzi al Tribunale di Bari D.L.N., titolare dell’omonima ditta di fabbricazione di pavimenti e di rivestimenti, per sentir dichiarare, ex art. 1492 c.c., la risoluzione del contratto di fornitura di mq 95 di tavelloni di cemento bianco e scaglie di marmo, affermando che il materiale fornito presentava vizi consistenti in numerose fessurazioni che lo rendevano inidoneo all’uso a cui era destinato, nonchè per sentir condannare il convenuto alla restituzione del prezzo pagato e al risarcimento del danno.

Il convenuto eccepiva la decadenza dall’azione di garanzia per intempestiva contestazione dei vizi e rilevava che il materiale era stato venduto allo stato grezzo e la posa in opera doveva essere conclusa con operazioni di stuccatura e levigatura, ma che non si era raggiunto un accordo in merito perchè le parti contraenti non concordavano su chi dovesse sostenere le relative spese.

Il Tribunale di Bari rigettò la domanda ritenendo che il vizio non era stato comunicato nel termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c.,e che, in ogni caso, esso non era sussistente.

La Corte d’Appello di Bari rilevò che il vizio era stato tempestivamente comunicato, poichè era emerso che il D.L. si era recato, su richiesta degli acquirenti, sul luogo in cui i tavelloni erano stati appena sistemati per constatare lo stato delle cose.

La Corte, però, confermò la sentenza di primo grado, di rigetto della domanda attrice sul rilievo che il vizio denunciato non era tale da incidere sulla utilizzabilità della cosa o sul suo valore.

Per la cassazione di detta sentenza propongono ricorso, con tre motivi, G.D. e R.R..

D.L.N. resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato, in prossimità dell’odierna adunanza in camera di consiglio, memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che se la Corte avesse valutato tutti i passi della ctu avrebbe concluso per l’esistenza dei difetti sui materiali in questione e che tali difetti esorbitavano notevolmente da analoghi difetti a volte presenti su identico materiale. I ricorrenti, inoltre, deducono che la Corte ha omesso qualsiasi statuizione in relazione alle osservazioni fatte alla ctu dal difensore e dal consulente tecnico di parte secondo cui le operazioni di sgrossatura, stuccatura, arrotatura e lucidatura non avrebbero consentito di eliminare i vizi esistenti.

Il motivo è inammissibile in quanto si risolve nella sollecitazione a operare una nuova valutazione, nel merito, delle acquisizioni istruttorie, estraneo al sindacato di legittimità.

Si osserva anzitutto che la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale(Cass. 20382/2016).

Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha specificamente preso in esame le risultanze della ctu e, sulla base della descrizione dei materiali ivi ciontenuta, ha ritenuto, con valutazione di merito adeguata, di dover considerare che i vizi esistenti erano tali da non incidere sull’utilizzabilità o sul valore del materiale.

Ne discende che non è ravvisabile la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., atteso che quando vi sia mera difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente il motivo di ricorso si risolve, come nel caso di specie, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Ss. Uu. 24148/2013).

In relazione alla censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti denunziano l’omessa statuizione sulle osservazioni fatte dal difensore e dal consulente tecnico di parte alla ctu.

Il vizio è inammissibile poichè esso, nei termini in cui è formulato, non censura l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le pani, ma evidenzia, piuttosto, una insufficiente motivazione, non più censurabile alla luce del nuovo disposto dell’art. 360 codice di rito, n. 5), comma 1, (Cass. Ss. Uu. n. 8053/2014), per non avere la Corte territoriale valutato in modo adeguato le risultanze istruttorie.

Occorre peraltro precisare che la Corte territoriale ha preso in esame le osservazioni formulate dal difensore e dal consulente tecnico di parte ma ha ritenuto, con valutazione di merito adeguata, di doverle disattendere, atteso che le stesse non risultano sono fondate sui dati oggettivi ma su mere allegazioni difensive prive di concretezza e specificità.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la illogica motivazione in relazione alla richiesta istruttoria ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte ha violato l’art. 115 c.p.c., comma 2, disattendendo le osservazioni fatte dal difensore e dal ctp, poichè tali osservazioni rientrano nel “notorio” acquisito alla comune esperienza. I ricorrenti, inoltre, deducono l’illogicità della motivazione della Corte, atteso che la stessa ha disatteso la richiesta di rinnovazione della CTU e di esperimento a campione e censurano la statuizione secondo cui le osservazioni del difensore e del ctp consistevano in “valutazioni” e non anche in dati oggettivi.

Il motivo è inammissibile per diversi profili.

In relazione alla censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, giova premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso al “fatto notorio”, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 2, attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito; pertanto, l’esercizio, sia positivo che negativo, di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ed egli non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo, invece, censurabile l’assunzione, a base della decisione, di un’inesatta nozione del notorio, che va inteso quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura (Cass. Civ. Sez. 3, sent 18/07/2011 n. 15715).

Nel caso in esame, pertanto, è inammissibile la censura dei ricorrenti che denunziano il mancato ricorso, da parte della Corte territoriale, al fatto notorio atteso che costituisce esercizio del potere di merito del giudice, non censurabile in tale sede di legittimità, la decisione di ricorrere o meno a un fatto notorio da porre a fondamento della decisione.

Del pari inammissibile la censura proposta in relazione all’art. 360, n. 5, con cui si denunzia non già l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ma si evidenzia, piuttosto, una insufficiente motivazione, non più censurabile alla luce del nuovo disposto dell’art. 360 codice di rito, comma 1, n. 5), (Cass. Ss. Uu. n. 8053/2014). Si osserva in ogni caso che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio non è censurabile in questa sede, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronuncia sul punto (Cass. 20227/2010).

Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano l’omessa pronuncia su una richiesta istruttoria, ai sensi dell’art. 360, nn. 4) e 5) deducendo che la Corte ha omesso qualsiasi statuizione in relazione alla richiesta di interrogatorio formale del convenuto e di prova testimoniale nonostante l’istanza fosse stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. Tale prova orale riguardava la circostanza che il D.L. si recava sul luogo in cui erano stati sistemati i tavelloni e riconosceva i difetti esistenti, circostanza che avrebbe consentito di superare l’eccezione di decadenza e la necessità di indagini tecniche.

Il motivo è infondato.

Con riferimento alla censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, è sufficiente rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Civ. Sez. 6^, ord del 05/07/2016, n. 13716).

In relazione alla censura formulata con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, si osserva che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, il mancato esame di un’istanza istruttoria può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione solo quando l’istanza attenga a circostanze che, con giudizio di certezza e non di mera probabilità avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata (Cass. Civ. Sez. L sent del 13/04/1996 n. 3494).

Nel caso di specie la doglianza si appalesa inammissibile per difetto di decisività.

Ed invero, come affermato dagli stessi ricorrenti, la richiesta prova orale aveva ad oggetto la circostanza che l’alienante si era recato, subito dopo l’installazione, sul luogo in cui era stato sistemato il materiale oggetto dell’acquisto ed aveva rilevato la presenza di vizi, circostanza che, se provata, avrebbe consentito di superare l’eccezione di decadenza e la necessità di indagini tecniche. Nessun riferimento è fatto nel ricorso alla possibilità che l’espletamento della prova orale, così come richiesta, avrebbe comportato una decisione diversa da quella adottata. E d anzi la possibilità di una decisione diversa a seguito dell’ammissione della prova orale deve, in ogni caso, escludersi poichè la Corte, in riforma della sentenza di primo grado, ha comunque disatteso l’eccezione di decadenza dalla garanzia ex art. 1490 ss c.c., ritenendo, a tal fine, sufficiente il riferimento alle dichiarazioni contenute nell’atto difensivo del D.L., e ciò assorbiva evidentemente la circostanza che con l’assunzione della prova si intendeva provare.

Il ricorso va dunque respinto ed i ricorrenti vanno condannati in solido alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 2.200,00 Euro, di cui 200,00 curo per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2017

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