Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15735 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 23/07/2020), n.15735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23835/2012 R.G. proposto da:

V.G. (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avv.

Antonino Minacapilli, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’avv. Giovanni Vaccaro, in Roma via Tacito 90.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei

Portoghesi 12.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 459/21/2011 della Commissione Tributaria

Regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta,

depositata il giorno 26 luglio 2011.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30

gennaio 2020 dal Consigliere Dott. Fichera Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

V.G., titolare di una impresa individuale, impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, per l’anno di imposta 1999.

Il ricorso venne parzialmente accolto in primo grado, con la rideterminazione dei maggiori redditi d’impresa tratti dal contribuente; proposto appello da V.G., la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, con sentenza depositata il giorno 26 luglio 2011, lo respinse integralmente.

Avverso la detta sentenza, V.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo complesso motivo V.G. deduce vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo la commissione tributaria regionale omesso di pronunciarsi sulle eccezioni di violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, dell’art. 112 c.p.c., nonchè di contraddittorietà della motivazione resa dal giudice di primo grado.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicchè, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il motivo deve essere dichiarato inammissibile (Cass. 12/10/2017, n. 23930; Cass. 16/03/2017, n. 6835).

1.2. Va soggiunto che è comunque inammissibile il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. 20/08/2015, n. 17049; Cass. 17/08/2012, n. 14561).

E nella vicenda a mano, il ricorrente si è limitato ad enunciare quelli che sarebbero stati i vizi della sentenza di primo grado, senza specificare esattamente il contenuto dei motivi di appello, effettivamente portati alla cognizione dei giudice di secondo grado.

2. Con il secondo motivo lamenta la violazione delle disposizioni contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, avendo il giudice di merito ritenuto “assolute” le presunzioni poste a fondamento dell’accertamento impugnato, pure avendo provato il ricorrente esattamente il contrario.

2.1 II motivo è inammissibile, in quanto lamentando plurime violazioni di legge, in realtà il ricorrente intende sottoporre alla Corte – in maniera appunto inammissibile in sede di legittimità – una nuova rivalutazione degli elementi indiziari, già vagliati dalla commissione tributaria regionale per giungere alla conclusione che ìaccertamento reso dall’Agenzia delle Entrate era pienamente legittimo.

Peraltro, a differenza di quanto mostra di ritenere il ricorrente, va affermato che in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè grave e precisa (Cass. 22/12/2017 n. 30803).

Nel caso che ci occupa la commissione tributaria regionale ha correttamente valutato l’esistenza di un preciso indizio, dotato di gravità e precisione, idoneo a suffragare la tesi dell’Amministrazione, in ordine ai maggiori ricavi tratti dalla vendita di merce, valorizzando le difformità accertate tra i quantitativi di merce acquistata esposti nelle fatture e quelli risultanti dai c.d. “buoni extracontabili” rinvenuti presso l’impresa fornitrice della contribuente.

3. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Respinge il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 3.800,00, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 23 luglio 2020

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