Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1574 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/01/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 26/01/2021), n.1574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3832-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.S., L.F., L.L., LA.FE.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BOCCARDO 26/A, presso lo

studio dell’avvocato GENNARO FREDELLA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CIRIACO GERARDO DANZA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 343/2011 della COMM.TRIB.REG. della Puglia

SEZ.DIST. di FOGGIA, depositata il 20/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 343/25/2011, depositata il 20 dicembre 2011 dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Foggia, con la quale era stato rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza del giudice di primo grado, così confermando l’annullamento degli avvisi di accertamento notificati ai contribuenti, soci della Covib s.r.l., società a ristretta base sociale.

Ha riferito che, a seguito della ripresa a tassazione dei maggiori redditi accertati in capo alla società relativamente all’anno d’imposta 2003, erano stati contestati ai soci maggiori redditi di partecipazione. I soci avevano impugnato gli atti impositivi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Foggia, che, previa riunione dei singoli procedimenti, aveva accolto i ricorsi con sentenza n. 195/03/2008. L’appello dell’Agenzia era stato rigettato dalla Commissione tributaria regionale con la decisione ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale, verificato che l’avviso di accertamento nei confronti della società era stato annullato dalla medesima Commissione, ha ritenuto di dover conseguentemente rigettare l’impugnazione dell’Ufficio per il venir meno del presupposto impositivo (il maggior reddito sociale) degli accertamenti nei confronti dei soci.

L’Agenzia ha censurato la sentenza con due motivi:

con il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè il giudice regionale non ha provveduto a sospendere il giudizio, nonostante la controversia sull’avviso di accertamento indirizzato alla società non fosse stata ancora decisa con sentenza definitiva;

con il secondo per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver attribuito di fatto valore di cosa giudicata ad una sentenza non definitiva.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale provvedimento.

Si sono costituiti i contribuenti, che hanno sollevato questioni di inammissibilità del ricorso con riguardo al “giudicato” intervenuto su questioni già risolte con esito favorevole in due gradi di giudizio, alla novità delle questioni introdotte in sede di legittimità, al difetto di procura conferita all’Avvocatura dello Stato, alla carenza di autentica della firma del Direttore provinciale dell’Agenzia delle entrate, alla mancanza della richiesta alla Commissione tributaria regionale di inoltro del fascicolo d’ufficio; al mancato deposito di copia della sentenza impugnata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Vanno preliminarmente esaminate le questioni di inammissibilità sollevate dai controricorrenti, e tra esse quelle indicate come subordinate, che invece sul piano processuale afferiscono alla regolarità del ricorso e alle modalità della sua introduzione. Esse sono tutte infondate.

E’ infondata la prima ragione, perchè l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, deve avere ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, del quale però non va fatta specifica menzione nel ricorso, atteso che l’art. 366 c.p.c., n. 5, inserendo tra i contenuti necessari del ricorso “l’indicazione della procura, se conferita con atto separato”, fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello ius postulandi, peraltro, non necessario quando il patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato, e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore (Cass., 4/11/2016, n. 22434; 5/07/2011, n. 14785; 16/05/2007, n. 11227).

E’ infondata la seconda, perchè non vi è necessità, conseguentemente, di esternare la procura alle liti affidata all’Avvocatura.

Sono infondate la terza e la quarta ragione di inammissibilità del ricorso, atteso che risulta tanto il deposito di copia della sentenza impugnata, quanto la richiesta alla Commissione tributaria regionale di trasmissione del fascicolo d’ufficio.

Sono infondate anche le altre due questioni. Quanto alla inammissibilità del ricorso con riguardo al “giudicato” intervenuto su questioni già risolte con esito favorevole in due gradi di giudizio, essa è manifestamente irrilevante con riferimento ai vizi processuali da cui l’Agenzia delle entrate lamenta essere affetta la decisione. Quanto alla novità delle questioni introdotte in sede di legittimità, è altrettanto evidente la sua irrilevanza per il contenuto, processuale, del motivo d’impugnazione.

Esaminando ora il ricorso dell’Ufficio, il primo motivo è fondato.

Con esso l’Ufficio ha lamentato che il giudice regionale non abbia provveduto alla sospensione del processo, ai sensi dell’art. 295 c.c., nonostante mancasse una statuizione definitiva sull’accertamento del maggior reddito contestato alla società.

Con orientamento ormai consolidato questa Corte ha affermato che la sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. è applicabile anche al processo tributario qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto al giudicato (Cass., 08/02/2012, n. 1865; 30/11/2012, n. 21396; 20/09/2017, n. 21765). E poichè si è pure chiarito che l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, in ipotesi come quelle riferibili alla contestazione di utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano, si è anche affermato che non ricorrendo, come invece accade per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, quello relativo al maggior reddito accertato in capo al socio deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c., applicabile nel giudizio tributario in forza del generale richiamo del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1 (Cass., 31/01/2011, n. 2214). La sospensione pertanto s’impone ogni qual volta vi sia pendenza separata di procedimenti relativi all’accertamento del maggior reddito contestato ad una società di capitali e di quello di partecipazione conseguentemente contestato al singolo socio, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa nei confronti della società (Cass., 31/10/2014, n. 23323; cfr. anche 07/03/2016, n. 4485). I principi dispensati riguardano dunque non solo ipotesi di controversie su contestazioni di utili extracontabili, ma più in generale tutti i casi di contestazioni rivolte alla compagine sociale, che siano relativi ai maggiori redditi derivanti da ricavi non dichiarati o da costi non sostenuti.

Ebbene, nella sentenza impugnata il giudice regionale si è limitato a dichiarare che nel giudizio pendente tra la società Covib s.r.l. e l’Agenzia delle entrate la Commissione tributaria regionale aveva accolto il ricorso della contribuente, annullando l’avviso di accertamento. A tale riscontro ha fatto seguire, quale conseguenza, “che anche l’appello all’odierno scrutinio deve essere rigettato per il venir meno del presupposto impositivo di maggior reddito di partecipazione in capo ai singoli soci, per inesistenza del maggior reddito accertato in capo alla società”. Così decidendo, e pur nella consapevolezza che la statuizione intervenuta tra Ufficio e società contribuente non fosse definitiva e dunque non fosse passata in giudicato, il giudice regionale non ha tenuto conto dei principi di diritto sopra illustrati. Egli infatti doveva considerare che l’assenza di definitività dell’accertamento costituente l’antecedente logico-giuridico (controversia tra società e Agenzia delle entrate in ordine al maggior reddito sociale) impediva di decidere sulle questioni afferenti l’odierna controversia, e che invece ricorrevano i presupposti per provvedere alla sospensione necessaria del processo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1.

L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo.

La sentenza va cassata e il giudizio va rinviato alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, che in altra composizione deciderà secondo i principi di diritto enunciati, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la decisione e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Foggia, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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