Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15707 del 18/07/2011

Cassazione civile sez. III, 18/07/2011, (ud. 06/06/2011, dep. 18/07/2011), n.15707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.E., B.D.I., B.P.

(OMISSIS), L.S., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA BORMIDA 4, presso lo studio dell’avvocato AMICI

FRANCESCO, rappresentati e difesi dall’avvocato NATALI LUIGI giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA VIA A CANTORE 5, presso lo studio dell’avvocato PONTECORVO

MICHELE, rappresentato e difeso dall’avvocato TRAVAGLIMI FABRIZIO

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 642/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

emessa il 14/10/2004, depositata il 08/11/2004 R.G.N. 1384/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato NATALI LUIGI; udito l’Avvocato TRAVAGLINI FABRIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7 novembre 2001 il Tribunale di Ascoli Piceno accolse la domanda di retratto agrario proposta da T.F. e per l’effetto dichiarò che l’attore era subentrato nel contratto a rogito notar Cappelli del 4 ottobre 1991, col quale B.P. e L.S. avevano acquistato da B.R. un terreno. Il perfezionamento della cessione fu subordinato al pagamento della somma di L. 7.000.000.

Secondo il decidente il T. aveva dimostrato di possedere tutti i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla L. n. 590 del 1965, art. 8.

Proposto gravame dai soccombenti, la Corte d’appello di Ancona, in data 8 novembre 2004, lo ha rigettato. Così ha motivato il suo convincimento.

Non poteva condividersi che il contratto in relazione al quale era stato esercitato il retratto, andasse qualificato negoziazione tra fratelli, in ordine a un bene di comune provenienza ereditaria …

sostanzialmente insuscettibile di entrare nello stampo del retratto agrario”. Nella fattispecie, invero, non era in atto alcuna comunione tra i coeredi, essendo la stessa cessata da tempo, tanto vero che la vendita non aveva avuto ad oggetto una quota ereditaria, ma un appezzamento di terreno.

Del tutto sfornita di prova era poi rimasta la circostanza che B.P. fosse affittuario del fondo in questione, quanto meno dal 1978. I testi escussi avevano invero concordemente riferito che il terreno era rimasto per anni completamente abbandonato. Nè poteva essere accolta la richiesta degli appellanti di espletare nuova prova per testi, avendo essi di fatto rinunciato alla loro escussione in prime cure.

Infine neppure sussistevano i presupposti per il deferimento del giuramento suppletorio, nè al fine di dimostrare l’allegata qualifica di affittuario del B., mancando la semipiena probatio, nè al fine di provare che il prezzo effettivamente pagato per l’acquisto non era quello indicato nel rogito, bensì la somma di L. 30.000.000, in quanto, come già ritenuto dal Tribunale, la circostanza andava provata a mezzo di controdichiarazione anteriore o coeva all’atto e munita di data certa. Per la cassazione di detta pronuncia ricorrono B.P. e L.S., formulando tre motivi, illustrati anche da memoria.

Resiste con controricorso T.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Col primo motivo gli impugnanti denunciano violazione degli artt. 240, 244 e 257 cod. proc. civ., artt. 2721 e 2736 cod. civ. nonchè vizi motivazionali, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

Sostengono che il giudice di merito, ritenendo che fosse rimasta indimostrata la dedotta titolarità di un contratto di affitto agrario in capo a B.P., avrebbe fatto malgoverno del materiale istruttorio acquisito. Aggiungono che semmai gli elementi di prova emersi dalla compiuta istruttoria dovevano indurre il decidente ad ammettere l’invocato giuramento suppletorio.

2.1 Osserva il collegio che il motivo è, per certi aspetti inammissibile, per altri infondato.

I ricorrenti si dolgono della lettura data dal giudice di merito agli esiti della prova orale espletata, segnatamente svolgendo una dettagliata e a tratti aspra contestazione delle affermazioni dei testimoni, ma senza riprodurne il contenuto.

Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, per come costantemente inteso dalla giurisprudenza di legittimità, esige invece che il ricorrente, il quale si dolga della valutazione di una prova, ne indichi con precisione il contenuto, altresì precisando il punto del fascicolo processuale in cui il mezzo istruttorio sia rinvenibile, di talchè la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il motivo inammissibile (Cass. civ. 4 settembre 2008, n. 22303; Cass. civ. 19 marzo 2007, n. 6440; Cass. civ. 28 febbraio 2006, n. 4405).

2.2 A ciò aggiungasi che l’allegazione dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna all’ermeneutica normativa, attenendo piuttosto alle valutazioni proprie del giudice del merito, valutazioni che sono censurabili in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Resta in ogni caso fermo che non può essere considerato vizio logico della motivazione la maggiore o minore rispondenza della ricostruzione operata dal giudice di merito alle circostanze emerse nel corso del processo o una esposizione dei dati che non instauri tra gli stessi il collegamento ritenuto più opportuno e più appagante, in quanto tutto ciò rimane all’interno della possibilità di apprezzamento e, non contrastando con la logica e con le leggi della razionalità, appartiene al convincimento del decidente, senza renderlo viziato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 26 febbraio 2003, n. 2869).

2.3 Venendo al caso di specie, ritiene il collegio che le critiche formulate in ricorso, attraverso la surrettizia evocazione di violazioni di norme giuridiche e di vizi motivazionali, affatto inesistenti, siano in realtà volte esclusivamente a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità. Valga al riguardo considerare che la Corte territoriale ha ritenuto l’allegata qualifica di affittuario del B. non solo non dimostrata, ma piuttosto smentita dalle deposizioni di tutti i testi escussi, i quali avevano concordemente riferito che il terreno era rimasto per anni e anni assolutamente incolto e abbandonato,A segnatamente rimarcando che tale circostanza era stata avallata dagli stessi appellanti, i quali avevano sostenuto che il fondo era totalmente coperto da vegetazione, tanto da costituire oramai una superficie completamente boschiva. Ne deriva che, in definitiva, ciò di cui i ricorrenti si dolgono è esclusivamente la difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove operato dalla Corte territoriale rispetto a quello da essi preteso, in spregio al principio per cui spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo, salvo i casi tassativi in cui è la legge stessa ad assegnare alla prova un valore legale (confr. Cass. civ., 6 marzo 2008, n. 6064).

2.4 Siffatte considerazioni valgono anche in ordine alle critiche formulate in relazione alla mancata ammissione del giuramento suppletorio al fine di dimostrare, con tale mezzo, la sussistenza del contratto di affitto. E invero l’apprezzamento della Curia territoriale in ordine alla insussistenza dei presupposti per il suo deferimento appare assolutamente in linea con la lettura del contesto probatorio di riferimento, il che rende la relativa valutazione insindacabile in questa sede (confr. Cass. civ. i10 marzo 2006, n. 5240):

3 Con il secondo mezzo gli impugnanti lamentano violazione dell’art. 846 cod. civ. e della L. n. 590 del 1965, nonchè lacune e illogicità dell’iter argomentativo. Nessuna risposta avrebbe dato il giudice di merito ai rilievi volti a rappresentare l’insussistenza, nel T., delle condizioni soggettive e oggettive richieste dalla legge per l’esercizio del retratto, essendo lo stesso un pensionato non più operante in fatiche agricole e del tutto inconsistente la superficie di terreno di cui era titolare.

4 Le censure non hanno pregio.

Esse anzitutto prospettano questioni non trattate nella sentenza impugnata, e quindi nuove, laddove, secondo il costante insegnamento di questo giudice di legittimità, qualora una determinata questione giudica – che implichi un accertamento di fatto – sia stata del tutto ignorata dal giudice di merito, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440). E invero i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, di modo che, salvo che si prospettino profili rilevabili d’ufficio, è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali: e ciò anche nel caso in cui le deduzioni non abbiano ad oggetto eccezioni in senso proprio e consistano invece in mere contestazioni difensive, involgenti comunque accertamenti non compiuti dal giudice del merito perchè non richiestone (confr. Cass. civ., sez. 1, 13 aprile 2004, n. 6989). A ciò aggiungasi che nella fattispecie la deduzione doveva essere tanto più specifica in quanto la Corte d’appello ha riportato con estrema precisione i motivi di gravame, tra i quali non si rinvengono quelli concernenti le condizioni del retratto che ora gli impugnanti vengono a contestare.

5 Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione della legge n. 590 del 1965 nonchè carenza di motivazione con riferimento alla mancata ammissione del giuramento suppletorio per dimostrare il prezzo effettivo di vendita.

6 Le censure sono, ancora una volta, infondate.

Esse sono anzitutto eccentriche rispetto alle ragioni della decisione, posto che non prendono posizione sull’affermata inammissibilità del mezzo, in ragione del vincolo di forma previsto per il contratto.

Peraltro la statuizione del giudice di merito è conforme al principio di diritto per cui la prova sull’esistenza di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam non può essere data a mezzo di giuramento, ostandovi il comb. disp. degli artt. 2722 e 2739 cod. civ. (confr. Cass. civ., 28ottobre 2002, n. 15160).

In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.

Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.500,00 (di cui Euro 2.300,00 per onorari), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2011

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