Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15743 del 23/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/06/2017, (ud. 20/04/2017, dep.23/06/2017),  n. 15743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15157-2013 proposto da:

N.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELLE BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

FERRANTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FRANCESCO MANILDO;

– ricorrente –

contro

EVO GROUP SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, BORGO PIO 44, presso lo studio

dell’avvocato STEFANO SACCHETTO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ROBERTA LUISA CAMPESE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 743/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2017 dal Consigliere Dott. LOMBARDO LUIGI GIOVANNI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– la vicenda oggetto del giudizio trae origine dal contratto preliminare stipulato il 24/12/2001, col quale N.L., titolare della ditta individuale R.I.O., promise di vendere alla società R.A.A.M. s.r.l. (poi Evo Group s.r.l.), un lotto di terreno con sovrastante capannone e dalla successiva impossibilità della promissaria acquirente di ottenere dal Comune di Venezia, nelle more della stipula del definitivo, la concessione edilizia per la ristrutturazione del fabbricato, necessaria all’uso cui doveva destinarlo;

– a conclusione dei giudizi di merito, la Corte di Appello di Venezia, in riforma della sentenza del locale Tribunale, accogliendo la domanda proposta dalla promissaria acquirente, dichiarò legittimo il recesso dal contratto preliminare esercitato dalla Evo Group s.r.l. e condannò il N. alla restituzione della somma ricevuta a titolo di caparra, maggiorata degli interessi legali;

– avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione N.L. sulla base di quattro motivi;

– la Evo Group s.r.l. ha resistito con controricorso;

– la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– il primo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte territoriale rilevato d’ufficio e in assenza di allegazione delle parti la sussistenza della presupposizione secondo cui il contratto preliminare era sottoposto alla condizione dell’ottenimento della concessione edilizia per la ristrutturazione del capannone) è infondato, in quanto sia nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado (cfr. pp. 40-41 del ricorso per cassazione, ove è riportato l’atto di citazione introduttivo) sia nell’atto di appello (cfr. pp. 66 del ricorso, ove è riportato l’atto di appello) la promissaria acquirente ha espressamente dedotto che l’accordo posto a base del preliminare era subordinato all’ottenimento, da parte del comune di Venezia, della concessione edilizia necessaria per eseguire le opere di ristrutturazione del capannone in modo da adeguarlo alle esigenze di impresa della società acquirente (commercializzazione di ricambi per auto), cosicchè non sussiste il denunciato vizio di extrapetizione, risultando invece l’interpretazione della domanda coerente con le deduzioni attoree relative sia al giudizio di primo grado che a quello di appello;

– il secondo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione alla ritenuta pattuizione tra i contraenti della clausola presupposta) è inammissibile, in quanto si riduce ad una censura di merito relativa alla ricostruzione del fatto e alla interpretazione del contratto (col quale la venditrice si obbligò a sottoscrivere gli atti necessari all’ottenimento della concessione edilizia per l’esecuzione delle opere necessarie a far fronte alle esigenze della parte acquirente), interpretazione che è incensurabile in sede di legittimità, quando – come nella specie – non risultano violati i canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e segg. c.c. e la motivazione della sentenza impugnata (nella specie esaustiva: cfr. p. 6-7) è esente da errori logici e giuridici (cfr., ex multis, Cass., Sez. L, n. 17168 del 2012; Sez. 2, n. 13242 del 2010);

– il terzo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la Corte territoriale ritenuto la nullità della clausola presupposta nonostante che l’evento “ottenimento della concessione edilizia” fosse dipendente dall’attività di una delle parti e fosse – ove non conseguibile – impossibile o illecito) è infondato, in quanto – secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi – in tema di contratto, le parti possono assumere l’evento consistente nella “condicio iuris”, che è un requisito necessario di efficacia del negozio, alla stessa stregua di una “condicio facti”, assoggettando la prima a regolamentazione pattizia (pur non potendola superare o eliminare in forza di successivi accordi o per loro inerzia); ne consegue che, essendo legittima la previsione di un limite temporale all’avverarsi della “condicio iuris”, il venir meno, nel termine stabilito, dell’elemento (esterno) legalmente necessario per l’efficacia del contratto, ne comporta l’invalidità (nella specie, le parti avevano subordinato l’efficacia del contratto preliminare di vendita di un bene immobile al rilascio – mai avvenuto – della concessione edilizia entro un dato termine) (Cass., Sez. 2, n. 2863 del 09/02/2006);

– il quarto motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto giustificato il recesso, nonostante che l’attrice non avesse allegato tempestivamente – nei termini di cui agli artt. 163, 180 e 183 c.p.c. – di intendere utilizzare l’edificio per l’esercizio dell’attività commerciale di vendita al pubblico di ricambi d’auto) è infondato, in quanto, per un verso, con l’atto di citazione introduttivo venne espressamente allegato che la società attrice “si determinò alla sottoscrizione del preliminare (…) solo ed esclusivamente al fine di realizzare sull’immobile de quo un edificio ad uso commerciale destinato alla vendita delle merci commercializzate e al deposito delle stesse” (v. atto di citazione riportato a pp. 40-41 del ricorso), per altro verso risulta accertato (sulla base della disposta C.T.U.) che il capannone, senza la ristrutturazione edilizia, avrebbe potuto essere utilizzato a fini commerciali della promissaria acquirente solo nella misura del 40% dei suoi spazi;

– la memoria depositata dal difensore non offre argomenti nuovi rispetto ai motivi di ricorso, essendo meramente reiterativa degli stessi;

– il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo;

– ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 – quater, (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) per il raddoppio del versamento del contributo unificato;

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2017

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