Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15720 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 23/07/2020), n.15720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27085/2014 R.G. proposto da:

P.G., C.F. (OMISSIS), rapp.to e difeso, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Giuseppe Galante e avv.

Antonino Piacentini del Foro di Bergamo, elett. dom.to in Roma, Via

Trionfale n. 21, presso lo studio dell’avv. Eugenio Carpinelli;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA delle ENTRATE, C.F. (OMISSIS), rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia Sez. Staccata di Brescia n. 1767/63/14, depositata il 1

aprile 2014, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre

2019 dal Cons. Luigi Nocella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.G., esercente attività di imprenditore edile, con distinti ricorsi impugnava innanzi alla CTP di Bergamo gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) e N. (OMISSIS), notificatigli, in esito alla verifica eseguita dalla G.d.F. di Treviglio, dall’Agenzia delle Entrate di Bergamo, con i quali questa aveva accertato, rispettivamente per gli esercizi 2005 e 2006, maggiori imponibili IRPEF ed IRAP rispettivamente di Euro 7.214,00 ed Euro 19.981,00 e recuperato IVA per Euro 5.040,00 ed Euro 13.960,00, irrogando le connesse sanzioni; il tutto sul presupposto dell’emissione nel corso del 2005 di una fattura e nel 2006 di tre fatture per operazioni inesistenti nei confronti della falsa committente EFFECIZETA s.r.l. operante in Chiuduno, posta in liquidazione e poi dichiarata fallita.

Il ricorrente censurava l’accertamento, deducendo che i documenti fiscali (fatture) ritrovati nella contabilità della EFFECIZETA, da lui mai emessi, erano apocrifi, che i suoi rapporti professionali con detta Società, regolarmente fatturati, erano cessati nel 2004; che la medesima situazione di falsa fatturazione da parte della stessa Società si era verificata con altre imprese.

Nel costituito contraddittorio con l’Agenzia resistente, l’adita CTP pronunciava sentenza N. 114/08/2012, con la quale respingeva i ricorsi riuniti e condannava il ricorrente alla rifusione delle spese.

L’appello proposto dal P. avverso detta decisione è stato rigettato dalla CTR della Lombardia con la sentenza indicata in epigrafe, e l’appellante è stato condannato alle ulteriori spese del grado.

Il Giudice d’appello ha ritenuto che “A fronte del dato di fatto di fatture che risultano emesse dalla ricorrente e che appaiono essere del tutto simili a quelle prodotte a confronto, la parte si è limitata ad affermare che le fatture erano false. Detta affermazione, non confortata dal alcun elemento indiziario, non può certamente superare il dato di fatto delle fatture non contabilizzate. Nè a tal fine può essere utile la notizia che diversi imprenditori sono rimasti vittime di raggiri del tipo denunciato dalla ricorrente, non risultando…che la Effecizeta fosse coinvolta in detto raggiro. Nè va trascurata la circostanza che la querela presentata dalla ricorrente…è stata archiviata”.

Il P. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, con ricorso notificato l’11.11.2014, articolato su due motivi, al quale l’Agenzia ha resistito con controricorso notificato il 12.01.2015, spedito il 22.12.2014.

Nella camera di consiglio del 12.11.2019, all’esito della relazione del cons. Nocella, la Corte ha deciso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il P. deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo e controverso sopravvenuto nel corso del giudizio, e cioè le dichiarazioni confessorie rese dal legale rapp.te della EFFECIZETA nel processo penale intentato a suo carico, tempestivamente prodotte in grado di appello, che, ancorchè dotate di mera valenza indiziaria e liberamente valutabili dal Giudice, avrebbero potuto e dovuto essere al centro di una nuova valutazione del complesso probatorio acquisito agli atti, e sono invece state totalmente ignorate dalla CTR.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, per avere la CTR assunto quale presupposto del suo iter argomentativo ciò che era oggetto del thema disputandum et probandum, e cioè l’effettiva provenienza delle fatture dal ricorrente. Premessa l’infondatezza dell’affermazione della palese difformità delle fatture trovate in possesso della EFFECIZETA rispetto al modello tipicamente utilizzato dalla ditta P., stante la natura medesima di quel documento fiscale che non consente di accertarne la provenienza, la falsità della fattura può essere predicata soltanto in termini di falso contenuto o di falsa provenienza, che sono quindi il vero oggetto del giudizio di verifica dell’autenticità del documento; laddove la CTR avrebbe dato per assunto proprio quello che era l’oggetto essenziale del tema di prova, omettendo qualsiasi esame del fatto da accertare, e quindi pervenendo ad una motivazione del tutto apparente.

Va preliminarmente escluso che possa ravvisarsi l’inammissibilità del primo motivo di ricorso dedotta dall’Agenzia resistente per l’assunta ricorrenza della situazione prevista nell’art. 348 c.p.c., comma 4 e 5, (introdotti con L. n. 184 del 2012): infatti l’appello è stato notificato dal P. in data anteriore al giorno 11.09.2012, data dalla quale debbono intendersi applicabili le nuove norme processuali che hanno modificato il giudizio d’appello (cfr. Cass. sez. V ord. 11.05.2018 n. 11539; Cass. sez. V 18.12.2014 n. 26860).

In punto di diritto deve premettersi che è affermazione costante di questa Corte, in relazione alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come introdotta dalla L. n. 184 del 2012, art. 54, soprattutto a seguito della fondamentale Cass. SU 7.04.2014 n. 8053, che il fatto il cui esame deve considerarsi omesso ai sensi del parametro di ricorribilità ex art. 360 c.p.c., n. 5, (così come prima quello oggetto di censura per omessa motivazione) deve consistere in un preciso evento naturalistico, il cui esame (e prova) avrebbe con certezza condotto ad una diversa statuizione del Giudice del merito (tra le più recenti cfr. Cass. sez. VI-I ord. 6.09.2019 n. 22397; Cass. sez. II ord. 29.10.2018 n. 27415; Cass. sez. V 3.10.2018 n. 24035; Cass. sez. L 25.06.2018 n. 16703; Cass. sez. III 8.03.2017 n. 5795; Cass. sez. I 8.09.2016 n. 17761).

Orbene, sotto un primo profilo va rilevato che il P. non si duole della mancata individuazione ed esame del fatto decisivo della controversia, in ordine al quale la CTR ha svolto le sue chiare e comprensibili argomentazioni (che infatti il ricorrente censura nel motivo successivo); ma piuttosto dell’omesso esame di una fonte di prova offerta ai fini del suo completo apprezzamento (dichiarazioni confessorie del sig. R.M.), chiedendo sostanzialmente una nuova valutazione del materiale di prova acquisito; sotto altro profilo è lo stesso ricorrente ad ammettere, nell’articolazione del motivo, che la valutazione delle dichiarazioni rese dal terzo imputato o indagato in un giudizio penale a suo carico, non introducendo elementi di assoluta certezza storica, non avrebbe potuto che essere rimessa al libero apprezzamento del Giudice di merito, escludendo così che la prova la cui valutazione si assume pretermessa possa essere considerata decisiva nel senso di determinare una diversa o difforme decisione in merito all’indicato fatto decisivo (cfr., e plurimis, anche per le censure afferenti l’analoga ipotesi di mancata ammissione di una prova, Cass. sez. VI-I ord. 17.06.2019 n. 16214; Cass. sez. I ord. 19.02.2018 n. 3290; Cass. sez. II ord. 23.10.2017 n. 24976; Cass. 22.02.2011 n. 4279; nonchè sempre Cass. SU n. 8053/2014, secondo la quale “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”).

Sotto il secondo profilo va rilevato che il ricorrente, pur avendo riportato il testo delle dichiarazioni confessorie rese dal terzo, non ha indicato, in contrasto con il principio di diritto enunciato nella menzionata Cass. SU n. 8053/2014, il locus di tali dichiarazioni, nè ha fornito alcuna indicazione del momento e delle modalità della produzione documentale, sì da consentire alla Corte anche la verifica della veridicità e regolarità dell’introduzione del relativo verbale.

E’ quindi evidente che il reale contenuto della doglianza si identifica sostanzialmente con quella introdotta nel secondo motivo, che appare fondata e meritevole di accoglimento. Invero la motivazione circa il fatto decisivo della non attribuibilità dell’emissione della fattura al P. si riduce all’affermazione che l’appellante non avrebbe dedotto circostanze di fatto tali da suggerire di discostarsi dalla decisione della CTP, poichè “A fronte del dato di fatto di fatture che risultano emesse dalla ricorrente e che appaiono essere del tutto simili a quelle prodotte a confronto”, non sussisterebbero altri elementi di prova contraria. Orbene, tali fugaci e tautologiche affermazioni sono del tutto inadeguate a rendere ragione delle fonti di convincimento del Giudice circa quello che è l’oggetto dell’indefettibile valutazione demandati al Giudice dell’appello dall’atto di proposizione del gravame, e cioè circa l’avvenuta reale emissione della fattura da parte del soggetto apparentemente emittente: infatti ai sensi del disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, il momento dell’emissione della fattura si identifica con quello della sua “consegna o spedizione all’altra parte” o della sua “trasmissione per via elettronica”, ai quali possono essere parificati altri segni o annotazioni che ne facciano presupporre la provenienza dall’emittente (annotazione nelle scritture contabili o annotazione autografa di saldo ecc.). L’appellante aveva evidenziato nell’appello che dopo il 2004 non aveva intrattenuto rapporti commerciali con la Efficizeta, che la pretesa da parte della CTP di una prova contraria al contenuto delle fatture doveva considerarsi diabolica, e che non sussistevano elementi che comprovassero l’emissione delle fatture, tanto che non erano state neppure annotate nei registri obbligatori; a sostegno di tale tesi, in corso di giudizio aveva prodotto verbali di sopravvenute dichiarazioni autoaccusatorie del legale rapp.te della Effecizeta relative alle circostanze dedotte con l’appello.

Ebbene, la motivazione del Giudice dell’appello, che ha richiamato in parte e replicato in altra parte le affermazioni del Giudice di primo grado, senza farsi carico di un pur sommario vaglio critico dei motivi d’appello, soprattutto quando supportati da prove nuove rispetto a quelle esaminate nel precedente grado, si tramuta in una sostanziale apparenza di motivazione e, quindi, in una carenza della stessa che viola i fondamentali diritti garantiti alla parte dall’art. 111 Cost. e dall’art. 132 c.p.c., n. 4 (Cass. sez. L 25.10.2018 n. 25112; Cass. sez. I ord. 18.06.2018 n. 16057; Cass. sez. VI-V ord. 7.04.2017 n. 9105).

Invero le fatture, apparentemente attribuibili al soggetto dell’attuale accertamento, erano state reperite nella documentazione contabile del diverso soggetto che le ha utilizzate come fonti di costi deducibili; sicchè la circostanza della loro autenticità avrebbe dovuto essere oggetto di verifica e di prova da parte dell’Agenzia delle Entrate, che ne avesse voluto trarre fonte di prova contro l’apparente emittente, nel senso di accertarne l’effettiva provenienza da parte di quest’ultimo, che la contestava anche in appello.

Ebbene la CTR ha confermato il giudizio di effettività dell’emissione delle fatture nel 2005 sulla base dei medesimi argomenti adottati dalla CTP, dando per dimostrato, sulla scorta della mera apparenza della somiglianza grafica e della mancata prova contraria della non avvenuta esecuzione delle prestazioni fatturate, ciò che avrebbe dovuto essere l’esito finale dell’accertamento giudiziario, e cioè l’avvenuta emissione delle fatture; e, nonostante l’appellante avesse articolato specifiche doglianze circa gli argomenti logici utilizzati dai primi Giudici ed avesse introdotto ulteriori fonti di prova in proposito, non si è fatta carico della loro pur sommaria ma identificabile confutazione, così non garantendo il minimo motivazionale costituzionalmente garantito.

Pertanto con l’accoglimento del motivo il processo deve essere rinviato alla CTR della Lombardia in diversa composizione per nuovo esame alla luce delle ragioni che hanno condotto all’accoglimento del ricorso e per la statuizione sulle spese processuali anche della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte respinge il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa e rinvia alla CTR della Lombardia in diversa composizione per nuovo esame anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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