Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15725 del 18/07/2011

Cassazione civile sez. III, 18/07/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 18/07/2011), n.15725

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12499-2009 proposto da:

A.R. (OMISSIS), G.C.

(OMISSIS), quali eredi legittimi del sig. A.F.,

elettivamente domiciliati in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 80, presso

lo studio dell’avvocato MALARA ANTONIO, che li rappresenta e difende

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA, in persona del suo

procuratore speciale, avv. F.M., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G. D’AREZZO 32, presso lo studio

dell’avvocato MUNGARI MATTEO, che lo rappresenta e difende giusta

mandato a margine del ricorso;

– controricorrente –

e contro

AG.MA., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1406/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione 4^ Civile, emessa il 16/10/2007, depositata il 02/04/2008;

R.G.N. 1976, 5933, 5944, 7779/2003.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato MALARA ANTONIO;

Udito l’Avvocato MUNGARI MATTEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa rilevanti ai fini della decisione del ricorso possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Il (OMISSIS) crollò la porzione terminale ovest dell’edificio condominiale sito in (OMISSIS). La rovina coinvolse le strutture a sbalzo dei balconi in cemento armato di quattro piani dello stabile, nonchè le camere adiacenti ai predetti balconi.

La vicenda generò numerosi giudizi, nei confronti, tra l’altro, del Condominio il quale chiamò in manleva e garanzia Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia s.p.a. La società assicuratrice, a sua volta, chiese la condanna di V.M., costruttore dello stabile, e di A.F., progettista e direttore dei lavori, a tenerla indenne e a rimborsarla di qualunque somma fosse stata condannata a pagare a seguito del sinistro e in forza della polizza assicurativa.

Riunite le cause (nn. 37887/90, 12598/91, 15587/91, 27861/91, 48100/91, 20791/91), con sentenza del 27 giugno 2002 il Tribunale di Roma, per quanto qui interessa, condannò Assitalia s.p.a. al pagamento di svariate somme nei confronti dei soggetti lesi dal parziale crollo del fabbricato.

Su gravame della società assicuratrice, la Corte d’appello, in data 2 aprile 2009, in accoglimento della domanda di surroga proposta da INA Assitalia s.p.a., ha condannato G.C. e A. R., eredi di A.F., a rimborsare alla società le somme che la stessa ha corrisposto o corrisponderà ai danneggiati in esecuzione delle sentenze di primo e di secondo grado, oltre interessi.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorrono A.R. e G.C. formulando tre motivi, illustrati anche da memoria.

Resiste con controricorso INA Assitalia s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Col primo motivo gli impugnanti denunciano violazione degli artt. 112 e 346 cod. proc. civ. Sostengono che la statuizione del giudice di prime cure che, addebitando il crollo a invecchiamento della struttura, aveva escluso ogni responsabilità dell’ingegnere A., non erano state impugnate, essendosi INA Assitalia limitata, nelle conclusioni dell’atto di appello, a chiedere, nella denegata ipotesi che fosse stata confermata la condanna del Condominio e fossero state rigettate le eccezioni di prescrizione e di inoperatività della garanzia assicurativa, che venisse accertato il diritto di Assitalia a rivalersi nei confronti degli eredi del progettista.

In sostanza, pur non essendo mai stata impugnata la sentenza del Tribunale sul1laccertata non responsabilità dell’ingegnere A. nel crollo dell’edificio, la Corte d’appello d’ufficio e senza alcuna richiesta, l’avrebbe invece data per scontata.

2 Le critiche sono infondate.

Nella sentenza del Tribunale, in realtà, ad onta degli equivoci passaggi motivazionali richiamati in ricorso, non si rinviene alcuna statuizione in ordine alle pretese avanzate nei confronti di A.F. e men che mai in relazione a quella fatta valere da INA Assitalia, ex art. 1916 cod. civ..

Ora, per quanto risulta dalla pronuncia impugnata, proprio di tale silenzio si era lamentata, con l’atto di gravame, la società assicuratrice, la quale, nel proporre appello, principale e incidentale, aveva specificato la propria domanda con riferimento sia all’ipotesi normativa di cui all’art. 1669 cod. civ., sia a quella di cui all’art. 2043 cod. civ., laddove nel primo grado si era limitata a richiamare gli esiti del procedimento penale a carico del progettista per disastro colposo.

Ne deriva che i rilievi critici dei ricorrenti devono confrontarsi con l’interpretazione data dalla Curia capitolina all’atto di appello, e segnatamente con la ritenuta sufficienza delle deduzioni svolte dall’impugnante a provocare il riesame del fondamento di una responsabilità che non era stata funditus nè affermata, nè negata dal Tribunale. Ed è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che siffatta interpretazione costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando, come nella specie, sia motivato in maniera congrua e adeguata, avuto riguardo all’intero contesto dell’atto e al senso letterale delle parole usate (Cass. civ., 9 settembre 2008, n. 22893).

4.1 Si prestano a essere esaminati congiuntamente i successivi due motivi di ricorso.

Col secondo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., mancanza e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla valutazione delle prove documentali. Le critiche hanno ad oggetto l’affermata addebitabilità della rovina dell’edificio a difetti strutturali dei quali, a giudizio della Corte, era responsabile il progettista, e tanto in contrasto con le conclusioni del consulente nominato nel giudizio civile. Riportati ampi stralci del parere dell’ausiliario, evidenziano come, a parere di tale esperto, la debolezza strutturale dell’immobile non era ascrivibile a difetto di progettazione, ma a vizi di costruzione. Si dolgono poi che nessuna rilevanza sia stata attribuita al documento in data (OMISSIS), col quale l’ A. aveva rinunziato alla direzione dei lavori, segnatamente deducendo che erroneamente il giudice a quo aveva posto a fondamento della sua decisione un documento di collaudo, che in realtà era totalmente estraneo ai fatti di causa, essendo relativo ad altro fabbricato e ad altro progetto.

4.2 Col terzo motivo gli impugnanti deducono che il giudice di merito avrebbe violato il principio della indipendenza del giudizio civile rispetto a quello penale, contemporaneamente pendente in ordine agli stessi fatti di causa. E invero erroneamente la Corte capitolina avrebbe privilegiato le prove raccolte in quella sede, e ciò tanto più che, come espressamente riconosciuto dal decidente, il giudicato penale non era stato azionato.

5 Anche tali critiche non hanno pregio.

Nel motivare il suo convincimento il giudice di merito ha osservato che le cause del disastro erano state concordemente individuate, sia dagli esperti nominati in sede penale, che da quelli officiati nel giudizio civile, nella perdita di continuità tra la parte anteriore a sbalzo della terrazza del piano attico e le retrostanti travi, il tutto dovuto a difetto strutturale del fabbricato, e precisamente a errore di calcolo delle dimensioni e dello spessore della mensola terminale del portale frontale, nonchè a errore di progettazione dell’ancoraggio delle barre d’armatura nella sezione d’incastro.

Ha anche aggiunto che irrilevante era la pretesa rinuncia alla direzione dei lavori effettuata dall’ A. nel (OMISSIS), avendo lo stesso presenziato al collaudo, avvenuto nel (OMISSIS), proprio come direttore dei lavori.

6 Trattasi di apparato motivazionale esaustivo e convincente, esente da aporie e da contrasti disarticolanti con il contesto fattuale di riferimento a sol considerare che negli stessi stralci della relazione di consulenza riportati nel secondo motivo di ricorso, a sostegno della negativa valutazione della responsabilità del progettista, da parte di quell’esperto, si parla di esigua larghezza della sezione (della mensola), di insufficiente ancoraggio delle barre della trave Vierendel, e, in definitiva, di una resistenza dell’edificio apparentemente adeguata, ma in realtà con un margine di sicurezza quasi nullo. Nè gli impugnanti chiariscono in alcun modo a chi, se non al progettista e al direttore dei lavori, siffatte anomalie andassero imputate.

Peraltro, quanto sin qui esposto sulle argomentate ragioni della decisione, disvela l’assoluta inconsistenza del denunciato appiattimento del giudice di merito sugli esiti del processo penale, i cui accertamenti sono stati invece autonomamente rivalutati nella sentenza impugnata.

7 Con specifico riferimento, poi, alla pretesa rinuncia dell’ A. alla direzione dei lavori, la deduzione dell’estraneità alla vicenda dedotta in giudizio del documento di collaudo assunto dalla Corte d’appello come dato indicativo della perdurante titolarità in capo al progettista del predetto incombente, oltre a essere nuova, difetta di autosufficienza. E invero il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere, riguardante il cd. contenente, va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere assolto trascrivendo o riassumendo il contenuto del documento (Cass. civ. 4 settembre 2008, n. 22303). Ora, nella fattispecie non solo entrambi gli oneri sono rimasti inadempiuti – laddove la violazione anche di uno soltanto di essi rende la censura inammissibile – ma neppure risulta indicato il momento processuale in cui la deduzione difensiva è stata sollevata, laddove tale indicazione era necessaria al fine di dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità dell’asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440).

8 In definitiva le censure svolte nei motivi di ricorso in esame, attraverso la surrettizia evocazione di errori di diritto e di vizi motivazionali, in realtà inesistenti, mirano a sollecitare una rilettura dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità.

Il ricorso è respinto.

I ricorrenti rifonderanno alla controparte le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.200,00 (di cui Euro 6.000,00 per onorari), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2011

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