Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15724 del 18/07/2011

Cassazione civile sez. III, 18/07/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 18/07/2011), n.15724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ANAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli

Uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difesa per

legge.

– ricorrente –

contro

B.G. (OMISSIS), B.L.

(OMISSIS), F.B.E. (OMISSIS), B.

B. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA BOEZIO 27, presso lo studio dell’avvocato MEISSNER EGMONT,

rappresentati e difesi dagli avvocati CASSANITI ANTONINO, MESSINA

ANTONIO giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 17/2009 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, Sezione Civile, emessa l’8/01/2009, depositata il

24/01/2009; R.G.N. 331/2005.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE. AMENDOLA;

udito l’Avvocato MESSINA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa possono essere così ricostruiti sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 5 novembre 1992 B.E.F., B.G., B.L. e B.B. convennero innanzi al Tribunale di Caltanisetta l’ANAS, chiedendo di essere risarciti dei danni patiti a seguito della morte di B.E., rispettivamente marito della prima, e padre degli altri, nell’incidente verificatosi il 26 ottobre 1988. Esposero che quel giorno il loro dante causa, mentre a bordo della propria autovettura percorreva l’autostrada Palermo – Catania, era andato a collidere contro un asino vagante sulla corsia, sbandando, a seguito dell’urto, e finendo in un burrone.

Resistette l’Ente.

Con sentenza del 21 settembre 2005 il giudice adito accolse la domanda, per l’effetto condannando l’ANAS al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 666.351,87.

Proposto dal soccombente gravame, la Corte d’appello, in data 24 gennaio 2009, ha ridotto a Euro 586.258,25 l’importo complessivamente dovuto agli istanti a titolo risarcitorio.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’ANAS, formulando tre motivi, con pedissequi quesiti.

Resistono con controricorso, illustrato anche da memoria, B. E.F., B.G., B.L. e B. B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante lamenta violazione degli artt. 112, 329, 345 e 346 cod. proc. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4.

Deduce che nell’atto introduttivo del giudizio gli attori, adducendo a fondamento della loro pretesa la condotta negligente dell’ANAS, avevano invocato la tutela offerta dall’art. 2043 cod. civ. e tale impostazione avevano mantenuto anche nella comparsa di costituzione in sede di gravame posto che, esclusa espressamente dal Tribunale l’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ., non avevano proposto specifiche censure contro il relativo capo della sentenza nè avanzato appello incidentale condizionato.

A fronte di tale iter processuale, non poteva la Corte d’appello inquadrare la fattispecie nell’ambito dell’art. 2051 cod. civ., risultando in tal modo violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ.. E invero, secondo la giurisprudenza della Corte Regolatrice (confr. Cass. civ. 30 luglio 2007, n. 20730), solo al giudice di primo grado è riconosciuto l’incondizionato potere di qualificazione della domanda, laddove il giudice del gravame non può modificare ex officio la qualificazione operata in prime cure, in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello e della presunzione di acquiescenza dettata dall’art. 329 cod. proc. civ..

1.2 Con il secondo mezzo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2051 cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Ricordati i principi che presidiano la materia della responsabilità da cose in custodia, sostiene, in subordine, che la presenza dell’asino sull’autostrada costituì una situazione di pericolo estemporaneo creato da terzi, non conoscibile, nè eliminabile con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, e quindi estranea all’area dei rischi di cui deve rispondere il gestore. La Corte avrebbe quindi violato l’art. 2051 cod. civ. allorchè aveva addossato al custode di un bene demaniale di uso pubblico rischi di cui lo stesso non può essere chiamato a rispondere.

1.3 Col terzo motivo si deduce mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5. Il giudice a quo avrebbe invero omesso di prendere posizione sulla questione, emersa in maniera inconfutabile dalla prova orale espletata, della esistenza sull’autostrada di recinzioni pienamente idonee ad escludere l’ingresso di animali. In tale contesto appariva evidente che l’evento si era verificato per fatti del tutto imprevedibili – come la caduta dell’animale durante il trasporto – tali da non potere essere casualmente ricondotti agli oneri di custodia a carico dell’ANAS. 2.1 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente, per la loro evidente connessione, sono infondate.

Con specifico riguardo a quelle svolte nel primo mezzo, mette conto evidenziare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Curia territoriale non ha affrontato il problema dell’inquadramento della fattispecie nell’ambito della tutela assicurata dall’art. 2051 cod. civ. senza un impulso di parte. A pagina quattro della sentenza impugnata si da invero atto che le parti appellate avevano specificamente insistito per l’applicazione dei più pregnanti presidi offerti dalla norma codicistica testè richiamata e proprio in ragione di tale linea difensiva il decidente ha ritenuto di dovere preliminarmente affrontare la relativa questione alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale intervenuta in materia.

Il motivo si risolve allora nella denuncia di insufficienza della mera riproposizione della causa petendi disattesa, e della necessità che essa assuma invece le forme dell’appello incidentale.

Ora questa Corte ha già avuto modo di affermare, proprio con riferimento a un caso in cui il giudice del gravame aveva inquadrato la fattispecie nell’art. 2051 cod. civ., in tal modo modificandone la riconduzione nell’ambito dell’art. 2043 cod. civ., proposta dall’attore e accolta dal primo decidente, che l’indicazione nell’atto introduttivo, e la conseguente applicazione in primo grado, di una norma che costituisce titolo di responsabilità diverso da quello realmente esistente, e correttamente individuato nel giudizio di appello, non comporta la formazione di un giudicato implicito, trattandosi di mera qualificazione giuridica del fatto storico addotto a fondamento della richiesta risarcitoria. In siffatta prospettiva, mentre è stato segnatamente escluso che l’attore, totalmente vittorioso in primo grado, abbia l’onere di proporre appello incidentale al fine di far valere la possibilità che la responsabilità del danneggiante, accertata sul piano fattuale, sia riconducibile a una diversa fonte, ci si è spinti ad affermare che rientra nel potere ufficioso del giudice di merito, in qualsiasi fase del procedimento, il compito di qualificare giuridicamente la domanda e di individuare conseguentemente la norma applicabile (confr. Cass. civ., 5 settembre 2005, n. 17764).

2.2 In ogni caso è consolidata la massima, pienamente condivisa dal collegio, che la parte rimasta totalmente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame delle domande e delle eccezioni respinte, ritenute assorbite o comunque non esaminate con la sentenza impugnata, essendo sufficiente la riproposizione di tali domande o eccezioni in una alle difese del giudizio di secondo grado (confr. Cass. civ. 26 novembre 2010, n. 24021; Cass. civ. 24 maggio 2007, n. 12162; Cass. civ. 13 aprile 2007, n. 8854; Cass. civ. 22 gennaio 2004, n. 1103; Cass. civ. 19 aprile 2002 n. 5721).

2.3 A ciò aggiungasi che, nel motivare il suo convincimento, il giudice di merito, non solo ha ritenuto indimostrata la ricorrenza di un caso fortuito, ma ha altresì escluso che il comportamento del danneggiato avesse inciso nel determinismo dell’evento, segnatamente evidenziando che l’ostacolo improvviso di un animale di grosse dimensioni presente sulla carreggiata, non visibile da lontano, stante l’ora notturna, costituiva un fatto del tutto inaspettato e anomalo.

Ora, tale motivazione, ancorchè inserita in un percorso motivazionale incentrato sull’area normativa dell’art. 2051 cod. civ., si presta a sorreggere una declaratoria di responsabilità anche ex art. 2043 cod. civ., tenuto conto che tale norma – la quale non limita affatto la responsabilità dell’ente proprietario della strada per danni conseguenti all’utilizzo della stessa da parte del soggetto danneggiato alle sole ipotesi di esistenza di un pericolo occulto (cd. insidia o trabocchetto) – esige, da parte del danneggiato, la sola prova dell’anomalia del bene, che costituisce fatto di per sè idoneo, in linea di principio, a configurare il comportamento colposo della P.A., mentre spetterà a questa dimostrare le circostanze impeditive della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l’impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo (confr. Cass. 6 luglio 2006, n. 15383).

Ne deriva una sostanziale carenza di interesse del ricorrente a dolersi dell’inquadramento, nell’ambito della responsabilità da cose in custodia, piuttosto che del principio generale del neminem laedere, del titolo sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto fondata la richiesta di risarcimento avanzata dagli attori: e invero la ricostruzione dei fatti accolta nella sentenza impugnata e i principi giuridici che governano la materia non gli avrebbero in ogni caso evitato la pronuncia di condanna.

3 Per il resto le censure si risolvono in una sollecitazione alla rilettura dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimità.

La Corte territoriale non ha invero affatto ignorato le difese opposte dall’Ente convenuto al fine di contestare la sussistenza dei presupposti per l’affermazione della sua responsabilità quali, tra l’altro, la caduta, imprevista e imprevedibile dell’animale da un mezzo di trasporto: semplicemente, valutato il contesto probatorio di riferimento, ha escluso che vi fosse la prova di elementi esterni inseritisi nella determinazione causale che possano integrare gli estremi del caso fortuito.

4 Il ricorso deve in definitiva essere integralmente rigettato.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 11.200,00 (di cui Euro 11.000,00 per onorari), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2011

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