Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15717 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 23/07/2020), n.15717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27901-2014 proposto da:

GANT PARTNERS SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA LIMA 28, presso lo studio

dell’avvocato SONIA TOMEO, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPINA NEGRO, giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 75/2014 della COMM. TRIB. REG. di CAMPOBASSO,

depositata il 26/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2019 dal Consigliere Dott. RITA RUSSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La s.r.l. GANT PARTNERS impugna l’avviso di rettifica della rendita catastale, determinata in Euro 70.103,00, a fronte di quella proposta dalla società stessa con la procedura DOCFA pari ad di Euro 40.092,00. La CTP di Isernia respinge il ricorso. La società propone appello e la CTR del Molise, con sentenza depositata in 26.3.2014, conferma la sentenza impugnata.

La CTR respinge l’appello richiamando il principio secondo cui “l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati”. Aggiunge inoltre che in appello l’ufficio ha prodotto nuovi documenti che attestano la correttezza del suo operato e cioè una DOCFA presentata dalla stessa società, con la quale nell’accatastare un immobile retrostante con le stesse caratteristiche, la contribuente indica la stessa rendita ritenuta congrua dall’ufficio, con ciò dimostrando di condividerne o accertare l’operato; il giudice d’appello si pronuncia inoltre su una questione specifica dedotta dalla contribuente e cioè la esistenza ed incidenza, ai fini del classamento, di una scala mobile, condividendo la prospettazione dell’ufficio e cioè che si tratta di opera incorporata all’immobile stesso.

2.- Avverso questa sentenza ricorre per cassazione la società affidandosi a cinque motivi. Si costituisce con controricorso la Agenzia delle entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con il primo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 241 del 1990, art. 3, del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10 e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 8. Pur concordando col principio di diritto richiamato dalla CTR, la società sostiene che il suo caso è diverso, in quanto non emerge alcun elemento di fatto dal quale desumere l’iter logico seguito dall’ufficio nella diversa valutazione dei beni, mancando nel fascicolo la stima e non essendo indicati gli immobili per la valutazione comparativa. Deduce in particolare che l’UTE ha attribuito un valore unico per fabbricato e area di sedime, mentre la società aveva proposto valori distinti e non era chiaro se aveva valutato la scala mobile.

Il motivo è infondato.

Il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di questa Corte ed in particolare del principio secondo il quale “In tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale abbia luogo a seguito della procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, conv. in L. n. 75 del 1993 e del D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (cd. procedura DOCFA) ed in base ad una stima diretta eseguita dall’Ufficio (come accade per gli immobili classificati nel gruppo catastale D), tale stima, che integra il presupposto ed il fondamento motivazionale dell’avviso di classamento (esprimendo un giudizio sul valore economico dei beni classati di natura eminentemente tecnica, in relazione al quale la presenza e l’adeguatezza della motivazione rilevano ai fini non già della legittimità, ma dell’attendibilità concreta del cennato giudizio, e, in sede contenziosa, della verifica della bontà delle ragioni oggetto della pretesa), costituisce un atto conosciuto e comunque prontamente e facilmente conoscibile per il contribuente, in quanto posto in essere nell’ambito di un procedimento a struttura fortemente partecipativa, con la conseguenza che la sua mancata riproduzione o allegazione all’avviso di classamento non si traduce in un difetto di motivazione (Cass. 17971/2018). Il giudice d’appello ha inoltre correttamente applicato il principio più volte affermato da questa Corte ed al quale il Collegio intende dare continuità, secondo il quale “qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (Cass. 31809/2018; cfr. anche Cass. 30166/2019).

Nella fattispecie, l’ufficio ha soltanto attribuito una diversa e più alta rendita, diversamente valutando gli elementi di fatto già indicati dal contribuente. Quanto al resto, sulle questioni di merito quali la natura della scala mobile, la CTR ha reso un giudizio in fatto di cui in questa sede non si può sollecitare la revisione.

4.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57 e 58, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la CTR ha dato ingresso a documenti nuovi che nella prospettazione della parte- introducono un nuovo tema di indagine e a supporto di eccezioni ormai precluse. Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 118 disp. att., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la CTR avrebbe reso una motivazione perplessa o comunque apparente. Quest’ultimo vizio è fatto valere sotto due profili: quale conseguenza del motivo sub 2) perchè la CTR avrebbe fondato la decisione su un fatto illegittimamente introdotto per la prima volta in appello; inoltre perchè avrebbe omesso di motivare specificamente sulla questione oggetto di causa, assumendo una decisione su una controversia diversa da quella che si è formata e cristallizzata in base al ricorso del contribuente.

I motivi si esaminano congiuntamente e sono entrambi infondati.

L’Agenzia ha depositato in appello documenti nuovi a supporto di mere difese e cioè documenti che attestano che la stessa società nell’eseguire una (successiva) DOCFA per una seconda struttura retrostante con le stesse caratteristiche ha proposto una stima in linea con quella dell’ufficio, nonchè altra documentazione comparativa con immobili in Macchia di Isernia; quest’ultima documentazione non è peraltro posta a fondamento della decisione del giudice d’appello.

Non si tratta quindi di un ampliamento del thema decidendum ma soltanto di una illustrazione della stessa linea difensiva di primo grado sulla congruità della stima, e, quanto al resto, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, consente la produzione in appello di qualsiasi documento (Cass. 29568/2018). Di conseguenza non sussiste neppure il dedotto vizio di motivazione perchè il giudice d’appello ha pronunciato esattamente sul thema decidendum prospettato dalla parte.

5.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), l’omesso esame di fatto decisivo. La parte deduce che non è stato preso in considerazione un fatto decisivo e cioè le caratteristiche intrinseche ed estrinseche dell’immobile, ponendole in relazione all’altro fabbricato della società assunto come similare.

Il motivo è inammissibile.

Si tratta di censure in punto di fatto che non possono essere proposte in questa sede e comunque non si dimostra la decisività del fatto, a fronte di una motivazione fondata su una pluralità di ragioni, nè la sua specifica prospettazione in grado di appello.

6.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. in relazione al R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10, ai sensi del D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 8 e 30. Secondo la ricorrente sarebbe stato violato il principio dell’onere della prova perchè l’Ufficio non avrebbe fornito gli elementi in virtù dei quali ha eseguito la diversa stima. Il vizio consisterebbe dunque nella conferma del provvedimento impugnato senza verificare se l’ufficio abbia adempiuto al proprio onere di provare la pretesa tributaria e senza alcun controllo critico sulla correttezza e sulla coerenza logica e giuridica degli elementi addotti dall’ufficio.

Il motivo è infondato.

Si ripropongono con questo motivo le critiche prospettate nei motivi precedenti, trascurando di considerare che il classamento e l’attribuzione di rendita non promana da una iniziativa dell’ufficio bensì da una DOCFA presentata dal contribuente (Cass. n. 30166/2019).

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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