Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15744 del 12/06/2019

Cassazione civile sez. un., 12/06/2019, (ud. 12/03/2019, dep. 12/06/2019), n.15744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di Sez. –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23079-2018 proposto da:

FARMACIA M. S.A.S. – DR.SSA G.M. & C., in

persona del socio accomandatario M.G., anche in proprio,

quale società cessionaria dell’Azienda in forza del conferimento da

parte della Farmacia M. della Dott.ssa M.U.,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati VINCENZO

COPPOLA ed IPPOLITA RIVA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TRESCORE BALNEARIO, REGIONE LOMBARDIA, ATS AGENZIA DI

TUTELA DELLA SALUTE DI BERGAMO, ORDINE DEI FARMACISTI DELLA

PROVINCIA DI BERGAMO, FARMACIA DR. A.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 471/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il

24/01/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/03/2019 dal Consigliere ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso in data 21 giugno 2012 la Farmacia M. della Dott.ssa M.U., una delle due farmacie esistenti nel Comune di (OMISSIS), impugnò la Delib. 23 aprile 2012, n. 25 con la quale la Giunta del predetto Comune aveva individuato la zona (località (OMISSIS)) dove collocare una nuova farmacia (la terza) ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 475, art. 2, comma 1, come sostituito dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 11, comma 1, lett. C).

La ricorrente censurò l’impugnata Delib., deducendo la violazione della norma appena indicata e lamentando l’irragionevolezza e il difetto di motivazione, in quanto, con l’atto impugnato, non si sarebbe tenuto conto nè del parametro dell’accessibilità del servizio farmaceutico anche da parte di quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate nè di quello dell’equa distribuzione delle farmacie sul territorio.

Si costituì il Comune di Trescore Balneario chiedendo il rigetto del ricorso.

Il TAR Lombardia – sez. distaccata di Brescia, rigettò il ricorso.

Avverso tale sentenza la Farmacia M. della Dott.ssa M.U. propose appello.

Gli appellati Comune di Trescore Balneario, Regione Lombardia, Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Bergamo, Farmacia Dott. A.P. e Ordine dei Farmacisti della Provincia di Bergamo non si costituirono in giudizio.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 471/2017, pubblicata il 24 gennaio 2018, rigettò il gravame e ordinò che quella sentenza fosse eseguita dall’autorità amministrativa.

Avverso la richiamata sentenza del Consiglio di Stato la Farmacia M. s.a.s. – Dott.ssa G.M. & C, in persona del socio accomandatario Dott.ssa M.G., costituita anche in proprio, quale società cessionaria dell’Azienda in forza del conferimento registrato al n. 186086/61588 dal Notaio Dott. J.P. F. di Bergamo da parte della Farmacia M. della Dott.ssa M.U., ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1 e dell’art. 110cod. proc. amm., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e all’art. 111 Cost., ultimo cpv., basato su un unico motivo e illustrato da memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, rubricato “Eccesso di potere giurisdizionale ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1 e dell’art. 110 cpa, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1 e all’art. 111 Cost., ultimo cpv., per la modifica oltre i limiti dell’interpretazione del D.L. n. 24 del 2012, art. 11 convertito con modificazioni con la L. n. 27 del 2012”, la ricorrente sostiene che, nel caso all’esame, sussisterebbe il lamentato eccesso giurisdizionale, in quanto il Consiglio di Stato non si sarebbe limitato ad applicare la norma esistente o a fornirne una propria interpretazione, ma avrebbe “creato” “una nuova norma fondata su criteri ispiratori differenti e contrari rispetto a quelli dettati dal legislatore, invadendo la sfera di attribuzione del legislatore” e “così determinando una denegata giustizia”.

In particolare, la ricorrente sostiene che la ratio della norma di cui all’art. 11 già indicato e pure richiamato dal Consiglio di Stato sarebbe “stata individuata nella finalità di garantire la maggiore accessibilità al servizio farmaceutico da parte della maggioranza degli abitanti del Comune, in un’ottica complessiva che considera l’intero territorio comunale, rispetto al quale, in concreto, va compiuta la valutazione sul grado di accessibilità all’assistenza farmaceutica”. Secondo la ricorrente, il legislatore avrebbe individuato i criteri ispiratori della normativa in parola nell’equa distribuzione del servizio sul territorio e nell’accessibilità del medesimo anche per quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate mentre il Consiglio di Stato avrebbe modificato tali criteri ispiratori, “creandone di nuovi, quali la “comodità di accesso e possibilità di frequentazione””.

Rappresenta, altresì, la ricorrente che, con riferimento al criterio della maggiore accessibilità, nella sentenza impugnata in questa sede, oltrepassando i suoi limiti e finendo nell’ambito legislativo, il Consiglio di Stato ha affermato che la decisione di collocare la nuova sede in una zona più popolosa e di futura espansione, grazie alla presenza di molteplici attività commerciali e servizi pubblici, “non sia confliggente con il dettato legislativo, complessivamente considerato” e tale statuizione sarebbe stata ulteriormente specificata laddove il Consiglio di Stato ha affermato che “in presenza di più zone non direttamente assistite a livello farmaceutico, non potendo il relativo servizio essere assicurato in tutte, la scelta più ragionevole è quella di ubicare la nuova farmacia nel luogo che, per comodità di accesso e possibilità di frequentazione, sia suscettibile di migliorare l’accessibilità del servizio in discorso per tutti gli abitanti del Comune”.

Quanto statuito – ad avviso della ricorrente – equivale a dire che – a condizioni di parità tra aree prive del servizio farmaceutico – la farmacia deve essere istituita “nel luogo che è già facilmente accessibile e maggiormente frequentato a danno degli abitanti residenti in zone di minor accesso e affluenza, in tal modo invadendo la sfera legislativa”.

Inoltre, evidenzia la ricorrente che, in relazione al criterio dell’equa distribuzione, che consiste “in plurimi fattori diversi dal numero dei residenti, quali in primo luogo l’individuazione delle maggiori necessità di fruizione del servizio che si avvertono nelle diverse zone del territorio, le correlate valutazioni di situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, le distanze tra le diverse farmacie”, il Consiglio di Stato ha ritenuto soddisfatto il requisito in parola, affermando che la zona prescelta eviterà che una cospicua parte del territorio comunale sia servita da un’unica farmacia, ovvero quella della ricorrente, e sarà più facilmente utilizzabile da parte degli utenti che potenzialmente vi convengono a prescindere dalla loro residenza.

Così ritenendo, secondo la ricorrente, il Consiglio di Stato avrebbe “avallato una zona”: a) la cui asserita maggiore necessità del servizio sarebbe stata individuata sulla base di un dato futuro ed incerto (la futura espansione del centro commerciale ivi presente) e non in forza della situazione abitativa attuale, b) in cui la necessità del servizio sarebbe già ampiamente soddisfatta dalla presenza della Farmacia della ricorrente posta a soli 1260 m., c) in cui la popolazione residente non sarebbe destinata a subire aumenti, essendo il polo scolastico e il centro commerciale ivi presenti mete di mero passaggio, d) in cui i clienti non residenti non avrebbero tratto alcun beneficio, essendo per questi indifferente raggiungere in auto la zona centrale del paese dove è ubicata a soli 1260 m la farmacia della ricorrente e dove a distanza di soli 200 m da questa si trova anche una seconda farmacia.

Ad avviso della ricorrente, la decisione del Consiglio di Stato oltrepasserebbe “i limiti invadendo la sfera del legislatore anche nella qualificazione del criterio dell’equa distribuzione in quanto avrebbe dovuto preferire una zona priva del servizio farmaceutico quale quella post a ovest del Paese indicata dalla ricorrente, anzichè quella prescelta che ha caratteristiche contrarie alla ratio normativa”.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Osserva il Collegio che il ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8 e dell’art. 362 c.p.c. e art. 110cod. proc. amm., è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione e, secondo la costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite, è, quindi, esperibile solo nel caso in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato l’ambito della giurisdizione in generale, esercitando la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, oppure, al contrario, negando la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non possa formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale, ovvero qualora abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione (pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale; o negandola o compiendo un sindacato di merito, pur trattandosi di materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo controllo di legittimità degli atti amministrativi, e invadendo arbitrariamente il campo dell’attività riservato alla, P.A. (v., ex plurimis, Cass., sez. un., 23 luglio 2015, n. 15476; Cass., sez. un., 29 dicembre 2017, n. 31226; Cass., sez. un., 30/03/2018, n. 8047).

1.3. Il Collegio non ignora che un orientamento di queste Sezioni Unite ha elaborato un concetto più ampio di giurisdizione, ritenendo sindacabili non solo le norme sulla giurisdizione che individuano “i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale”, ma anche quelle che stabiliscono “le forme di tutela” attraverso cui la giurisdizione si estrinseca, nei casi nei quali la violazione delle stesse comporta un diniego di giustizia, evocandosi, in sostanza il concetto di giurisdizione, c.d. “dinamico” (o “funzionale” o “evolutivo”), secondo cui, in sintesi, risulterebbe sindacabile anche la violazione di legge (sostanziale e/o processuale) in relazione alla giurisdizione, qualora sia conseguenza di un’interpretazione “abnorme o anomala” (Cass., sez. un., 20/05/2016, n. 10501), ovvero di uno “stravolgimento” (Cass., sez. un., 17/01/2017, n. 956) delle “norme di riferimento” (di rito o di merito, Cass., sez. un., 17/01/2017, n. 964; Cass., 11/05/2017, n. 11520), in particolare nel caso di violazione di norme sovranazionali (Cass. sez. un., 17/01/2017, nn. 956 e 953).

1.4. La Corte costituzionale, con la sentenza del 18 gennaio 2018, n. 6, ha ritenuto non corretta tale estensione della nozione del vizio di giurisdizione ed ha affermato che “l'”eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito (..) alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore, o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonchè a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici”.

Secondo la sentenza della Consulta appena richiamata, la concezione c.d. dinamica o evolutiva della giurisdizione, nella misura in cui riconduce ipotesi di errores in indicando o in procedendo ai motivi inerenti alla giurisdizione e comporta “una più o meno completa assimilazione dei due tipi di ricorso” previsti rispettivamente dell’art. 111 Cost., commi 7 e 8 “non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale” e, in una prospettiva di sistema, mette in discussione la scelta di fondo dei costituenti dell’assetto pluralistico delle giurisdizioni.

Ad avviso della Corte Costituzionale, il rifiuto di giurisdizione sindacabile è solo quello “in astratto” e giammai “in concreto”, pena l’invasione nella nomofilachia del giudice di vertice della giurisdizione speciale, cui solo è rimessa la cognizione degli errores in iudicando o in procedendo. A norma dell’art. 111 Cost., comma 8, quale supremo organo regolatore della giurisdizione, la Cassazione può soltanto vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione (v. Corte Cost. 12/03/2007, n. 77).

Con la pronuncia n. 6 del 2018, la Consulta ha, quindi, affermato che l'”eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, “va riferito… alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (c.d. invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (c. d. arretramento); nonchè a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici”. “Il concetto di controllo della giurisdizione, così delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri – ha aggiunto la Corte costituzionale -, non ammette soluzioni intermedie come quella… secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento””. Ha infatti precisato il Giudice delle leggi che “attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, su piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive”. La Consulta ha, quindi, affermato che, “alla stregua del così precisato ambito di controllo sui “limiti esterni” alla giurisdizione, non è consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti un’interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda”.

1.5. La sentenza della Corte costituzionale, nella parte sopra richiamata, benchè abbia dichiarato inammissibile la questione scrutinata, ha carattere vincolante, dato che detta pronuncia ha identificato gli ambiti dei poteri attribuiti alle differenti giurisdizioni dalla Costituzione, nonchè i presupposti ed i limiti del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, così decidendo una questione che involge l’interpretazione di norme costituzionali e l’identificazione dei confini tra poteri da queste stabiliti (con riguardo a quelli tra le giurisdizioni contemplate dal parametro), che non può non spettare alla Corte costituzionale, quale interprete ultimo delle norme costituzionali.

1.6. Precisato il contenuto del sindacato esperibile in questa sede, alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale richiamata, e ponendo l’attenzione sull’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, si osserva che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di queste Sezioni Unite, un siffatto vizio è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete. L’ipotesi non ricorre quando il Consiglio di Stato – come nella specie si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela. Tale operazione ermeneutica potrebbe dare luogo, eventualmente, ad un error in iudicando, ma non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (Cass., sez. un., ord., 15/07/2003, n. 11091; Cass., sez. un., 12 dicembre 2012, n. 22784; Cass., sez. un, 21 marzo 2017, n. 7157).

1.7. Nel caso all’esame, la ricorrente lamenta che il Consiglio di

Stato abbia esercitato un’attività di produzione normativa che non gli compete avendo “creato una norma” fondata su criteri ispiratori differenti e contrari rispetto a quelli dettati dal legislatore, invadendo la sfera di attribuzione di questi, avendo oltrepassato i limiti dell’interpretazione, così determinando una negata giustizia.

Risulta, invece, evidente che le censure proposte non investono questioni attinenti a motivi di giurisdizione ma si riferiscono a questioni di merito attinenti all’interpretazione di norme e all’applicazione di criteri da queste dettati che rappresentano il proprium della funzione giurisdizionale e non possono, dunque, integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, censurabile in questa sede, potendosi tutt’al più configurare un error in iudicando escluso, tuttavia, dal sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato. Resta, invece, estraneo alla fattispecie de qua ogni profilo relativo ad un preteso eccesso di potere giurisdizionale (Cass., sez. un., 12/12/2012. n. 22784; Cass., sez. un., 23/12/2014, n. 27341; Cass., sez. un., 31/05/2016, n. 11380; Cass. 12/04/2018, n. 9151).

2. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

3. Non vi è luogo a provvedere per le spese del presente giudizio di legittimità, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

4. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019

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