Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15730 del 02/07/2010

Cassazione civile sez. III, 02/07/2010, (ud. 24/05/2010, dep. 02/07/2010), n.15730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.E., elettivamente domiciliata in Roma, Via Nizza n. 51,

presso lo studio dell’avv. G. Cocco, rappresentato e difeso

dall’avv. Anelli Edoardo N. giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Sestio

Calvino n. 33, presso lo studio dell’avv. Luciana Cannas,

rappresentato e difeso dall’avv. Batini Giuseppe giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1005/05

decisa in data 4 febbraio 2005 e depositata in data 30 giugno 2005.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Giancarlo Urban;

udito l’avv. Daniele Ciuti;

udito l’avv. Luciana Cannas per delega dell’avv. Giuseppe Batini;

udito il P.M. in persona del Cons. Dr. DESTRO Carlo che ha concluso

per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, notificato il 21-22 novembre 1997, R.E. conveniva, avanti al Tribunale di Pisa, M.G., M.A. e M.R. in M.. Esponeva l’attore di essere erede di G.M.R., deceduta l'(OMISSIS), la quale aveva dato mandato a M.G. di vendere un immobile di lei, posto in (OMISSIS) ed acquistato nel (OMISSIS); poichè il M. aveva provveduto ad alienare il bene per il prezzo di L. 135.000.000 (corrispondente alla rendita catastale) a M.A. e a M.R., rispettivamente fratello e cognata del mandatario, l’attore chiedeva la condanna di M.G. a rendere il conto, pagandogli l’importo ottenuto dalla vendita ovvero la differenza tra l’effettivo valore di mercato del bene e quanto asseritamente riscosso.

Si costituivano i convenuti, che deducevano di non essere parenti del mandatario, se non alla lontana e di essere estranei ad ogni supposta irregolarità dell’atto; M.G. produceva il contratto preliminare di vendita, a suo tempo intervenuto tra la G. ed esso convenuto, riguardante lo stesso immobile e con il quale la venditrice dava atto di aver già riscosso il prezzo che le competeva; la successiva procura, su cui il R. aveva fondato la propria pretesa, aveva quindi l’esclusivo scopo di consentire ad esso mandatario di poter alienare a terzi quel bene, che egli aveva già pagato e di cui aveva da tempo ottenuto il godimento.

Con sentenza pubblicata il 6 novembre 2002 il Tribunale di Pisa dava atto che non era contestato (e d’altronde era dimostrato dal preliminare di compravendita) che il M. avesse provveduto a pagare alla G. il prezzo dovuto; poichè tuttavia il bene era rimasto intestato alla G., il mandatario avrebbe dovuto provvedere a rimettere alla mandante (dunque all’erede di lei) tutto quanto ottenuto nell’espletamento dell’incarico. Condannava quindi il M. al pagamento della somma di Euro 70.496,37, nonchè alla rifusione dei due terzi delle spese.

Avverso la decisione proponeva appello il M., che si doleva per il cattivo uso che era stato fatto della documentazione acquisita, costituita essenzialmente dal contratto preliminare di compravendita e dalla procura a vendere.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 30 giugno 2005 accoglieva l’appello e rigettava la domanda proposta da R.E., che condannava alle spese di entrambi i gradi.

Propone ricorso per cassazione R.E. con quattro motivi.

Resiste con controricorso M.G., il quale ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si deve preliminarmente rilevare che il ricorso non è soggetto alla disciplina prevista dall’art. 366 bis c.p.c., in tema di formulazione dei quesiti di diritto, poichè la sentenza impugnata risulta pubblicata in data 30 giugno 2005.

Con il primo motivo si denuncia la violazione la falsa applicazione degli artt. 99 e 36 c.p.c., avendo la Corte d’Appello pronunziato “ultra petita”, poichè la domanda proposta in via principale dal R. aveva ad oggetto il rendiconto del mandato conferito al M. nel 1992, nè quest’ultimo aveva mai formulato domanda riconvenzionale di accertare gli effetti del preliminare del 1979.

Il rilievo è infondato, posto che la Corte d’Appello ha proceduto soltanto ad una diversa qualificazione degli atti già introdotti nel giudizio di primo grado, giungendo ad una conclusione diversa da quella assunta dal Tribunale, nel senso che la procura rilasciata dalla G. al M. aveva semplicemente lo scopo di formalizzare quanto già era stato stabilito con la convenzione del 13 giugno 1979, cioè che il M. poteva agire a propria discrezione avendo già provveduto a soddisfare la G. da ogni pretesa circa la nuova intestazione del bene alienato.

Con il secondo motivo si denuncia la falsa applicazione dell’art. 2934 c.c., posto che i diritti nascenti dal preliminare del 1979 si erano ormai estinti per prescrizione e quindi non era lecito collegare la procura del 1992 al preliminare del 1979.

Si osserva che l’eccezione di prescrizione (formulata per la prima volta nel giudizio di primo grado in comparsa conclusionale e quindi disattesa) non risulta dedotta in sede di appello e quindi la Corte territoriale non poteva certamente rilevarla d’ufficio, ai sensi dell’art. 2938 c.c..

Con il terzo motivo si denuncia la falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., avendo la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che con la procura del 1992 al mandatario fosse stato conferito il potere di agire “in rem propriam”, mentre tale clausola avrebbe richiesto che fosse stata esplicitamente prevista la irrevocabilità del mandato e l’esonero dal rendimento del conto.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1713 c.c., in relazione all’obbligo del rendiconto, l’esonero dal quale non può essere desunta semplicemente dal potere discrezionale conferito al mandatario.

Il terzo e il quarto motivo possono essere trattati in unico contesto, perchè connessi: premesso quanto sopra osservato in relazione al primo motivo, circa la funzione meramente formale assunta dalla procura del 1992, poichè i rapporti tra le parti erano stati interamente regolati dalla precedente scrittura del 1979, la Corte d’Appello ha svolto una funzione di interpretazione degli accordi intervenuti, riservata al giudice del merito, che aderendo a corretti canoni di ermeneutica processuale, non è censurabile in sede di legittimità.

Con il quinto motivo si denuncia la omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo la Corte territoriale ignorato le deduzioni formulate in sede di appello dal R., sia per quanto riguarda la prescrizione, sia per quanto riguarda il collegamento tra i due atti e la tesi, tardivamente proposta in appello, del mandato in rem propriam.

Il motivo risulta assorbito da quanto sopra illustrato.

Il ricorso è quindi infondato e merita il rigetto; in considerazione della non omogeneità delle pronunzie dei giudici del merito, appare conforme a giustizia disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2010

 

 

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