Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15731 del 02/07/2010

Cassazione civile sez. III, 02/07/2010, (ud. 27/05/2010, dep. 02/07/2010), n.15731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.T. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in Roma, Via Paraguay n. 5, presso lo studio degli avv.ti

Perazzoli Maria Virginia e Claudio Vennari, che lo rappresentano e

difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

avv. C.I. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in Roma, Via Filippo Nicolai n. 16, presso lo studio

dell’avv. Conti Piero, che lo rappresenta e difende giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 3434/05 decisa

in data 4 febbraio 2005 e depositata in data 25 luglio 2005.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Giancarlo Urban;

udito l’avv. Piero Conti;

udito il P.M. in persona del Cons. Dr. APICE Umberto, che ha concluso

per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 3 aprile 2003 P. T. ed altri, convenivano avanti alla Corte d’Appello di Roma l’avv. C.I. per l’impugnazione della sentenza resa dal Tribunale Civile di Roma in data 30 gennaio 2003 che li aveva condannati al pagamento dell’importo di Euro 50.000 a titolo di risarcimento per il contenuto diffamatorio di un esposto presentato in data 16 ottobre 2000 al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. In detto esposto si erano lamentati per il comportamento omissivo dell’avv. C. il quale non avrebbe informato i propri clienti della notifica di un atto d’appello, per un giudizio incardinato per opposizione a sentenza dichiarativa dello stato d’insolvenza della Cooperativa dipendenti ACI; in fatto, tale omissione non aveva consentito agli attori di esercitare il legittimo diritto alla difesa, subendo la condanna in contumacia con notevole aggravio di spese tutte poste a loro carico.

Con sentenza del 25 luglio 2005 la Corte d’Appello di Roma in parziale riforma della sentenza impugnata, riduceva l’importo del risarcimento ad Euro 30.000,00 e compensava per un terzo le spese del grado di appello.

Propone ricorso per Cassazione P.T. con tre motivi.

Resiste con controricorso C.I., che ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi si denuncia la illogicità della motivazione e il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, nonchè la violazione dei principi di cui all’art. 112 c.p.c., avendo la sentenza impugnata acriticamente recepito quanto ritenuto dal giudice di primo grado.

La censura è infondata: la sentenza impugnata dà atto che, contrariamente a quanto affermato nell’esposto al Consiglio dell’Ordine, l’avv. C. con lettera del 3 febbraio 1997 aveva informato i propri clienti che il Commissario Liquidatore della Cooperativa Dipendenti A.C.I. aveva impugnato la sentenza del Tribunale di Roma, precisando anche i termini della pretesa. La circostanza fu indirettamente confermata nelle memorie di costituzione dei convenuti, i quali sostennero che l’informazione sarebbe stata “equivoca” ovvero “ambigua”; da tali elementi la sentenza impugnata trae la conseguente valutazione che l’esposto fu formulato dai predetti con la consapevolezza di alterare la realtà e quindi risultavano realizzati i presupposti di legge per la configurazione del reato di diffamazione.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione dei principi in materia di motivazione in relazione alla determinazione del danno.

La sentenza impugnata ha liquidato il danno in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c.: in tale ipotesi, essendo la valutazione inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (Cass. 26 gennaio 2010 n. 1529). Nella sentenza impugnata la motivazione appare coerente e logica, avendo fatto riferimento ad una semplice ipotesi di “trascuratezza o sciatteria” e non già a carenze dovute a carenze di preparazione professionale.

Il ricorso merita quindi il rigetto; segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2010

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