Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15718 del 18/07/2011

Cassazione civile sez. III, 18/07/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 18/07/2011), n.15718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato PAGLIARINI

VEZIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MIUCCIO

GIUSEPPE, MARCHETTI ALESSANDRO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE ROMA (OMISSIS), in persona del Sindaco On.le A.

G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 8,

presso lo studio dell’avvocato BIASIOTTI MOGLIAZZA GIOVANNI

FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PIETRO BONANNI giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4861/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

SEZIONE 1^ CIVILE, emessa il 10/4/2008, depositata il 24/11/2008,

R.G.N. 4226/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2011 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito l’Avvocato PAGLIARINI VEZIO;

udito l’Avvocato GAMBARDELLA DANIELA (per delega dell’Avv. BIASIOTTI

MOGLIAZZA GIOVANNI FRANCESCO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso con l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. T.M. ricorre – affidandosi a cinque motivi – per la cassazione della sentenza n. 4861/08 della Corte di appello di Roma, pubbl. il 24.11.08 e notificata il 25.3.09, con la quale è stata riformata la condanna in suo favore resa dal Tribunale capitolino nei confronti del Comune di Roma per Euro 14.779,02, a titolo di risarcimento del danno cagionato con l’emanazione di un ordine di sospensione di lavori edili qualificato poi illegittimo dal competente giudice amministrativo.

1.2. In particolare, andando in contrario avviso rispetto al primo giudice, la Corte territoriale ha escluso il nesso eziologico tra l’ordine ed il ritardo nel completamento dei lavori, consistenti nella realizzazione di un secondo bagno nell’unità immobiliare del T., nonchè la sussistenza della prova di un qualsiasi danno risarcibile.

1.3. Resiste con controricorso il Comune di Roma; e, per la pubblica udienza del 17 maggio 2011, illustrate da entrambe con memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. le rispettive posizioni, le parti svolgono la discussione orale ed il ricorrente deposita note di udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Il ricorrente impugna la gravata sentenza:

2.1. con un primo motivo, che rubrica “erronea esclusione della responsabilità del Comune di Roma, circa i danni patiti dal ricorrente. Violazione degli artt. 114 e 116 c.p.c.113 Cost., violazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 366 bis”; e che conclude con il seguente quesito di diritto:

la Corte, valutate le ragioni di diritto prospettate nella censura in ordine alla mancata applicazione dell’art. 2043 c.c., in ordine al mancato riconoscimento del principio affermato dall’art. 42, comma 2, per il quale il godimento del diritto di proprietà non può subire limiti o costrizioni da parte della P.A., a causa dell’emissione di un provvedimento illegittimo annullato dal giudice amministrativo, dichiari che la sentenza della Corte drappello di Roma deve essere annullata ed enunci la regula iuris con cui affermi che la P.A. deve sempre rispondere dei danni arrecati quando la sua condotta, posta in essere con dolo, colpa grave o colpa lieve, abbia leso il diritto riguardante la proprietà, nel caso in cui la lesione lamentata si sia risolta in una forma di espropriazione illegittima del bene, pur limitata in uno spazio temporale medio lungo e specie quando il bene sia stato colpito da una sanzione che lo ha esautorato del proprio contenuto;

2.2. con un secondo motivo, che rubrica “erronea esclusione del risarcimento spettante all’impugnante (violazione degli artt. 114 e 116 c.p.c., dell’art. 2043 c.c., art. 42 Cost., comma 2, art. 113 Cost., degli artt. 1223, 1226 e 1227 (fatto colposo del creditore) e 1578 c.c. (vizi della cosa locata), in relazione all’art. 360, n. 3 e art. 366 bis c.p.c.”; e che conclude con il seguente quesito di diritto: valuti codesta On.le Corte, dopo aver rilevato che il giudice di secondo grado non poteva escludere l’applicazione degli artt. 114 e 116 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 42 Cost., riguardanti l’obbligo del risarcimento del danno a Favore del ricorrente; affermi, di conseguenza, il principio secondo cui dall’annullamento di un atto amministrativo, che abbia inciso sull’esclusione o sulla limitazione del godimento del diritto di proprietà, discenda, ai sensi del citato art. 2043 c.c., l’obbligo dell’autore del provvedimento annullato di risarcire il danno, asserisca, altresì, che il disagio avvertito dal proprietario di un bene nell’uso o nel godimento dello stesso si traduce sempre in un danno da ristorare, specie se tale disagio si protragga per un lunghissimo periodo, senza che 1’autore dell’atto illecito, pur sollecitato reiteratamente, non abbia compiuto alcunchè per rimuovere le cause generative del danno o per ridurne gli effetti lesivi del diritto incontroverso;

2.3. con un terzo motivo, che rubrica “violazione dell’art. 2043 c.c. degli artt. 114, 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5 e art. 366 bis c.p.c.”, individuando il fatto controverso nell’inagibilità del bagno dello studio del ricorrente e lamentando al contempo l’omissione e la contraddittorietà ed insufficienza della motivazione della sentenza di secondo grado; ma non formulando il momento di sintesi di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.;

2.4. con un quarto motivo, che rubrica “erronea applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” e che conclude con il seguente quesito: valutato il contenuto della fattispecie che si basa sulla sentenza del giudice amministrativo, la Corte statuisca che le spese del giudizio non possono essere poste a carico del soccombente che aveva accampato la propria pretesa in forza del titolo pronunciato dal giudice amministrativo;

2.5. con un quarto motivo, che rubrica “illegittimità costituzionale dell’art. 366 bis c.p.c. in relazione agli artt. 3, 24113 Cost.”, che non conclude con alcun quesito di diritto.

3. Dal canto suo, il controricorrente Comune di Roma:

3.1. lamenta in via preliminare l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., per mancata produzione degli atti e dei documenti su cui quello si fonda;

3.2. nega la fondatezza dei primi tre motivi di ricorso, congiuntamente trattati, traducendosi quelli in un’istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito e quindi diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto; e contesta che la motivazione dei giudici di appello sia in alcun modo viziata;

3.3. eccepisce, specificamente, l’inammissibilità del terzo motivo, per mancata formulazione del quesito richiesto dall’art. 366 bis cod. proc. civ.;

3.4. contesta la fondatezza del quarto motivo;

3.5. si rimette a questa Corte in ordine al quinto.

4. In via preliminare:

4.1. va riconosciuto che al ricorso continua ad applicarsi l’art. 366 bis cod. proc. civ., norma introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 ed applicabile – in virtù del comma secondo dell’art. 27 del citato decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima;

4.2. va disattesa, in quanto manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale della medesima norma prospettata con il quinto motivo di ricorso, secondo quanto espressamente affermato da questa Corte in ordine al capoverso di questa (Cass., ord. 30 dicembre 2009 n. 27680), ma estensibile all’intera previsione normativa e evidente infatti che l’imposizione del quesito non discrimina in alcun modo i cittadini, non lede il loro diritto di agire in giudizio (peraltro esercitato mediante la difesa tecnica di avvocati iscritti nell’apposito albo dei cassazionisti e, perciò, per definizione o in tesi dotati di particolare competenza professionale) e, infine, non impedisce (nè rende estremamente difficile) l’accesso al ricorso per cassazione e la fruizione del relativo rimedio processuale;

4.3. per completezza, manifestamente infondata è pure la questione di legittimità costituzionale della normativa transitoria in ordine alla cosiddetta ultra-attività della norma, dopo la sua abrogazione (Cass. 16 dicembre 2009, n. 26364), in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore disciplinare nel tempo l’applicabilità delle disposizioni processuali e non appare irragionevole il mantenimento della pregressa disciplina per i ricorsi per cassazione promossi avverso provvedimenti pubblicati prima dell’entrata in vigore della più recente novella.

5. Tutto ciò posto, va ricordato allora che, secondo l’elaborazione della giurisprudenza di questa Corte, i quesiti:

5.1. non devono risolversi in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Un., 11 marzo 2008, n. 6420);

5.2. non devono risolversi in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. Sez. Un., 8 maggio 2008, n. 11210);

5.3. devono al contempo comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, tanto che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. 30 settembre 2008, n. 24339);

5.4. devono essere formulati in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; in altri termini, deveono compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v. :

Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769; Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704);

5.5. quanto ai motivi di vizio di motivazione (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v. tra le ultime Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680), la oramai consolidata giurisprudenza di questa Corte esige che il quesito o momento di riepilogo indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (da ultimo, v. Cass., ord. 30 dicembre 2009, n. 27680): occorrendo, in particolare, la formulazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso, nel quale e comunque anche nel quale si indichi non solo il fatto controverso riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, ma anche – se non soprattutto – quali siano le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002); tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo -all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 16 luglio 2007, n. 16002).

6. In applicazione di detti principi al caso di specie:

6.1. i primi due motivi sono inammissibili, non facendosi carico, tanto meno nella formulazione dei quesiti, di censurare la ratio decidendi espressa – e di per sè idonea a sorreggere la finale decisione della carenza di responsabilità del Comune – dalla Corte territoriale in ordine: a) all’ascrivibilità della mancata realizzazione delle opere di collegamento agli impianti al fatto del condominio e non invece del Comune di Roma (pag. 4, rigo quarto e seguenti della sentenza gravata); b) alla presenza di altro e idoneo bagno all’interno della stessa unità immobiliare (pag. 5, rigo terzo e seguente della sentenza gravata) ; ed è appena il caso che non potrebbe colmare tale lacuna quanto sul punto argomentato nella memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. (insussistenza di un obbligo di mettere a disposizione della clientela il proprio bagno, necessità di dotare ogni luogo aperto al pubblico di idonei servizi;

nesso causale tra opposizione del condominio e persistenza dell’illegittimo ordine), la quale ha il solo compito di illustrare quanto in precedenza sostenuto, ma non anche la possibilità di ampliare l’ambito del giudizio di legittimità;

6.2. del resto, nella stessa formulazione dei quesiti si fa riferimento a fattispecie manifestamente non pertinenti al caso in esame, quali la “espropriazione” del bene (derivante dalla mancata disponibilità di un – secondo -servizio igienico) e la sussistenza in re ipsa dell’elemento soggettivo del danno in dipendenza dell’annullamento del provvedimento (tendenzialmente esclusa: per tutte, v. Cass. 10 agosto 2002, n. 12144);

6.3. il terzo motivo di ricorso è inammissibile, per la carenza del momento di sintesi;

6.4. il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che il principio della soccombenza non può dirsi temperato dall’erroneo affidamento sul valore di un provvedimento amministrativo favorevole, che lascia impregiudicato l’onere di valutare compiutamente tutti gli altri elementi costitutivi della fattispecie civilistica, tra cui l’elemento soggettivo in capo all’agente;

6.5. il quinto motivo, benchè in sè privo di quesito di diritto, prospetta una questione di diritto autonomamente rilevabile anche da questa Corte, ma qualificata, per quanto argomentato sopra al punto 4.2., manifestamente infondata.

7. In conclusione, il ricorso va rigettato; quanto alle spese del giudizio di legittimità, peraltro, la diversità delle decisioni in primo e in secondo grado integra un giusto motivo di compensazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2011

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