Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15738 del 02/07/2010

Cassazione civile sez. III, 02/07/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 02/07/2010), n.15738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.C.E., (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA GAVORRANO 12 SC B INT 12, presso lo studio dell’avvocato

GIANNARINI MARIO, rappresentato e difeso dall’avvocato DI MARTINO

GIUSEPPE giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

NUOVA TIRRENA ASSICURAZIONI RIASSICURAZIONI E CAPITALIZZAZIONI SPA,

(OMISSIS), in persona del suo Procuratore speciale avv. T.

B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.M. POGGIOLI 1,

presso lo studio dell’avvocato ROGANI RAFFAELE, che lo rappresenta e

difende giusta delega in calce al controricorso; ;

– controricorrenti –

e contro

D.M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 152/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

Seconda Sezione Civile, emessa il 19/01/2005, depositata il

12/02/2005; R.G.N. 1547/2001.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2010 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato Raffaele ROGANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del 1^ e del 4^

motivo e l’accoglimento del 2^ e del 3^.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., del 22.1.1999 il g.u.

del tribunale di Ragusa, esaurita l’istruzione della causa civile promossa nel 1997 da E. ed L.C.A. nei confronti di M.G. e della Nuova Tirrena assicurazioni s.p.a. per il risarcimento dei danni da ciascuno subiti a seguito di un incidente automobilistico verificatosi (OMISSIS), ordinò ai convenuti – per quanto in questa sede ancora interessa – di pagare solidalmente ad L.C.E. la somma di L. 127.948.700, di cui L. 105.789.000 per danno biologico e L. 20.000.000 per danno morale, oltre agli accessori ed alle spese, escludendo il risarcimento del danno patrimoniale conseguito alle lesioni.

2.- Avverso l’ordinanza che aveva acquistato l’efficacia della sentenza propose appello il L.C., negando di non aver dato la prova del proprio reddito, dolendosi della ritenuta maggior congruità della percentuale di inabilità permanente stabilita dall’INAIL (15%) rispetto a quella determinata dal c.t.u. (22% della capacità lavorativa specifica) e sostenendo l’erroneità dell’equiparazione operata dal primo giudice tra la rendita erogata dall’INAIL per infortunio sul lavoro e il risarcimento del danno da lucro cessante per permanente riduzione della capacità lavorativa specifica.

La Nuova Tirrena resistette.

Con sentenza n. 152 del 2005 la corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento del gravame, ritenuto che l’entità dei guadagni della vittima fosse provata, ha condannato solidalmente i convenuti al pagamento della ulteriore somma di Euro 11.323,66, oltre agli interessi, sul rilievo che in relazione all’attività di elettricista svolta dalla vittima appariva senz’altro congrua la percentuale di invalidità del 22% determinata dal c.t.u. in luogo di quella del 15% considerata dall’INAIL ed effettuando la liquidazione della maggior somma dovuta in relazione alla differenza del 7% tra la prima e la seconda.

3.- Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il L.C. affidandosi a quattro motivi, cui resiste con controricorso la Nuova Tirrena assicurazioni s.p.a.. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

L’intimato D.M.G. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- La corte d’appello ha ritenuto che al momento della liquidazione del danno patrimoniale da invalidità permanente il giudice deve tener conto della rendita eventualmente erogata dall’Inail alla vittima, per evitare una duplicazione dell’indennizzo. Infatti, il titolo da cui deriva il diritto alla prestazione economica è lo stesso, e cioè la ridotta capacità lavorativa per l’esistenza di postumi invalidanti.

Ha più avanti soggiunto che il danno patrimoniale da invalidità permanente va liquidato nella misura percentuale del 7%, che costituisce la differenza tra la percentuale di riduzione della capacità lavorativa riconosciuta dal c.t.u. e quella già indennizzata dall’Inail con l’erogazione di apposita rendita.

2.- Se ne duole il ricorrente coi primi due motivi di ricorso, deducendo con entrambi violazione e falsa applicazione di norme di diritto e vizio di motivazione.

Col primo sostiene che il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 74. ai fini della liquidazione da parte dell’Inail della rendita rapportata al grado di inabilità permanente parziale che superi il 10%, ha riguardo alla capacità lavorativa generica e non specifica, sicchè la corte d’appello avrebbe dovuto procedere ad un’autonoma liquidazione della seconda voce di danno.

Col secondo si assume che, quand’anche fosse corretto il rilievo della corte di merito circa l’esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie, non di meno sarebbe stato necessario che il danno patrimoniale da pregiudizio della capacità lavorativa specifica fosse autonomamente determinato e che dalla somma risultante fosse detratta la somma corrispondente alla capitalizzazione della rendita corrisposta dall’Inail.

2.1.- Il primo motivo è manifestamente infondato nella parte in cui nella sostanza si assume che della rendita corrisposta dall’Inail non dovrebbe tenersi alcun conto in ragione della diversità tra incapacità lavorativa generica e specifica. Entrambe, nell’accezione che viene in questa sede in considerazione, attengono infatti alla minore attitudine della vittima a realizzare guadagni e, dunque, alle conseguenze dell’evento dannoso nei riflessi patrimoniali da lucro cessante.

Il secondo è invece manifestamente fondato, giacchè la rendita Inail è caratterizzata da un criterio di determinazione che ha riguardo alle particolari esigenze soddisfatte dalla legislazione previdenziale e che non necessariamente da luogo ad un risultato corrispondente al danno effettivamente subito dal danneggiato per la sua diminuita capacità lavorativa specifica, quante volte essa sia, come nella specie, suscettibile di essere apprezzata.

E’, pertanto, del tutto ovvio che il giudice debba procedere alla liquidazione del danno patrimoniale subito dalla vittima in riferimento all’autonomamente accertato pregiudizio della sua capacità lavorativa specifica e poi -per evitare duplicazione risarcitorie (l’Inail ha, d’altronde, diritto di rivalsa verso i responsabili) sottrarre dalla somma risultante quella corrispondente alla capitalizzazione della rendita, giacchè un’operazione aritmetica di sottrazione presuppone valori omogenei.

3.- Il terzo ed il quarto motivo investono la decisione in ordine alle modalità del calcolo del danno da pregiudizio della capacità lavorativa specifica, denunciandosi anche qui violazione di norme di diritto e vizio della motivazione.

Col terzo la decisione è censurata, anzitutto, per avere fatto applicazione del R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, senza chiarire perchè veniva prescelto quel sistema di liquidazione anzichè quello equitativo puro di cui agli artt. 2056 e 1226 c.c.; e, in secondo luogo, per non avere comunque adottato i correttivi che questa corte ha ritenuto necessari con sentenza (ex plurimis) n. 4186 del 2004.

Col quarto motivo il ricorrente si duole, infine, che la corte d’appello abbia determinato il reddito del L.C. nel 1994 in L. 16.103.357, tenendo “con ogni probabilità” conto solo di quanto da lui percepito dalla ditta Tidona Carmelo (L. 16.424.000) e non anche di quanto ricevuto dall’Istituto sacro cuore delle fanciulle, per ulteriori L. 3.575.0001 lorde, secondo quanto risultava dalla documentazione versata in atti.

3.1.- Il terzo motivo è fondato.

Cass. n. 4186 del 2004 ha enunciato il principio – che va anche in quest’occasione ribadito – secondo il quale, in tema di liquidazione dei danni patrimoniali da invalidità permanente in favore del soggetto leso o da morte in favore dei superstiti, ove il giudice di merito utilizzi il criterio della capitalizzazione del danno patrimoniale futuro, adottando i coefficienti di capitalizzazione della rendita fissati nelle tabelle di cui al R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, egli deve adeguare detto risultato ai mutati valori reali dei due fattori posti a base delle tabelle adottate, e cioè deve tenere conto dell’aumento della vita media e della diminuzione del tasso di interesse legale e, onde evitare una divergenza tra il risultato del calcolo tabellare ed una corretta e realistica capitalizzazione della rendita, prima ancora di “personalizzare” il criterio adottato al caso concreto, deve “attualizzare” lo stesso, o aggiornando il coefficiente di capitalizzazione tabellare o non riducendo più il coefficiente a causa dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa.

Tali operazioni non risultano compiute dalla corte d’appello, che s’è dunque discostata dall’enunciato principio.

Il quarto motivo è inammissibile, essendo denunciato non un errore di giudizio, ma un errore percettivo, che può farsi valere solo col mezzo della revocazione.

Nell’illustrazione del motivo il ricorrente non offre, del resto, spiegazioni di sorta circa la diversità del reddito che “con ogni probabilità” assume preso a base del calcolo (L. 16.424.000 corrisposte dalla ditta Tidona) e quello invece considerato dalla corte territoriale (L. 16.103.357), nè in alcun modo chiarisce se si fosse fatto o no riferimento alla dichiarazione dei redditi per quell’anno.

4.- In conclusione, accolti il secondo ed il terzo motivo, rigettato il primo e dichiarato inammissibile il secondo, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla stessa corte d’appello in diversa composizione, perchè quantifichi il danno patrimoniale da lucro cessante subito dalla vittima nel rispetto degli enunciati principi di diritto, regolando anche le spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara inammissibile il quarto, cassa in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2010

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