Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15728 del 09/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 15728 Anno 2014
Presidente: BOGNANNI SALVATORE
Relatore: COSENTINO ANTONELLO

ORDINANZA
sul ricorso 24762-2012 proposto da:
CECCHI TENTOLINI ADRIANA CCCDRN28C42H501F,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI
DA PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO
CARDARELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato ZAZA
D’AULISIO ALFREDO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
COMUNE DI GAETA in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 66, presso lo
studio dell’avvocato GIANCARLO CAPOZZI, rappresentato e difeso
dall’avvocato PICCOLO DANIELA (dell’Avvocatura comunale),
giusta delibera di Giunta n. 301 del 28.11.2012 e giusta procura
speciale
008

a

margine

del

controricorso;

Data pubblicazione: 09/07/2014

- controricorrente –

avverso la sentenza n. 108/39/2012 della Commissione Tributaria
Regionale di ROMA – Sezione Staccata di LATINA del 15.2.2012,
depositata il 14/03/2012;

21/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO
COSENTINO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Giulio Simeone (per delega avv.
Alfredo Zaza d’Ausilio) che si riporta agli scritti;
udito per il controricorrente l’Avvocato Daniela Piccolo che si riporta
agli scritti ed insiste per la conferma della sentenza impugnata.
rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria
la relazione di seguito integralmente trascritta:
«La Sig.ra Adriana Cecchi Tentolini ricorre contro il Comune di Gaeta per la cassazione della
sentenza n. 108/39/12 con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, confermando la
sentenza di primo grado, ha dichiarato la legittimità di un avviso di accertamento ICI per
l’anno 2003 emesso in relazione a terreni ricadenti nella sottozona C5, destinata all’espansione
dal Piano Regolatore Generale del Comune di Gaeta (di seguito, P.R.G.), nonostante che i
medesimi fossero stati altresì inseriti nella categoria TA (“zona agricola ambientale ad
elevata connotazione paesistica”) del Piano Territoriale Paesistico (di seguito, P.T.P.)
approvato con la legge regionale del Lazio n. 24/98.
La sentenza gravata (pag. 2) afferma che i terreni oggetto di causa sarebbero assoggettati
all’ICI, nonostante che il suddetto P.T.P. li abbia inseriti nella categoria TA, in quanto tale
inserimento non comporterebbe la loro inedificabilità, giacché “le limitazioni all’edificabilità
introdotte dai Piani Territoriali Paesistici (Provinciale e Regionale) non hanno alcun rilievo
circa la imponibilità delle aree oggetto di accertamento”; ciò in quanto, secondo la
Commissione Tributaria Regionale, per la qualificazione di un’area come edificabile, a fini
tributari, è sufficiente “la sola inclusione dell’area stessa in una zona che il P.R.G qualifica
come edificabile e la presenza di vincoli più o meno limitanti tale potenzialità edificatoria non
sottrae l’area al regime tributario delle aree edificabili”.
Inoltre, con riferimento alla determinazione della base imponibile dell’imposta richiesta alla
contribuente, il giudice di secondo grado ha ritenuto corretta la valutazione del terreno operata
dal Comune, basata su una relazione tecnica dell’Agenzia delle entrate sui prezzi medi di
mercato.

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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

Impugna la contribuente con ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, contestualmente, violazione e falsa applicazione
delle norme di piano contenute nel P.R.G., nel P.T.P. e nel P.T.P.R. (Piano Territoriale Paesistico
Regionale); violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 2, d.l. 223/06, dell’art. 5, I. Urb.
e dell’art. 27, comma 2,1. Reg. Lazio 24/98, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.; nonché omessa
ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, n. 5,
c.p.c.

248/06, in relazione all’art. 360, n. 3. c.p.c. La Commissione Regionale avrebbe erroneamente
applicato il principio di diritto, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte n. 25506/06, in
forza del quale il carattere di edificabilità attribuito da un P.R.G. adottato dal Comune ma non
ancora approvato dalla Regione, ovvero privo degli strumenti attuativi, è già sufficiente per la
qualificazione del terreno come edificabile ai fini fiscali. Ad avviso della ricorrente, nella specie
si sarebbe in presenza di una situazione opposta a quella vagliata dalle Sezioni Unite, poiché nel
caso di specie gli stessi strumenti di pianificazione territoriale qualificherebbero il terreno come
inedificabile.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma
5, d.lgs. 504/92, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella quale la Commissione Regionale
sarebbe incorsa ritenendo legittima la valutazione del valore venale dell’immobile operata dal
Comune; valutazione fondata esclusivamente sui prezzi medi di mercato delle aree analoghe a
quelle oggetto di accertamento e priva di riferimento ai vincoli di inedificabilità su quest’ultima
gravanti.
Con il quarto motivo, ancorché erroneamente riferito al vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., la
ricorrente denuncia un vizio di omessa pronuncia, censurabile ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c.,
lamentando il fatto che la Commissione Regionale non si sia pronunciata “circa la censura di
illegittimità della sanzione applicata nell’impugnato avviso di accertamento, mossa dalla
ricorrente nel giudizio di 1° e 2° grado”.
Il Comune si è costituito con controricorso.
Il primo motivo di ricorso si articola in tre distinte censure.
Con una prima censura, riferita al vizio di violazione di legge, si deduce la violazione delle
previsioni contenute nei diversi atti di pianificazione ivi richiamati (Piano Regolatore Generale
del Comune di Gaeta; Piano Territoriale Paesistico della Regione Lazio; Piano Territoriale
Paesistico Regionale del Lazio). La censura va giudicata inammissibile, in quanto non
specifica, mediante la menzione degli articoli che le contengono, quali sarebbero le disposizioni
del P.R.G., del P.T.P. e del P.T.P.R. che si assumono violate; in tal modo la formulazione della
censura si discosta dal principio, da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la
sentenza n. 17555/13, che il ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione di legge
non può, a pena di inammissibilità, essere riferito ad un intero corpo di norme, perché in tal

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Con il secondo motivo la ricorrente censura la violazione dell’art. 36, d.l. 223/06, conv. in I.

guisa la individuazione delle norme violate o falsamente applicate dal giudice di merito
sarebbe rimessa dal ricorrente alla stessa Corte di cassazione.
Con la seconda censura in cui si articola il primo motivo, pur essa riferita al vizio di violazione
di legge e relativa alla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 2, d.l. 223/06,
dell’art. 5, 1. Urb. e dell’art. 27, comma 2, 1. Reg. Lazio 24/98, la ricorrente argomenta che la
Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato nel qualificare il terreno de quo come area
fabbricabile, a fini tributari, in base al P.R.G. del Comune di Gaeta, senza considerare che tale

24/98, dai piani pesistici regionali (da ritenere giuridicamente sovraordinati rispetto ai piani
regolatori comunali) e, precisamente, dal P.T.P. approvato dalla legge Reg. Lazio 24/98 e dal
P.T.P.R. adottato dalla Regione Lazio con delibera di Giunta Regionale n. 556 del 25.7.07; e
che, alla luce di detta integrazione, il terreno stesso risultava inedificabile.
Anche tale censura va disattesa, in quanto:
a) l’assunto della ricorrente secondo cui il terreno de quo risulterebbe inedificabile in base al
P.T.P. approvato dalla legge Reg. Lazio 24/98 – in considerazione sia della circostanza che il
territorio del Comune di Gaeta è classificato come area montana (essendo compreso nel
territorio della XVII Comunità Montana “Monti Aurunci”), sia della circostanza che il terreno
per cui è causa avrebbe una estensione inferiore a mq. 30.000 – non è utilmente scrutinabile in
sede di legittimità, in quanto le due suddette circostanze non risultano dalla sentenza gravata e
nel ricorso non si precisa, come imposto dall’onere di autosufficienza del ricorso per
cassazione, in quali atti e con quali modalità esse siano state dedotte in sede di merito;
b) l’assunto della ricorrente secondo cui il terreno de quo risulterebbe inedifícabile in base al
P.T.P.R. adottato dalla Regione Lazio con delibera di Giunta Regionale n. 556 del 25.7.07 non è
pertinente, in quanto l’avviso di accertamento impugnato si riferisce all’anno di imposta 2003,
antecedente all’adozione del P.T.P.R.
Con la terza censura in cui si articola il primo motivo, riferita al vizio di cui all’articolo 360 n.
5 cpc, la ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza gravata sul fatto che le
norme di P.T.P. e P.T.P.R. sono sovraordinate ed integrative del P.R.G.. La censura è parimenti
inammissibile, poiché lamenta un difetto di motivazione in diritto, ossia sulla questione
giuridica della dedotta sovraordinazione dei piani paesistici sugli strumenti urbanistici
comunali, e non una carenza motivazionale circa un fatto rilevante ai fini di causa; questa Corte
ha infatti chiarito più volte chiarito (tra le varie, sent. 19218/03), che il difetto di motivazione,
denunciabile come motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti, non anche
l’interpretazione di norme giuridiche; quest’ultima, infatti, può essere apprezzata sotto il profilo
dell’ “error in iudicando” e può portare o alla Cassazione della sentenza, se la violazione o falsa
applicazione di norme di diritto ha dato luogo ad un dispositivo contrario alla legge, ovvero alla
integrazione o correzione, a norma dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., quando il
dispositivo sia comunque conforme al diritto pur se manchi o sia erronea la motivazione.

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P.R.G. deve ritenersi integrato, ai sensi degli articoli 5, 1. Urb. e 27, comma 2, 1. Reg. Lazio

Passando all’esame del secondo motivo di ricorso appare necessario precisare tanto l’esatta
portata del principio espresso dalle Sezioni Unite con la sent. n. 25506/06, quanto la sua diretta
incidenza nel caso di specie.
Le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 25506/06, hanno affermato che “In tema di
1C1, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11 quaterdecies, comma sedicesimo, del decreto
legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n.

248, e dell’art. 36, comma secondo, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con
modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica
dell’art. 2, comma primo, lettera b), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, l’edificabilità di
un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato
sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano
regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da
parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. L’inizio del procedimento
di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile,
le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di
attuazione delle procedure incidenti sullo “ius aedificandi” o di modifiche del piano regolatore
che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una
variazione del prelievo nel periodo d’imposta, conformemente alla natura periodica del tributo
in questione, senza che ciò comporti il diritto al rimborso per gli anni pregressi, a meno che il
Comune non ritenga di riconoscerlo, ai sensi dell’art. 59, comma primo, lettera f), del d.lgs. 15
dicembre 1997, n. 446. L’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile
impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o
minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli
ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio”.
Come appare palese dalla massima sopra trascritta, le Sezioni Unite si sono limitate a risolvere
un contrasto formatosi in giurisprudenza tra due tesi, la prima volta a riconoscere, ai fini fiscali,
carattere di area edificabile ad un terreno qualificato come tale da un piano regolatore adottato
ma non ancora in vigore, ovvero privo degli strumenti attuativi; l’altra orientata nel senso che
non sarebbe sufficiente tale mera potenzialità edificatoria, onde l’area potrebbe dirsi edificabile
solo in quanto tale prerogativa sia effettivamente ed immediatamente esercitabile dal
contribuente. Aderendo alla prima soluzione, le Sezioni Unite hanno dunque distinto, come ben
afferma la Commissione Regionale, “la nozione di edificabilità urbanistica da quella tributaria
ai fini IO” (pag. 2 della sentenza impugnata).
Tuttavia, dall’affermazione di tale principio non discende 1′ irrilevanza delle disposizioni
contenute negli atti di pianificazione territoriale diversi dal piano regolatore comunale. E’ noto,
infatti, come sul medesimo territorio possano insistere una pluralità di atti di pianificazione,
aventi oggetto e finalità differenti, ovvero provenienti da amministrazioni diverse e dotate
ognuna di proprie distinte competenze. Ruolo dell’interprete è risolvere i potenziali conflitti che

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possono sorgere tra disposizioni fra loro incompatibili, contenute nei diversi piani, secondo
criteri di volta in volta individuati (gerarchico, cronologico, di competenza) e secondo differenti
modalità di risoluzione del conflitto (prevalenza, coordinamento, adeguamento). Per quanto
concerne il rapporto tra piano regolatore comunale e piano paesaggistico regionale soccorre una
norma di legge, precisamente l’art. 145 D.Lgs 42/04 (c.d. codice dei beni culturali e del
paesaggio), in forza della quale “Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e
156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di

metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi
eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia
applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresi’ vincolanti per
gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei
piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di
pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli
degli enti gestori delle aree naturali protette”. Il conflitto viene, dunque, risolto nel senso della
assoluta prevalenza delle prescrizioni del piano paesaggistico regionale, comunque denominato,
sulla pianificazione urbanistica comunale, come convincentemente affermato dalla
giurisprudenza amministrativa. Preme infatti rilevare come il Consiglio di Stato si sia già
occupato, con la sentenza della IV Sezione n. 2401/08, proprio dei rapporti intercorrenti tra il
piano regolatore del Comune di Gaeta e il piano paesaggistico adottato dalla Regione Lazio,
accertando la prevalenza del secondo sul primo e rilevando in via generale che “Nel fissare il
principio della immediata cogenza e della indefettibile prevalenza della pianificazione
paesaggistica (poi sancito dalla legislazione nazionale con l’art. 145 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio, approvato col d.1g. n. 42 del 2004), l’art. 27 della legge regionale n.
24 del 1998 ha disposto che il piano paesaggistico costituisca uno strumento sovraordinato
rispetto allo strumento comunale (cfr. Corte Cost., 20 aprile 2006, n. 182). Il legislatore ha così
riportato a coerenza il sistema, evitando che un progetto risulti allo stesso tempo assentibile
sotto il profilo urbanistico e inaccoglibile sotto il profilo paesaggistico”; in considerazione di
ciò, sottolinea il Consiglio di Stato nella sentenza in esame,

“a maggior ragione, in presenza

del principio introdotto dall’art. 27, comma 2, della Regione Lazio n. 24 del 1998 (che ha
introdotto una regola poi divenuta un principio fondamentale della legislazione statale, con
l’art. 145 del Codice del paesaggio), la preminenza delle previsioni del piano paesaggistico —
rispetto a quelle urbanistiche — comporta che l’autorità comunale debba verificare se il
progetto risulti conforme alle previsioni di conformazione dell’area, non solo a quelle di livello
comunale, ma anche a quelle territoriali di rilievo paesaggistico, comunque prevalenti”.
La necessità di guardare alle prescrizioni del piano paesaggistico regionale, prevalenti e dunque
vigenti in luogo delle corrispondenti previsioni del piano regolatore, non si pone dunque in
alcun modo in contraddizione con la sentenza n. 25506/06 delle Sezioni Unite di questa Corte,
impropriamente richiamata dalla Commissione Tributaria Regionale. Detta sentenza si è, in

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sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle citta’

sostanza, limitata ad individuare il momento temporale, inteso come stato di avanzamento
dell’iter procedimentale di approvazione dell’atto di pianificazione urbanistica o territoriale, in
relazione al quale un’area può considerarsi come edificabile dal punto di vista dell’imposizione
fiscale; ma non è intervenuta sul tema della relazioni tra piani paesistici e piani urbanistici.
In conclusione, posto che la edificabilità o non edificabilità di un’ area deve desumersi dalla
disciplina urbanistica e paesaggistica considerata complessivamente ed

integrata,

l’affermazione della Commissione Regionale secondo la quale “le limitazioni all’edificabilità

circa la imponibilità delle aree oggetto di accertamento” va giudicata errata. Si tratta di
un’arbitraria limitazione alla nozione di “area fabbricabile” di cui all’art. 2, lett. B, D.Lgs.
504/92, non rispettosa della realtà normativa della pianificazione territoriale né in alcun modo
affermata o presupposta dai principi affermati dalle Sezioni Unite richiamate.
Né, può ancora aggiungersi, a supporto di detta affermazione della sentenza gravata potrebbe
richiamarsi il principio, più volte espresso da questa Corte, che, in tema di ICI, l’art. 2, primo
comma, lett. b), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 – prevedendo che un terreno sia considerato
edificatorio sia quando la edificabilità risulti dagli strumenti urbanistici generali o attuativi, sia
quando, per lo stesso terreno, esistano possibilità effettive di costruzione – delinea una nozione
di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria; cosicché l’edificabilità
di un’area non viene esclusa dalla ricorrenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che
condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, giacché tali limiti, incidendo sulle facoltà
dominicali connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico-edilizia del suolo medesimo,
ne presuppongono la vocazione edificatoria; con la conseguenza che la presenza dei suddetti
vincoli non sottrae le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma
incide soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla
base imponibile (cfr. sentt. 9510/08, 9778/10). Tale principio concerne, infatti, l’ipotesi di
vincoli che limitino in concreto la piena esplicazione di una potenzialità edificatoria la quale,
tuttavia, permane e, anzi, è presupposta proprio dalle disposizioni applicative dei vincoli. Nel
presente giudizio, per contro, il giudice territoriale — ritenendo erroneamente che le disposizioni
del piano paesistico territoriale non rilevino ai fini della nozione tributaristica di edificabilità di
un’area — ha omesso di verificare se, alla stregua delle disposizioni del piano regolatore
generale del comune di Gaeta, come modificate ed integrate da quelle del piano paesistico
territoriale del Lazio adottato nel 1998, l’area per cui è causa mantenesse una sia pur limitata
(“vincolata”, appunto) potenzialità edificatoria, oppure non potesse ritenersi in nessun modo,
nemmeno parzialmente o potenzialmente, edificabile.
Il secondo motivo appare, pertanto, fondato e meritevole di accoglimento.
Passando all’esame del terzo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 5, comma 5, d.lgs. 504/92, si osserva che la Commissione Regionale ha
affermato, da un lato, che “l’unico criterio di valutazione dei terreni ricadenti in zone

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introdotte dai Piani Territoriali Paesistici (Provinciale e Regionale) non hanno alcun rilievo

edificabili, al di là dei vincoli sugli stessi eventualmente gravanti, è quello di mercato” e,
dall’altro, che la valutazione operata dal Comune “oltre a rispettare i criteri dettati
dall’articolo 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504/1992, è anche frutto di un attento e critico vaglio di
una relazione tecnica dell’Agenzia delle entrate di Formia sui prezzi medi di mercato derivanti
da atti pubblici di compravendita di aree aventi caratteristiche urbanistiche analoghe” (pag. 2
della sentenza impugnata). In tal modo il giudice territoriale ha negato la rilevanza dei vincoli
gravanti sulle aree edificabili ai fini della relativa valutazione, sia in linea di principio (con

ritenuto idonea, a fini estimativi, la comparazione con le

“aree aventi caratteristiche

urbanistiche analoghe”, così trascurando di verificare se le aree considerate a fini comparativi
soggiacessero agli stessi vincoli (non solo urbanistici, ma anche paesistici) di quella per cui è
causa. In tal modo la sentenza gravata si è discostata dal principio già espresso da questa Corte
che “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della determinazione del valore
imponibile, la misura del valore venale in comune commercio deve essere tassativamente
ricavata dai parametri vincolanti previsti dall’art. 5, comma quinto, del d.lgs. 31 dicembre
1992, n. 504, che, per le aree fabbricabili, hanno riguardo alla zona territoriale di ubicazione,
all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori
di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della
vendita di aree aventi analoghe caratteristiche” (così sent. n. 7297/12; conff. sentt. 14385/10.
19515/03).
Anche il terzo motivo va pertanto accolto.

Passando all’esame del quarto motivo, con il quale si denuncia l’ omessa pronuncia “circa la
censura di illegittimità della sanzione applicata nell’impugnato avviso di accertamento, mos
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dalla ricorrente nel giudizio di 1° e 2° grado”, si osserva che lo stesso va
inammissibile per difetto di autosufficienza. Non risulta infatti specificato dalla ricorrente in
quale sede, nel giudizio di merito, sia stata dedotta la questione della legittimità delle sanzioni
irrogate, cosicché la formulazione del motivo risulta difforme dal canone secondo cui “la parte
che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda o
eccezione ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità, di
specificare in quale atto difensivo o verbale di udienza l’ha formulata, per consentire al giudice
di verificarne la ritualità e tempestività, e quindi la decisività della questione, e perché, pur
configurando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. un “error in procedendo”, per il quale la
Corte di cassazione è giudice anche del ‘fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile
d’ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non
significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte
indicarli— (così, ex multis, Cass. mi. 978/07 e 11730/10).

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l’affermazione “al di là dei vincoli sugli stessi eventualmente gravanti”) sia allorquando ha

Per le suesposte ragioni, si propone al Collegio il rigetto del primo e del quarto motivo di
ricorso, l’accoglimento del secondo e del terzo motivo e la cassazione della sentenza gravata
con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, perché questa:
a)

si attenga al principio di diritto secondo cui, per la qualificazione di una area come
edificabile ai fini tributari, le disposizione dei piani regolatori comunali devono essere
integrate con quelle dei piani paesaggistici regionali (in osservanza di tale principio il
giudice di rinvio verificherà se l’area per cui è causa potesse o meno qualificarsi

come edificabile nell’anno di imposta 2005 tenendo conto anche delle disposizioni
dettate dal P.T.P. approvato dalla legge Reg. Lazio 24/98);
b) ove, all’esito della verifica di cui sub a), accerti che l’area in questione risulti, sia pure
solo parzialmente o potenzialmente, edificabile, ne determini il valore venale in
comune commercio tenendo conto di tutti i parametri previsti dall’art. 5, comma
quinto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 504, tra cui l’indice di edificabilità e la
destinazione d’uso consentita.»

che il Comune intimato si è costituito con controricorso;
che la relazione è stata notificata alle parti;
che non sono state depositate memorie difensive;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide gli
argomenti esposti nella relazione;
che, pertanto, si deve accogliere il ricorso in relazione al secondo e terzo
motivo, rigettare gli altri, e cassare la sentenza gravata, con rinvio della causa
ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che regolerà
anche le spese del presente giudizio;

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, rigetta gli altri, cassa
la sentenza gravata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione
Tributaria Regionale del Lazio, che regolerà anche le spese del presente
giudizio.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
……

M. 20M
Così deciso in Roma il 21 maggio 2014.

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