Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15740 del 23/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/06/2017, (ud. 03/04/2017, dep.23/06/2017),  n. 15740

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al n.r.g. 15139/12) proposto da:

C.P., (c.f.: (OMISSIS)); A.G. (c.f.:

(OMISSIS)), parti entrambe rappresentate e difese, per procura

speciale a margine del ricorso, dagli avv.ti Antonio Romano e

Domenica Amaddeo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.

Luigi Condemi Morabito in Roma, via E. Tazzoli n. 6;

– ricorrenti –

contro

Comune di LAMEZIA TERME (p.iva: (OMISSIS)), in persona del sindaco

pro tempore prof. S.G., a ciò abilitato dalla Delib.

Giunta 20 giugno 2012, n. 241; rappresentato e difeso, in forza di

procura a margine del controricorso, dall’avv. Salvatore Leone in

via congiunta e disgiunta con gli avv.ti Francesco Carnovale Scalzo

e Caterina Restuccia; con domicilio eletto in Roma, via Camesena n.

46, presso lo studio dell’avv. Francesco Mirenzi;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n.1326/2011 della Corte di Appello di Catanzaro,

del 29 novembre – 28 dicembre 2011, notificata il 2 aprile 2012;

Udita la relazione di causa, svolta all’udienza del 3 aprile 2017 dal

Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

udito l’avv. Vincenzo Visciglia, con delega dell’avv. Domenico

Amaddeo, per le parti ricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.P. e A.G. con atto notificato il 31 maggio 1994 citarono il Comune di Lamezia Terme innanzi all’omonimo Tribunale per sentir dichiarare che erano proprietari di un appezzamento di terreno, adiacente alla via pubblica e confinante con un fabbricato di proprietà ed oggetto di acquisto da terzi – assieme a maggior consistenza -; l’interesse a tale accertamento nasceva dal fatto che il 9 dicembre dell’anno precedente era passata in giudicato la sentenza del Pretore di Lamezia Terme che li aveva riconosciuti colpevoli di aver occupato detta porzione di terreno – che costituiva il terrapieno del loro giardino -, qualificandola come strada pubblica, così sottraendola al Comune che in quel procedimento si era costituito parte civile; in tale sede erano anche stati condannati a restituire detto appezzamento all’ente territoriale; specificavano che non poteva affermarsi la sussistenza di giudicato relativo all’ accertamento della natura demaniale del predio, in quanto espressamente il giudice penale aveva affermato che la valutazione compiuta in merito all’appartenenza o meno all’ente territoriale era stato compiuto incidenter tantum, senza neppure identificare specificamente la porzione oggetto di sottrazione. In via subordinata chiesero che venisse accertato il venir meno della demanialità del terreno sia in considerazione della situazione dei luoghi, sia in relazione alla condotta dell’ente esponenziale che avrebbe dimostrato in modo univoco la volontà dell’amministrazione comunale di sottrarre il bene alla sua – presunta – destinazione all’ uso pubblico. Il Comune si costituì eccependo l’inammissibilità della domanda per intervenuto giudicato sulla questione civile trattata in sede penale, sostenendo altresì la infondatezza della pretesa avversaria e chiedendo comunque l’accertamento della natura pubblica di strada del lotto compreso tra le particelle (OMISSIS) (casa di abitazione dei C.) e (OMISSIS) (identificativa del giardino annesso) del foglio di mappa (OMISSIS), con la conseguente condanna alla restituzione alla mano pubblica, alla rimozione delle opere costruite su detta striscia di terreno ed al risarcimento del danno da occupazione.

L’adito Tribunale, pronunciando sentenza 1678/2008, accolse la domanda dei coniugi C., da un lato ritenendo che non si sarebbe formato alcun irretrattabile accertamento nella sede penale in merito alla natura privata o demaniale dell’ex tronco stradale e dall’altro statuendo che il Comune non avrebbe provato in alcun modo la sussistenza della funzione viaria della porzione di terreno contesa e che, invece, sarebbe positivamente emerso il mancato utilizzo e la mancata formale intestazione a tal scopo della porzione di terrapieno in oggetto; quanto poi alla sussistenza della proprietà in capo agli attori, il primo giudice ritenne che, trattandosi di azione di accertamento e non già di revindica, gli stessi fossero gravati da un minor onere dimostrativo che, nel caso di specie, doveva dirsi ampiamente assolto mediante la produzione degli atti di acquisto, propri (atto a rogito notar N.F. del 29 dicembre 1983) e dei precedenti danti causa (atti notar M.F. del 2 maggio 1974 e atto notar C. del 6 febbraio 1968).

A diverse conclusioni pervenne la Corte di Appello di Catanzaro, adita dal Comune, che con sentenza n 1326 del 2011, pubblicata il 28 dicembre 2011 e notificata il 2 aprile 2012, accolse l’eccezione di giudicato – che ritenne limitata alla diversa questione della sdemanializzazione tacita del tronco stradale (scarpata) occupato dai C. – e su tale base respinse anche il motivo attinente all’acquisto per usucapione, giudicando che ciò avrebbe dovuto esser fatto valere prima del passaggio in giudicato della statuizione sui capi civili in sede penale, rientrando la relativa questione nell’ambito del “deducibile” in detta sede.

Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso i coniugi C., sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria; ha resistito il Comune di Lamezia Terme con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1 – Con il primo motivo si assume: che la Corte di Appello avrebbe dato erronea applicazione dell’art. 654 c.p.p.; avrebbe altresì violato l’art. 2, comma 2, dello stesso codice di rito; sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 2909 c.c., estendendo l’ambito oggettivo della pronuncia del Pretore penale anche all’ assenza della sdemanializzazione; avrebbe infine adottato un’argomentazione viziata sotto tutti e tre gli aspetti del vizio di motivazione contemplati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione anteriore alle modifiche apportate con il D.L. n. 83 del 2012, convertito con modifiche nella L. n. 134 del 2012.

p. 1.a – Sostengono le parti ricorrenti che l’art. 654 c.p.p. – che disciplina l’efficacia di giudicato degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice penale rispetto ai giudizi civili o amministrativi in cui si controverta della sussistenza di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo il cui riconoscimento dipenda dall’accertamento degli stessi fatti materiali che formarono oggetto del giudizio penale (sempre che i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa) – debba trovare applicazione ai soli fatti materiali intesi nella loro realtà fenomenica, prescindendo da qualsiasi valutazione che di essi sia stata compiuta dal giudice penale, con riferimento quindi al solo elemento oggettivo del reato (condotta; evento e nesso di causalità tra la prima ed il secondo), con esclusione dunque dell’antigiuridicità e della colpevolezza, delle valutazioni di legittimità ed illegittimità e di tutte quelle questioni che, innestandosi sui fatti accertati, hanno rilevanza sul piano della qualificazione giuridica dei rapporti controversi, il cui esame dunque va compiuto in via autonoma dal giudice civile per le finalità proprie della materia innanzi al medesimo controversa.

p. 1.b – Le parti ricorrenti traggono dall’applicazione di tali principi la conclusione che nella fattispecie non vi sarebbe stato nessun vincolo accertativo per il giudice civile, atteso che, mentre il fatto materiale posto a fondamento del procedimento per occupazione abusiva del suolo pubblico era costituito dall’asserita annessione ed asservimento di una porzione di strada pubblica comunale, nel giudizio civile invece il fatto posto a fondamento della pretesa in ordine al riconoscimento della piena proprietà era ricondotto al rogito di acquisto del 29 dicembre 1983 e, in subordine, al possesso del tronco stradale “da tempo immemorabile” da parte dei danti causa dei ricorrenti.

p. 1.c – In via subordinata sostengono poi gli stessi che, se anche si fosse voluto far rientrare la demanialità del terrapieno nell’oggetto dell’accertamento facente stato nel giudizio civile, a tal scopo sarebbe stato necessario un corredo probatorio ben diverso da quello utilizzato in sede penale, dovendosi riscontrare tutti gli indici sintomatici di appartenenza al demanio stradale e non già rifacendosi solo alle risultanze della planimetria catastale.

p. 1.d – Sostengono infine che neppure sarebbe stato conferente – al fine di sostenere la improponibilità della domanda per effetto del giudicato – il rilevare che la condanna alla restituzione della porzione del terrapieno accorpato avrebbe comunque fatto stato ai sensi dell’art. 2909 c.c., atteso che, così opinando, la Corte calabrese avrebbe in sostanza attribuito valore autonomo a detta condanna mentre la stessa dipendeva dal valore vincolante da attribuire all’accertamento in merito alla demanialità del lotto.

p. 2 – Con il secondo motivo le medesime censure di violazione di legge nonchè la denuncia dell’esistenza di una contraddittorietà e di “perplessità” nella motivazione adottata dal giudice dell’impugnazione sono poste a base del sindacato in merito all’estensione della succitata causa di improponibilità anche alle subordinate domande di usucapione del bene di cui si assumeva la tacita sdemanializzazione, atteso che espressamente il giudice penale, nel ritenere – in ciò contrastando le conclusioni del perito penale espressamente officiato allo scopo – insussistenti gli indici sintomatici della dismissione della funzione di transito pubblico, aveva espressamente indicato che tale accertamento era compiuto solo incidenter tantum: da ciò sarebbe derivata l’erroneità della decisione della Corte distrettuale che, pur dando atto del carattere incidentale dell’accertamento, tuttavia aveva ritenuto che ogni sindacato in merito (all’intervenuta usucapione su bene sdemanializzato) avrebbe dovuto essere proposto nella sede penale, verificandosi altrimenti la stabilizzazione della relativa statuizione, stante il principio che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile.

p. 3 – I motivi sono infondati, con le precisazioni che seguono.

p. 4 – I principi espressi in materia di rapporti tra giudizio penale e civile debbono essere condivisi ma con una importante precisazione: allorchè si sia introdotta nel giudizio penale una azione civile (di restituzione) e una volta accertato che l’antigiuridicità del fatto – demanialità della porzione di strada – forma il presupposto sia della condanna penale sia della fondatezza dell’azione civile, allora, nel successivo giudizio civile in cui si controverta innanzi tutto della riconduzione al demanio stradale del bene oggetto di azione di accertamento di proprietà privata, l’accertamento compiuto in sede penale acquista una valore che va al di là del semplice riscontro della qualitas rei necessaria per verificare il presupposto oggettivo della incolpazione, assumendo anche il valore di presupposto per la domanda di restituzione.

p. 4.1 – Sul punto peraltro va messo in rilievo che, discutendosi di un giudicato sui capi civili della sentenza, non può più esser sindacato il risultato raggiunto in merito all’originaria destinazione pubblica della strada, facendo leva sulla insufficienza del corredo probatorio.

p. 4.2 – I profili attinenti alla motivazione sono privi di adeguata articolazione, idonea a far emergere uno qualsiasi dei vizi illustrati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, richiamati peraltro in maniera indifferenziata, non sottraendosi dunque il relativo vizio, ad un giudizio di inammissibilità.

p. 5 – Quanto affermato in merito al valore preclusivo di un diverso accertamento circa la demanialità originaria del terrapieno, vale anche per l’accertamento “incidentale” della sdemanializzazione tacita in quanto, se è vero che il Pretore qualificò specificamente come incidentale detto accertamento, ciò non può vincolare l’interprete in quanto la sdemanializzazione stessa costituiva una circostanza oggettiva di elisione dell’antigiuridicità della condotta e, in relazione ai capi civili, condizione per l’accoglimento o la reiezione della domanda di restituzione: quindi il suo accertamento non poteva che essere compiuto in via principale. L’errore di motivazione sul punto compiuto dal giudice penale, non essendo limitato al capo penale della sentenza, avrebbe dovuto essere sindacato autonomamente dagli imputati a valere anche per il rigetto dell’azione civile.

p. 6 – Al rigetto del ricorso consegue, secondo le regole della soccombenza, la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese di lite, secondo la liquidazione descritta nel dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento in solido delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.500 (millecinquecento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 (duecento), ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione della Corte di Cassazione, il 3 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2017

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