Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15734 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 23/07/2020), n.15734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 07499/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12.

– ricorrente –

contro

O.I.T. Organizzazione Impianti tecnologici s.r.l. (C.F. (OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante pro tempore.

– intimata –

avverso la sentenza n. 48/35/2011 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, depositata il giorno 8 febbraio 2011.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30

gennaio 2020 dal Consigliere Dott. Fichera Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.I.T. Organizzazione Impianti tecnologici s.r.l. (di seguito breviter OIT) impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ed esclusa l’indeducibilità di taluni costi ai fini IRPEG, IRAP e IVA, per l’anno di imposta 2002.

Il ricorso venne parzialmente accolto in primo grado; proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza depositata il giorno 8 febbraio 2011, lo respinse integralmente.

Avverso la detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, mentre non ha spiegato difese la OIT.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo deduce l’Agenzia delle Entrate la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c., in quanto dalla motivazione della sentenza di evince che il giudice d’appello ha confermato la pronuncia impugnata, senza neppure esaminare i motivi di gravame.

2. Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), atteso che il giudice di merito ha affermato la deducibilità di taluni costi, perchè sostenuti nell’esercizio 2003, nonostante si trattasse di oneri per l’acquisto di merce consegnata nell’esercizio precedente.

3. Con il terzo motivo assume ulteriore vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), considerato che la commissione tributaria regionale ha omesso di considerare che i servizi oggetto dei costi di cui era stata invocata la deducibilità nell’esercizio 2003, erano stati resi nell’anno precedente.

4. Con il quarto motivo deduce ancora un vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), poichè il giudice di secondo grado ha omesso di considerare che i compensi erogati ai professionisti risultavano indeducibili, in quanto costituenti una mera anticipazione effettuata dalla contribuente per conto dell’ente committente.

5. Con il quinto motivo denuncia di nuovo vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), poichè la commissione tributaria regionale ha ritenuto illegittima la ripresa a tassazione di maggiori redditi contenuta nell’avviso di accertamento impugnato, omettendo di tenere conto che le note di credito possono essere emesse dal contribuente, soltanto nelle ipotesi tassativamente previste dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26.

5.1. Tutti i motivi sopra illustrati, connessi per la comune doglianza, sono fondati nei limiti di cui si dirà.

Secondo l’orientamento costante di questa Corte, la sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 05/08/2019, n. 20883; Cass. 05/11/2018, n. 28139; Cass. 19/07/2016, n. 14786).

Nel caso che ci occupa, la commissione tributaria regionale, riproducendo per larghissimi tratti integralmente il contenuto della sentenza resa dal giudice di prime cure – e pure incorrendo nel medesimo lapsus calami -, ha finito per affermare la deducibilità di taluni costi sostenuti dalla contribuente nel corso dell’esercizio 2003, omettendo di considerare la sicura circostanza che, in taluni casi, non si trattava di servizi ma di beni consegnati alla contribuente nell’anno 2002 (restando quindi applicabile la chiara regola dettata dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 1, lett. a)) e in altri casi, invece, si trattava di servizi prestati in favore della contribuente sempre nell’anno 2002 (con la necessaria applicazione del citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 1, lett. b)); mentre per certe altre somme (i compensi erogati per conto dell’ente appaltante a terzi) era addirittura contestata la stessa deducibilità, quale che fosse l’esercizio di competenza, non trattandosi di costi bensì di mere anticipazioni.

Ancora, il giudice di merito ha ritenuto che le note di credito spiccate dalla contribuente nel corso dell’anno 2003 giustificassero la riduzione dei ricavi per il relativo esercizio, omettendo tuttavia di verificare, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, la legittimità di siffatte note di credito.

6. In accoglimento dei motivi di ricorso, dunque, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, per un nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, per un nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 23 luglio 2020

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