Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15739 del 18/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/07/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 18/07/2011), n.15739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19330-2007 proposto da:

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato DI PIERRO NICOLA, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati RUBENS ESPOSITO,

TREVISAN MAURIZIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PASUBIO 4,

presso lo studio dell’avvocato D’ERRICO CARLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato BONACCORSO FRANCESCA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 204/2007 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/04/2007 R.G.N. 37/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato BONACCORSO FRANCESCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Venezia ha respinto l’appello proposto dalla Rai Radiotelevisione Italiana spa avverso la sentenza del Tribunale di Venezia, che aveva dichiarato il diritto di D.S.M. alla qualifica di operatore di ripresa a decorrere dal 1.6.1995, condannando la società a corrispondergli le relative differenze retributive. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta ritenendo che la prova testimoniale espletata nel corso del giudizio di primo grado avesse confermato l’espletamento da parte del lavoratore delle mansioni di “operatore di ripresa”, consistenti nella effettuazione di riprese elettroniche e cinematografiche non complesse e di tutti i compiti di supporto della ripresa, piuttosto che quelle di “specializzato di ripresa”, qualifica che gli era stata attribuita dalla Rai, consistenti, queste ultime, nella installazione, esercizio e manutenzione dell’apparecchiatura di ripresa e di registrazione, nonchè delle apparecchiature portatili per riprese audio semplici.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Rai Radiotelevisione Italiana spa affidandosi a quattro motivi di ricorso cui resiste con controricorso D.S.M.. La società ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si deduce la contraddittorietà della motivazione relativamente al punto in cui è stata negata la decisività di alcune deposizioni testimoniali e il conseguente “difetto di motivazione sulla mancata confutazione dell’assunto del giudice di prime cure circa la pretesa conferma testimoniale delle ragioni del D.S.”. La Corte territoriale avrebbe, in sostanza, affermato che alcune deposizioni testimoniali sarebbero state in astratto idonee a rovesciare la decisione del giudice di primo grado, ma ne avrebbe disconosciuto la rilevanza sulla base di una errata lettura di alcune dichiarazioni rese dagli stessi testimoni, per quanto riguarda in particolare la loro diretta conoscenza dei fatti di causa.

2.- Con il secondo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2103 e 2095 c.c. e si chiede a questa Corte di stabilire se “nell’indagine sul fondamento della domanda ex art. 2103 c.c. occorre in particolare verificare che l’assegnazione alle mansioni superiori sia stata piena, nel senso che abbia determinato lo svolgimento, in via assolutamente prevalente e continuativa, delle mansioni previste come pregnanti e caratteristiche dalla declaratoria contrattuale della superiore qualifica, in base al ccnl Rai del 9.5.1990 … che definisce le declaratorie dello specializzato di ripresa di 1^ livello (cl. 6) e dell’operatore di ripresa di 4^ livello classe 5 – e che abbia inoltre comportato l’assunzione della responsabilità e l’esercizio dell’autonomia proprie della corrispondente (superiore) qualifica”.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, laddove svolge erroneamente il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore, ex artt. 2103 e 2095 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, riproponendo in sostanza le stesse censure svolte con il secondo motivo sotto il profilo del vizio di motivazione.

4.- Con il quarto motivo si deduce l’esistenza di un difetto di motivazione con riferimento ad un accordo intervenuto tra l’azienda e il lavoratore dopo i fatti per cui è causa, accordo con il quale è stata attribuita al lavoratore la qualifica di “capo squadra degli specializzati di ripresa” e dal quale, secondo la Rai, dovrebbe trarsi argomento per dedurre che il D.S. aveva ormai rinunciato alla qualifica superiore.

5.- Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha più volte affermato che, per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (cfr. ex plurimis Cass. 21249/2006, Cass. 14973/2006, Cass. 9368/2006, Cass. 11853/97, Cass. 4310/97, Cass. 3782/97). In altri termini, la decisività richiesta dall’art. 360 c.p.c., n. 5 per integrare il vizio di motivazione è costituita dalla potenziale idoneità di un elemento, risultante dal processo e non sottoposto ad adeguata critica da parte del giudicante, a determinare una decisione diversa, atteso che la decisione deve essere il risultato necessario di un percorso volto ad escludere ogni alternativa e che la motivazione è la descrizione di questa necessità, sia in positivo, attraverso l’esplicitazione degli elementi interni al ragionamento del giudicante, sia in negativo, attraverso la critica di elementi di natura materiale, logica o processuale che, rimasti estranei al ragionamento del giudice, sarebbero stati idonei a determinare una decisione diversa da quella adottata (Cass. 3183/99). Infatti, se il vizio di motivazione per omessa considerazione di punto decisivo fosse configurabile sol per il fatto che la circostanza di cui il giudice di merito ha omesso la considerazione, ove esaminata, avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione del fatto diversa da quella adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di motivazione per insufficienza o contraddittorietà fosse configurabile sol perchè su uno specifico fatto appaia esistente una motivazione logicamente insufficiente o contraddittoria, senza che rilevi se la decisione possa reggersi in base al suo residuo argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 si risolverebbe nell’investire la Corte di cassazione del controllo sic et simpliciter dell’iter logico della motivazione, del tutto svincolato dalla funzionalità rispetto ad un esito della ricostruzione del fatto idoneo a dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella fase di merito (cfr. ex plurimis Cass. 22979/2004).

Nella specie, non sussistono le condizioni per ritenere che le risultanze istruttorie di cui si lamenta l’omessa valutazione sarebbero state idonee a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento dei giudici di merito. La ricorrente non riporta, anzitutto, nel ricorso per cassazione il contenuto integrale delle testimonianze in questione, non consentendo dunque alla Corte un effettivo riscontro della decisività di tali risultanze istruttorie.

Nè un riscontro in tal senso potrebbe trarsi, come si afferma nel ricorso per cassazione, dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, poichè la Corte territoriale si è limitata ad evidenziare la mera potenzialità delle due testimonianze a “rivedere la decisione del primo giudice”, senza per ciò stesso affermarne una forza dimostrativa tale da poter sovvertire, nell’ambito degli elementi probatori risultanti dal processo, le sorti della controversia. Anche a voler ritenere l’esistenza degli “errori di lettura” che vengono addebitati alla Corte di merito, non potrebbe ignorarsi, inoltre, che la deposizione del primo teste indicato nel ricorso per cassazione, per quanto se ne desume dalla motivazione della sentenza impugnata, resta comunque connotata da elementi di estrema genericità e che, sempre stando alla motivazione della decisione della Corte territoriale, non impugnata sullo specifico punto, le presenze del secondo teste presso la sede di lavoro del D. S. sarebbero state solo “limitate e sporadiche”, restando quindi sostanzialmente confermato, anche per questa via, il giudizio espresso dal giudice d’appello in ordine alla minore attendibilità di quest’ultima deposizione.

Le censure espresse con il primo motivo devono essere pertanto rigettate.

6.- Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Giova premettere che, secondo il costante insegnamento della S.C., l’attribuzione al lavoratore della qualifica corrispondente alle mansioni svolte deve avvenire seguendo un procedimento logico articolato in tre fasi successive, occorrendo accertare in fatto le attività concretamente svolte dal lavoratore, individuare poi la qualifica rivendicata e le mansioni alla stessa riconduciteli secondo la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva, e verificare infine che le prime corrispondano a queste ultime (cfr. ex plurimis Cass. 5128/2007, Cass. 18214/2006, Cass. 3069/2005, 17561/2004, Cass. 5942/2004). A tal proposito, si è precisato che, ai fini della determinazione dell’inquadramento spettante al lavoratore alla stregua delle qualifiche previste dalla disciplina collettiva, il giudice del merito deve dapprima identificare le qualifiche o categorie, interpretando le disposizioni collettive secondo i criteri di cui all’art. 1362 ss. c.c.; deve poi accertare le mansioni di fatto esercitate e deve infine confrontare le categorie o qualifiche così identificate con le mansioni svolte in concreto dal lavoratore.

Di queste, mentre la prima operazione logica può essere censurata in sede di legittimità anche per violazione dei canoni ermeneutici anzidetti, le altre due operazioni logiche, che attengono ad apprezzamenti di fatto, sono censurabili solo per vizi di motivazione, escluso peraltro che entrambe le censure possano fondarsi sulla mera deduzione da parte del ricorrente di un convincimento opposto a quello del giudice di merito (Cass. 26234/2008, Cass. 26233/2008, Cass. 17896/2007, Cass. 11037/2006, Cass. 2174/99, Cass. 9874/98, Cass. 5899/91). L’accertamento del giudice del merito in ordine alla corrispondenza delle mansioni svolte dal lavoratore a quelle proprie della qualifica riconosciutagli si risolve, invero, in una valutazione di fatto, che è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e rispettosa dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (cfr. ex plurimis Cass. 18214/2006, Cass. 1093/2003, Cass. 11461/2000, Cass. 8652/99, Cass. 3528/99, Cass. 3195/99, Cass. 12219/98, Cass. 6344/98, Cass. 5684/98, Cass. 4380/97, Cass. 1027/97).

7.- Nella specie, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, il giudice d’appello, nel riconoscere il diritto del lavoratore alla qualifica di operatore di ripresa, si è rigorosamente attenuto ai principi sopra indicati, accertando le mansioni svolte in concreto dal lavoratore e confrontandole con le qualifiche previste dal contratto collettivo, ed in particolare richiamando il contenuto di diverse deposizioni testimoniali dalle quali era risultato che il D.S., nel periodo per cui è causa, aveva abitualmente sostituito gli operatori di ripresa, i quali, in ragione della scarsità del loro numero, erano spesso chiamati a lavorare fuori dallo studio, evidenziando inoltre che, anche quando lavorava utilizzando le telecamere fisse in occasione della messa in onda di telegiornali o di tribune politiche, sempre in assenza dell’operatore di ripresa, svolgeva attività che, se pure non particolarmente complesse (come, del resto, previsto dalla declaratoria della qualifica di operatore di ripresa), erano pur sempre riconducibili a quelle proprie della qualifica rivendicata, trattandosi comunque di interventi necessari “per personalizzare la ripresa in considerazione delle caratteristiche del soggetto da riprendere” (pag. 7 della sentenza impugnata). Come si è detto, si tratta di accertamenti che si risolvono in una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; d’altra parte, a fronte di una sentenza così motivata, la ricorrente non ha denunciato la violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale nell’interpretazione della disciplina collettiva, limitandosi a evidenziare l’esistenza di un errore nella lettura della declaratoria della qualifica dell’operatore di ripresa che viene fatta dalla Corte territoriale (errore che, peraltro, non ha alcuna rilevanza nell’economia della decisione), e finendo per proporre una critica della interpretazione operata dalla Corte territoriale che investe unicamente il merito della valutazione della stessa Corte ed è perciò inammissibile in sede di legittimità. A tal proposito, va rimarcato che le censure concernenti la motivazione devono avere ad oggetto l’obiettiva insufficienza di essa o la contraddittorietà del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione accolta, potendo il sindacato di legittimità riguardare esclusivamente la coerenza formale della motivazione, ovvero l’equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, sicchè non può ritenersi idonea ad integrare valido motivo di ricorso per cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che si risolva solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte (Cass. 5359/2004); nè possono ritenersi ammissibili istanze volte, in definitiva, all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione, dovendo ribadirsi, al riguardo, che il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito, ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto alla base della decisione (cfr. ex plurimis Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008). Al riguardo, va rimarcato che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ricorre soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre tale vizio non si configura allorchè il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla S.C. non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr. la giurisprudenza sopra citata, cui adde Cass. 16499/2009, Cass. 42/2009, Cass. 17477/2007, Cass. 15489/2007, Cass. 7065/2007, Cass. 1754/2007, Cass. 14972/2006, Cass. 17145/2006, Cass. 12362/2006, Cass. 24589/2005, Cass. 16087/2003, Cass. 7058/2003, Cass. 5434/2003, Cass. 13045/97, Cass. 3205/95).

8.- Anche il quarto motivo di ricorso va rigettato in quanto inammissibile. Come ha, infatti, esattamente rilevato la difesa del controricorrente, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la società ricorrente avrebbe dovuto indicare quando e in qual modo era stata sottoposta all’esame dei giudici di merito la questione dell’esistenza di una rinuncia o di una transazione avente ad oggetto il diritto del lavoratore alla qualifica superiore, trattandosi di un accertamento di fatto, riservato al giudice del merito e sicuramente estraneo alla natura del giudizio di cassazione, e non essendo sufficiente, al fine sopra indicato, il mero richiamo ad una richiesta istruttoria formulata dalla società con il ricorso in appello e concernente un capitolo di prova nel quale viene semplicemente riprodotta, come fatto storico, la circostanza dell’avvenuta assegnazione del D.S. alla qualifica di “capo squadra specializzati di ripresa”, a seguito di un incontro tra l’azienda e le organizzazioni sindacali (al quale avrebbe partecipato anche il lavoratore).

9.- Il ricorso va dunque rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite, in quanto sinora detto, tutte le censure non espressamente esaminate.

10.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 30 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2011

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