Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1573 del 27/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 1573 Anno 2014
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: FERRO MASSIMO

’35D9

Data pubblicazione: 27/01/2014

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-ricorrente Contro

Francesco Falvella
-intimatoper la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Potenza 11.11.2008;
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udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 6 dicembre
2013 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
uditi l’avvocato Gianna De Socio per l’Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Paola
Mastroberardino, che ha concluso per raccoglimento del primo motivo e
l’assorbimento dell’altro.

Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale di Potenza 11.11.2008, che, in conferma della sentenza C.T.P. di Potenza
n. 122/02/2005, ebbe a rigettare l’appello dell’Ufficio, così ribadendo la illegittimità
del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria avverso l’istanza di
rimborso dell’IRAP per gli anni dal 2000 al 2003, sul presupposto — già ritenuto
dalla C.T.P. — per cui, pur ammessa la minima organizzazione personale nell’attività
del geometra ricorrente, difettava il requisito di una organizzazione di beni e di
persone generativa di un valore aggiunto indipendente dall’intervento del
professionista stesso.
Ritenne in particolare la C.T.R. che l’appello dell’Ufficio non poteva essere
accolto poiché dagli clementi di prova era emerso che il professionista appellato era
risultato esercitare la sua attività senza dipendenti né beni strumentali rilevanti e,
quanto alla definizione condonistica, che la relativa disciplina non interferiva con il
diritto al rimborso.
Il ricorso è affidato a due motivi.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, si deduce la violazione di legge con riguardo all’art.7 1.
27.12.2002, n.289, in relazione all’art.360 n. 3 cod.proc.civ., avendo la C.T.R. omesso
di considerare che la norma relativa all’applicazione del condono, benché non
interamente processuale, partecipa anche di tale natura e dunque è rilevabile
d’ufficio.
Con il secondo motivo, si deduce violazione di legge riferita agli artt. 2 e 3 d.lgs.
n.446/1997 avendo la C.T.R. errato nel riconoscere il presupposto di esenzione
dall’imposta nonostante il contribuente fosse dotato di organizzazione con
autonomia accrescitiva della sua capacità produttiva.
1. Il primo motivo è paqialmente fondato. Va premesso che mentre la sentenza,
affrontando la questione, dà conto di una domanda di condono presentata dal
contribuente ai sensi dell’art.7 1. n.289/2002 (cd. autoliquidazione) per gli anni dal
1997 al 2001, parte ricorrente menziona anche l’anno 2002, unicamente riferendosi ad
allegazioni in atti di risultanze anagrafiche né riportate con precisione, né indicate in
miglior modo quanto alle circostanze processuali di rituale sottoposizione al
contraddittorio. Tale constatazione impone al Collegio di esaminare il motivo riferito
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IL PROCESSO

Tale principio va ripetuto non già sulla base dell’incompatibilità assoluta tra l’istanza di
rimborso e la domanda di condono, ma sulla specifica previsione secondo cui la
definizione automatica non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti
derivanti dalle dichiarazioni presentate, anche ai fini IRAP (art. 7, comma 13, ult.
parte, e art. 9, comma 9, ult. parte, di identico tenore), con tali dichiarazioni
intendendosi solo quelle contenenti la specifica indicazione del credito richiesto (Cass.
25240/2007). Pertanto, dato il tenore identico delle previsioni riguardanti la L. n. 289
del 2002, artt. 7 e 9, deve essere data continuità al principio enunciato, non
emergendo serie e contrarie argomentazioni, utili al suo superamento (Cass.
7729/2008;1967/2012).
Infine, si è ritenuto che, in tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione
automatica prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, l’esercizio della facoltà di ottenere
la chiusura delle liti fiscali pendenti, pagando una somma correlata al valore della
causa, produce un effetto estintivo del giudizio, che opera anche in relazione alle
domande giudiziali riguardanti le richieste di rimborso d’imposta (nella specie, IRAP),
con la conseguenza che l’intervenuta proposizione della relativa istanza, palesandosi
come questione officiosa, di ordine pubblico, deve essere rilevata d’ufficio dal giudice
prima di ogni altra (Cass. 25239/2007 e 17142/2008). Circa la stessa eccezione
processuale riguardante l’adesione del contribuente al condono di cui alla L. n. 289 del
2002, art. 7, si è osservato che “le questioni relative all’applicazione del condono, pur non
risolvendosi interamente nei problemi processuali, partecipano anche di tale natura e sono, perciò,
rilevabili d’ufficio, senza che occorra una specifica proposizione ad opera della parte interessata a farle
valere” (Cass. 17142/2008, ripresa da Cass. 1967/2012, 3841/2012;3759/2013).
Tale operare officioso concerne sia le liti relative all’accertamento dell’obbligazione
tributaria, sia le liti relative ad istanze di rimborso, e in entrambi i tipi di giudizi il
rilievo officioso si connette ai riflessi di ordine pubblico nascenti dall’elisione della
pretesa impositiva, realizzata in virtù dell’adesione al condono. Pertanto il ricorso sul
punto deve essere accolto, relativamente alla questione del rimborso per gli anni
condonati dal 1997 al 2001, e dunque — per quanto d’interesse — con ribadita
legittimità del diniego di condono per gli anni 2000 e 2001, con assorbimento della
seconda parte del motivo.
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all’unico fatto tuttora incontroverso, e cioè il condono presentato solo per gli anni dal
1997 al 2001. In tema di condizioni preclusive del condono, questa Corte già ha
stabilito il principio secondo cui, con riferimento alla definizione automatica prevista
dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, la presentazione della relativa istanza preclude al
contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via
agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza
del relativo presupposto (nella specie, IRAP) (Cass. 3682/2007). Il condono, infatti, in
quanto volto a definire transattivamente la controversia in ordine all’esistenza di tale
presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta tra trattamenti distinti
e che non si intersecano tra loro, ovverosia coltivare la controversia nei modi ordinari,
conseguendo se del caso il rimborso delle somme indebitamente pagate, oppure
corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza possibilità di
riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria.

3. Conclusivamente, va accolto il ricorso, quanto al primo motivo, limitatamente al
rimborso d’imposta IRAP per gli anni dal 1997 al 2001, non dovuto, con cassazione
della pronuncia impugnata e rinvio per i necessari ulteriori accertamenti sul punto da
parte del giudice di merito, non apparendo gli importi di rimborso distinti per anno (la
sentenza li ha cumulativamente intesi in euro 2.164,09) e dunque risultando necessaria
la quantificazione dei rimborsi IRAP per gli anni successivi; per il resto il ricorso va
complessivamente rigettato. Il giudice di rinvio dovrà altresì liquidare le spese del
giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie parzialmente il ricorso quanto al primo motivo e limitatamente
alla questione del rimborso IRAP relativo agli anni dal 1997 al 2001, cassa la
sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. Basilicata, che deciderà in diversa
composizione ed anche per le spese del giudizio di legittimità; rigetta per ogni altra
parte il ricorso.
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2. L’esame del secondo motivo è invece doveroso quanto agli anni 2002-2003,
sopravvissuti, per quanto detto, alla portata pregiudiziale dell’eccezione di condono.
Tale complessiva censura è in parte inammissibile ed in parte infondata. Un primo limite è
invero rivelato dalla stessa redazione del motivo, costruito come violazione di legge
ma in realtà volto ad un’inammissibile critica dell’apprezzamento espresso dal giudice
di merito sulle risultanze istruttorie attinenti al profilo delle modalità di svolgimento
dell’attività del contribuente, che infatti la C.T.R. ha negato fossero proprie di
un’attività economica organizzata ai sensi dell’art.2 1. n.446/1997. In secondo luogo,
va dato atto che se è vero che l’onere di provare la sussistenza dei requisiti esonerativi
compete al contribuente che ne invochi gli effetti (Cass. s.u.. 12108/2009;
13095/2012), nella fattispecie la sentenza impugnata ha dato conto, con sufficiente
chiarezza, di un difetto di presenta dei dipendenti, dell’impiego di capitali altrui e di uno
svolgimento con l’impiego di beni strumentai di esiguo valore. Al cospetto di tale sintesi
riassuntiva dell’accertamento di merito, l’attuale ricorrente nulla ha opposto, né come
critica del ragionamento probatorio, né come seria ed alternativa opzione giuridica
potenzialmente discendente dagli elementi fattuali così tratteggiati dalla C.T.R., ad un
esito di infondatezza perciò dovendo di necessità volgere il motivo stesso. Il Collegio
condivide sul punto l’indirizzo per cui l’esercizio dell’attività professionale è per vero
corretto che sia escluso dall’applicazione dell’imposta qualora si tratti di attività non
autonomamente organizzata, un requisito il cui accertamento spetta al giudice di
merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, e che
ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile
dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad
altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id
quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza
dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass.
4490/2012). Le risultanze istruttorie della sentenza di merito appaiono in tema
coerenti con detto principio, né appare convincente la critica per come formulata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 dicembre 2013.

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