Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15727 del 02/07/2010

Cassazione civile sez. III, 02/07/2010, (ud. 21/05/2010, dep. 02/07/2010), n.15727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10318/2006 proposto da:

GIBI SERVICE SRL (OMISSIS), in persona dell’Amministratore Unico

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL CORSO 160,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRINI RAFFAELLO, che la

rappresenta e difende con delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.F.;

– intimato –

sul ricorso 15021/2006 proposto da:

B.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ROMEO ROMEI 19, presso lo studio dell’avvocato RIITANO BRUNO, che lo

rappresenta e difende con delega in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrente –

contro

GIBI SERVICE (OMISSIS) in persona dell’Amministratore Unico

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL CORSO 160,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRINI RAFFAELLO, che la

rappresenta e difende con delega in calce al ricorso notificato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 752/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Seconda Sezione Civile, emessa il 21/12/2004; depositata il

17/02/2005; R.G.N. 2263/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/05/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato RIITANO BRUNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. La s.r.l. GI.BI. Service s.r.l. conveniva davanti al Tribunale di Roma B.F. e, assumeva: di avere con lui stipulato il 9 gennaio 1995 una convenzione in forza della quale si era impegnata a promuovere l’acquisto da parte del convenuto di un diritto di opzione sulle quote della s.a.s. Cerasa di Luciana Faina & C, proprietaria di taluni terreni in agro di (OMISSIS), ove sia il B. che essa attrice erano intenzionati a creare un complesso immobiliare; che nell’ambito dell’accordo essa deducente avrebbe dovuto prestare consulenza “progettuale ambientale”, in ragione della particolare conoscenza dei luoghi dal punto di vista agricolo e venatorio; che, una volta acquistato il diritto di opzione, il B. avrebbe potuto esercitarlo personalmente o tramite terzi, ovvero cederlo ad essa attrice dietro corrispettivo di L. cinquanta milioni; che come corrispettivo il B. avrebbe dovuto versare all’attrice l’importo di L. 1.500.000.000 contestualmente all’inizio dei lavori interessanti l’insediamento immobiliare, il 10% del ricavato dalla vendita del complesso immobiliare e ulteriori importi pari alle utilità nascenti dai diritti di uso e gestione della parte non edificata dei terreni oggetto dell’opzione; che il B., pur essendogli stato procurato il diritto di opzione, non l’aveva nè esercitato nè l’avere ceduto all’esponente entro il termine pattuito consensualmente, prorogato fino al 1 gennaio 1996.

Sulla base di tali premesse, l’attrice chiedeva dichiararsi risolto per inadempimento del convenuto l’indicato accordo e condannarsi il medesimo al risarcimento del danno emergente, nella misura di L. 1.500.000.000, e di quelli da mancato guadagno che si riservava di precisare in corso di causa.

Il convenuto si costituiva e, oltre a contestare la fondatezza delle avverse domande, svolgeva domanda riconvenzionale di risarcimento danni sulla base di un’asserita inadempienza dell’attrice.

Il Tribunale, con sentenza del 2001, respingeva le domande di parte attrice e dichiarava inammissibile perchè tardiva la riconvenzionale del convenuto.

La sentenza veniva appellata dalla GI.BI. Service e, nella resistenza del B., la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 17 febbraio 2005, in parziale accoglimento dell’appello dichiarava la risoluzione della convenzione del 9 gennaio 1995 per l’inadempimento del B., ma rigettava la domanda di risarcimento danni della medesima.

p.2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione in via principale la s.r.l. GI.BI. Service.

Ha resistito con controricorso il B., svolgendo altresì ricorso incidentale, cui la ricorrente principale ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Preliminarmente il ricorso incidentale va riunito a quello principale, in senso al quale è stato proposto.

2. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 e ss.” e ci si duole che la Corte territoriale, nonostante l’accoglimento della domanda di risoluzione della convenzione del 9 gennaio 1995 per il grave inadempimento del B., abbia rigettato la domanda risarcitoria formulata con riferimento al danno da lucro cessante, identificato in quanto la ricorrente principale avrebbe potuto conseguire per effetto dell’esecuzione del contratto. La sentenza impugnata avrebbe ritenuto infondata la domanda “perchè per un verso postulava l’esistenza di una mera chance e, per altro verso, mirava ad ottenere le medesime utilità economiche contrattualmente previste in ipotesi di conclusione positiva del contratto”. Tale statuizione sarebbe errata perchè in contrasto con l’espressa previsione dell’art. 1453, comma 1, ultima parte, là dove fa salvo il risarcimento del danno sia che venga domandato l’adempimento sia che venga domandata la risoluzione del contratto.

2.1. Il motivo è anzitutto inammissibile, perchè non indica con quali espressioni della sua motivazione la sentenza sarebbe stata commessa la denunciata violazione di legge (al riguardo, si ricorda che è stato statuito che “Quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione e falsa applicazione della legge e non risultano indicate anche le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (ex multis, Cass. n. 12984 del 2006).

p.2.1. Il motivo sarebbe in ogni caso infondato, perchè postula, peraltro – peraltro in modo tutt’altro che chiaro – un’esegesi dell’art. 1453 c.c., comma 1, nel senso che l’accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento dovrebbe automaticamente determinare il riconoscimento di un risarcimento del danno, mentre è chiaro che la norma de qua intende solo far salvo il diritto al risarcimento nonostante la risoluzione (ma non diversa previsione è data per il caso di condanna all’adempimento). Tale salvezza è prevista, tuttavia, a livello astratto, cioè come diritto che non è precluso far valere pur ottenuta la risoluzione, ferma, però, la dimostrazione dei suoi fatti costitutivi e, quindi, della verificazione di un danno. Se essa non viene fornita, la pronuncia della risoluzione per inadempimento non potrà essere accompagnata dall’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni.

Sicchè non vi era alcun automatismo del riconoscimento del danno per effetto della declaratoria della risoluzione per inadempimento del contratto.

p.3. Con il secondo motivo del ricorso principale è prospettata “motivazione carente e contraddittoria e carenza assoluta di motivazione su un punto fondamentale della domanda (risarcimento in via equitativa ex art. 1226 c.c.)”.

Il vizio è dedotto “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

p.3.1. Ora, stante tale modalità di deduzione, il motivo, già in relazione alla sua intestazione e, quindi, individuazione alla stregua di quanto prescrive l’art. 366 n. 4 nel testo anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006 (applicabile nella specie) appare irriducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., atteso che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, attiene alla ricostruzione della c.d. quaestio facti e non si comprende come possa prospettarsi un simile vizio in punto di risarcimento dei danni “ai sensi dell’art. 1226 c.c.”.

E’ palese che il vizio derivante dal mancato riconoscimento di un risarcimento ai sensi di detta norma sarà un vizio di violazione di essa, eventualmente sotto il profilo che la fattispecie fattuale che era stata dimostrata in atti avrebbe potuto essere sussunta sotto la norma dell’art. 1226 e, quindi, giustificarne l’applicazione.

p.3.2. Se si supera tale preliminare ragione di inammissibilità e si passa alla lettura dell’illustrazione del motivo, in effetti essa rivela che non si critica la sentenza impugnata per avere erroneamente ricostruito la quaestio facti, ma si svolgono considerazioni che, sull’assunto che la sentenza impugnata avrebbe escluso l’esistenza del danno solo “con riferimento agli specifici corrispettivi previsti dal contratto in ipotesi di sua perfetta esecuzione”, evidenziano nella prima parte l’omesso riconoscimento di profili di danno ulteriori che erano stati dedotti e lo erano stati in particolare nella conclusionale d’appello e, quindi, un errore di diritto. Peraltro, non si individuano espressamente tali danni, ma si enuncia, non è dato sapere se alludendo al contenuto di detta conclusionale, che se il B. avesse adempiuto entro la data del 1 dicembre 1995, avrebbe potuto alternativamente cedere l’opzione alla GI.BI., facendola subentrare nei diritti che le competevano, esercitare l’opzione e pagare a GI.BI. i corrispettivi previsti nel contratto, cioè L. 1.500.000.000 ed il 10% dei ricavi provenienti dalla vendita del complesso immobiliare e le ulteriori utilità rinvenimenti dal diritto d’uso e di gestione a tempo illimitato della parte non edificata dei terreni, mentre, decorso quel temine, avrebbe potuto soltanto esercitare il diritto di opzione non ceduto, con diritto della GI.BI. al corrispettivo convenuto. Da tanto si desume che il B. avrebbe provocato alla GI.BI, “un danno pari, nella sua componente di lucro cessante, a tutte le utilità che sarebbero conseguite in caso di esecuzione del contratto”, da liquidare in via equitativa, come richiesto dalla GI.BI..

Queste deduzioni palesano che il motivo svolge considerazioni tese ad evidenziare un preteso errore di diritto.

Senonchè, l’apprezzamento di tale errore postula la conoscenza del tenore degli accordi fra le parti, cioè del contenuto della convenzione, che non solo non è riprodotta in parte qua, ma nemmeno è indicata come prodotta in questa sede di legittimità, siccome avrebbe richiesto il principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione (su cui si veda, fra tante, Cass. n. 12239 del 2007).

p.3.3. Nel prosieguo, il motivo svolge ulteriori considerazioni che dovrebbero evidenziare che la negazione del risarcimento del danno sarebbe avvenuta senza considerare il contenuto della convenzione del gennaio 1995 e senza considerare alcune dichiarazioni testimoniali. La mancata indicazione del se e dove sia stata prodotta la convenzione, della quale si trascrive il solo art. 1, e del contenuto delle dichiarazioni testimoniali, nonchè dell’udienza di assunzione, palesano il difetto di autosufficienza del motivo, che, perciò appare inammissibile. Anche per questa parte il motivo è, pertanto, inammissibile.

Nella sua parte espositiva finale, il motivo denuncia, poi, che, pur prescindendo dal danno relativo alla mancata consecuzione delle utilità che si sarebbero conseguire in caso di puntuale esecuzione del contratto, la Corte capitolina avrebbe “omesso di considerare che gran parte delle attività a carico di GI.BI. erano già compiute” e precisamente che l’opzione era già stata esercitata, che la progettazione era stata realizzata anche attraverso l’edificabilità concessa dal Comune di (OMISSIS), che era già iniziata l’elaborazione di un progetto tecnico – architettonico dal quale erano derivate campagne promozionali, prenotazioni. Tali attività erano state portate a termine con la fattiva collaborazione di GI.BI. Tanto dimostrerebbe l’errore compiuto dalla Corte territoriale.

La consecuzione di tale affermazione dalle allegazioni precedenti non è spiegata, però, in alcun modo. Non solo: le circostanze di cui si sarebbe omessa la considerazione non figurano in alcun modo considerate nella sentenza impugnata e, quindi, era onere della ricorrente indicare se e dove erano stare prospettate al giudice d’appello.

Si afferma, poi, apoditticamente che il semplice esercizio delle attività connesse allo sfruttamento agricolo e forestale dei terreni, avrebbe dato ritorni economici certi e non integrava mera chance. Ancora una volta, tuttavia, l’affermazione non è posta in relazione con la motivazione della sentenza impugnata, si che riesce impossibile individuare in che termini dovrebbe rappresentare una censura ad essa.

p.3.4. Si adduce, poi, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare “i danni subiti da GI.BI per l’inutile decorso di tutto il tempo di vigenza del contratto” ai fini di una liquidazione del danno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., e si torna a prospettare che tale liquidazione sarebbe dovuta avvenire in via automatica per effetto del riconosciuto inadempimento. Vi sarebbe stata perciò omessa motivazione.

Tale prospettazione, a parte la sua assoluta genericità (atteso che non è dato comprendere che cosa si intenda con l’espressione “danni subiti per l’inutile decorso della vigenza del contratto”) ed a parte l’omessa indicazione di dove essa sarebbe stata fatta valere davanti al giudice d’appello, sarebbe comunque infondata alla luce di quanto, a proposito dell’invocato automatismo risarcitorio, s’è detto a proposito del primo motivo. Del resto, la liquidazione equitativa del danno concerne suppone che i fatti integratori del danno nell’an siano dimostrati.

p.3.5. L’illustrazione del motivo si conclude, quindi, con un’affermazione che appare incomprensibile, cioè che la Corte romana avrebbe errato nel ritenere il nesso di causalità tra il danno lamentato come perdita di chance e l’inadempimento sarebbe emerso dalle risultanze istruttorie: probabilmente nella esposizione è mancato un “non”. In ogni caso non si indicano le espressioni della motivazione impugnata con cui sarebbe stata fatta l’affermazione di cui trattasi e tanto rende inammissibile la censura, la quale, poi, lo è anche per altra gradata ragione, in quanto evoca testimonianze non meglio specificate in violazione del principio di autosufficienza.

p.4. Il terzo motivo deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e si duole della compensazione delle spese, perchè, avendo la sentenza d’appello riconosciuto fondata la domanda di risoluzione per inadempimento, vi era una soccombenza del B. e, dunque, il medesimo avrebbe dovuto essere condannato alle spese, perchè si configurava la sua soccombenza parziale.

p.4.1. Il motivo non è pertinente con la motivazione della sentenza impugnata, che ha giustificato la compensazione ravvisando giusti motivi per la particolarità della fattispecie.

Il vizio che si sarebbe dovuto denunciare avrebbe dovuto riguardare la norma che consente di compensare le spese, cioè l’art. 92 c.p.c.. D’altro canto, invocare l’art. 91 c.p.c., deducendo che vi era soccombenza parziale è del tutto contraddittorio, perchè la compensazione per l’esistenza di soccombenza parziale, in disparte la sua previsione normativa, è sempre regolata dall’art. 92 c.p.c..

p.5. Il ricorso principale è, conclusivamente, rigettato.

p.6. Il ricorso incidentale è inammissibile perchè non reca l’esposizione del fatto ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, che è necessaria a pena di inammissibilità anche nel ricorso incidentale (da ultimo, Cass. n. 76 del 2010).

p.7. L’esito negativo dei due ricorsi induce a compensare le spese per l’esistenza della soccombenza di ognuno dei litiganti.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2010

 

 

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