Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15738 del 07/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/06/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 07/06/2021), n.15738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10091-2015 proposto da:

COMUNE DI RODI GARGANICO, con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato FRANCO CARILE;

– ricorrente –

contro

RIPA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA V.LE REGINA MARGHERITA,

262, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MARSICO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRA STASI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 103/2015 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

FOGGIA, depositata il 20/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. MARGHERITA TADDEI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Comune di Rodi Garganico impugna la sentenza della CTR Puglia, che in riforma della sentenza della CTP di Foggia n. 495/5/13, in materia di Tarsu 2011, aveva dichiarato inammissibile il ricorso della società Riva Srl, gestrice di un villaggio turistico, perchè volto all’annullamento del sollecito di pagamento e non all’annullamento dell’avviso di pagamento, ad esso propedeutico.

La CTR, dopo aver dichiarato l’ammissibilità del ricorso introduttivo poichè se è pur vero che l’avviso di pagamento, prodotto dal Comune, indica gli elementi (le utenze e, per tutte, superficie, riduzioni accordate e tariffa) idonei a comprendere la ratio del provvedimento impositivo è tuttavia mancante dell’indicazione dell’organo competente al riesame dell’atto e della prova della dell’invio dell’avviso stesso alla contribuente, ha accolto parzialmente l’appello della Ripa Srl in punto di riduzione della pretesa, disapplicando le tariffe contenute nella relativa Delib. comunale, giudicandola priva di motivazione in ordine alle diverse aliquote applicate, differenziate a seconda delle tipologie di immobili ma non alla diversa produttività dei rifiuti, ricalcolando l’importo della tassa dovuta in ragione di ritenute legittime percentuali di riduzione. La Ripa Srl resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il Comune ricorrente articola due motivi di ricorso:

a) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 avuto riguardo al termine per la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, u.c. in relazione alla mancata impugnazione dell’avviso di pagamento datato 25.5.2011, non notificato. Ribadisce il ricorrente la censura di intempestiva proposizione del mezzo, oltre il termine dei sessanta giorni dalla notifica del sollecito; in secondo luogo la mancata impugnazione del dell’avviso di pagamento atto contenente esaustiva motivazione in ordine all’imposizione.

b) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 7 e la illegittima disapplicazione della Delib. Comunale n. 10 del 2011, con particolare riguardo al mancato rispetto delle tariffe Al ricorrente contesta, sulla base della giurisprudenza di legittimità, la decisione di difetto di motivazione in base alla quale la CTR ha ritenuto di dover disapplicare la Delib. Comunale e la illegittimità della decurtazione della tariffa, oltre il limite consentito dal potere discrezionale riservato all’ente pubblico.

Il primo motivo di ricorso, nella parte in cui assume che il ricorso introduttivo è stato depositato tardivamente, è manifestamente infondato. Risulta, infatti, dal frontespizio del ricorso originario che il ricorso è stato protocollato il 17.12.12, tempestivamente, e non, come asserisce il ricorrente, il 18.12; è, inoltre, fondata anche la doglianza della mancata comunicazione dell’avviso di pagamento alla contribuente, di cui la sentenza impugnata, in fatto, da ampia attestazione.

E’ tuttavia fondato, in misura assorbente, il secondo motivo di ricorso, che contrasta la disapplicazione della Delib. comunale.

Alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le altre Cass. n. 15861 del 2011; Cass. n. 302 del 12/01/2010; Cass. n. 5722 del 12/03/2007), con riguardo allo specifico rilievo qui agito, deve ritenersi che “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la Delib. comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce infatti un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, che può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore, il contribuente, quindi, mantiene la possibilità di dimostrare i requisiti dell’esenzione e della riduzione di imposta in ragione della effettiva destinazione delle superfici e della loro assente o minore generazione di rifiuti in modo tale da accertare in concreto la capacità contributiva delle strutture ed evitare disparità di trattamento fra le categorie; i rapporti tra le tariffe, indicati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della Delib., non vanno d’altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica “(n. 16175/2016 – cass.937/2019). Alla luce del predetto principio, appare del tutto illogico l’argomento del giudice del merito secondo cui la Delib. comunale avrebbe dovuto essere assistita da specifica motivazione sulle diverse tariffe tarsu, senza considerare che il regolamento comunale ha natura di normazione secondaria, per effetto del rinvio ad esso contenuto nella disciplina di legge che lo distingue dai provvedimenti (generali o particolari) a contenuto meramente attuativo: questa Corte ha già affermato che in tema di tarsu non è configurabile alcun obbligo di motivazione della Delib. comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65 poichè la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile “ex post”, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (Cass. n. 22804 del 2006, ord. n. 26132 del 2011).

Il potere di disapplicare l’atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto, che spetta al giudice tributario, può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere): pertanto, la contestazione, da parte della CTR, della validità dei criteri seguiti dal Comune di Rodi Garganico nell’adottare la Delib. non è sufficiente per pervenire alla dichiarazione d’illegittimità della stessa, dovendo, al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari dei comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria. Questa Corte (Cass. n. 22804 del 2006, ord. n. 26132 del 2011) ha, già, affermato il principio secondo cui non è configurabile alcun obbligo di motivazione della Delib. comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 65, poichè la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta – anche se determinabile ex post – di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili. Ne consegue che la CTR ha fatto malgoverno del potere di disapplicazione, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, essendosi, in concreto, sostituita alla P.A. nelle valutazioni di merito.

Ma la pronuncia impugnata non è legittima anche sotto altro profilo: la decisione della CTR va censurata anche quando afferma che “(alla contribuente)… compete la riduzione del 60% perchè, a detta della società,tutte le utenze sono distanti dal centro abitato dai quattro ai cinque chilometri e la zona non è servita da alcun servizio di raccolta e spazzamento”. Avuto riguardo al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, commi 2 e 3, si è che la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato, non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, mentre le deroghe indicate al comma 2 della norma e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti (Cass. n. 18054 del 2016). L’impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e permanenti e non dalla contingente e soggettiva modalità di utilizzazione dei locali: questa Corte ha precisato che la situazione che legittima l’esonero si verifica allorquando l’impossibilità di produrre rifiuti dipende dalla natura stessa dell’area o del locale, ovvero dalla loro condizione di materiale ed oggettiva inutilizzabilità ovvero dal fatto che l’area ed il locale siano stabilmente, e cioè in modo permanentemente e non modificabile, insuscettibili di essere destinati a funzioni direttamente o indirettamente produttive di rifiuti (Cass.19720/2010). In realtà grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione, atteso che, pur operando il principio secondo il quale è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, tale principio non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, o addirittura l’esenzione, costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass. n. 9731 del 2015 e per l’onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale: Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004, 13086 del 2006, 17599 del 2009, 775 del 2011; 11451/18).

Sulla base del predetto articolo e del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 64 istituita la tassa annuale su base tariffaria, essa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, salva l’autorizzazione dell’ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, purchè il servizio sia istituito e sussista la possibilità della utilizzazione, ma ciò non significa che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato dall’ente impositore in modo regolare, così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente. (cass.1963/2018): ove il Comune abbia istituito e attivato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nella zona nella quale si trova l’immobile del contribuente e quest’ultimo, tuttavia, abbia provveduto a gestire direttamente gli stessi, indipendentemente dalle ragioni per le quali ciò sia avvenuto, la tassa è egualmente dovuta – essendo finalizzata a consentire all’amministrazione locale di soddisfare le esigenze generali della collettività e non di fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti – ma in misura ridotta ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4, 11(Cass. n. 11451/18).

Alla luce dei principi su richiamati il ricorso deve essere accolto: non essendo necessari ulteriori approfondimenti in fatto la Corte decide nel merito, rigettando l’originario ricorso. Le spese del giudizio di merito si compensano considerato l’andamento del predetto giudizio. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio.

Spese dell’intero giudizio di merito compensate.

Condanna la soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5000, oltre rimborso spese in misura forfettaria ed accessori di legge se dovuti.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale da remoto, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021

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