Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15704 del 28/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 28/07/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 28/07/2016), n.15704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24132 – 2013 proposto da:

CENTRO MERCI INTERMODALE DELLE MARCHE – CE.M.I.M. S.C.P.A. IN

LIQUIDAZIONE (C.F./P.I. (OMISSIS)), in persona del Liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso

l’avvocato GIUSEPPE FONTANA, rappresentato e difeso dall’avvocato

ALESSANDRO LUCCHETTI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE MARCHE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA D. MORICHINI 41, presso l’avvocato MICHELE

ROMANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO

COSTANZI, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12968/2012 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 24/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. DI VIRGILIO ROSA MARIA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato LUCCHETTI A. che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato M. ROMANO che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10/5-24/7/2012, la S.C. ha respinto il ricorso proposto dal Centro Merci Intermodale delle Marche – CE.M.I.M. S.c.p.a. in liquidazione nei confronti della Regione Marche, per ottenere la cassazione della pronuncia della Corte di appello di Ancona depositata il 10/10/2009, con cui era stata rigettata nel merito la domanda della società di condanna della Regione al pagamento della somma di 500 milioni di Lire, corrispondente all’importo attribuito alla Regione dal Ministero dei Trasporti con Decreto del 18 maggio 1989, n. 79/T, come contributo per incentivare la realizzazione di impianti fissi e delle attività di interporto, assegnato alla società con la deliberazione della Giunta regionale del 30 dicembre 1991, n. 7210 e mai corrisposto.

Per la Corte di merito, la società non aveva provato di avere presentato i documenti giustificativi nè che l’opera per la quale era stato concesso il finanziamento fosse realizzabile alla data di riconoscimento del contributo.

Nello specifico, nella pronuncia che qui interessa, questa Corte ha rilevato che col primo motivo la ricorrente aveva in realtà inteso dolersi della scorretta valutazione delle prove, che avrebbe potuto integrare vizio di motivazione, nella specie insussistente; ha ritenuto infondati i due profili del secondo motivo, rilevando: a) quanto al primo, che era corretta l’interpretazione della Corte d’appello della delibera della Giunta regionale n. 7210 del 1991(la parte sosteneva trattarsi di incentivazione sostanzialmente a fondo perduto), non fatta peraltro oggetto di efficace critica, corroborata dal significato letterale delle parole usate nella delibera, nel senso di ritenere la somma in oggetto a titolo di incentivo per la “realizzazione di impianti fissi” e dal disposto di cui alla L. n. 67 del 1988, art. 13, comma 20, per il quale il finanziamento è finalizzato ad incentivare l’effettiva “realizzazione degli impianti fissi, sedi delle attività di interporto”; b) quanto al secondo, con cui la ricorrente si era doluta della mancata ammissione delle prove testimoniali e della mancata considerazione dei documenti prodotti, che la parte era onerata non solo della riproduzione nei suoi elementi essenziali dei capi di prova non ammessi e del contenuto dei documenti, “ma anche di specificare in quale sede processuale il documento sia stato prodotto e la prova orale sia stata chiesta al giudice di primo grado e al giudice di appello”, onere non assolto dalla parte, che si era limitata ad “inserire nel ricorso copia di numerosi documenti, senza tra l’altro analiticamente illustrarli, ovvero a incorporare nel ricorso l’atto di citazione introduttivo del giudizio, nel quale risulta formulato un capitolo di prova testimoniale, omettendo di precisare se e in quale momento processuale il giudice di appello sia stato investito della specifica doglianza di mancata ammissione del medesimo capitolo”.

La Corte ha respinto il terzo motivo, ritenendo infondato il profilo col quale si ritornava sull’interpretazione alternativa dello scopo del finanziamento, ed il secondo, di denuncia di vizio della delibera regionale 7210 del 1991, per avere la Regione esercitato un potere asseritamente spettante al Ministero; ha respinto il quarto motivo(inteso a far valere la mancata disapplicazione della delibera della Giunta regionale 7210 che, ove interpretata in senso impositivo dell’ onere probatorio sulla realizzabilità dell’opera sarebbe stata in contrasto con la L. n. 67 del 1988, art. 13, comma 20, e avrebbe violato il diritto all’assegnazione del beneficio), rilevando che nessun argomento era offerto dalla delibera per l’interpretazione alternativa e che non vi era nessuna compressione del diritto soggettivo della società, tenuto conto della successiva delibera regionale 3214/1992, che aveva disposto formalmente la sospensione dei finanziamenti di cui alla precedente delibera.

Propone ricorso per revocazione il Centro Merci Intermodale delle Marche, facendo valere l’errore di fatto rilevante, ex art. 395 c.p.c., n. 4, sotto tre profili.

Si difende con controricorso la Regione Marche.

La società ricorrente ha depositato la memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel ricorso, la società deduce i difetti di percezione della realtà processuale risultanti nelle pagine 7 e 8 della sentenza 12968/2012, relazionati ai motivi del proprio ricorso per cassazione sub par. 2.2 del secondo motivo e par. 4.3 del quarto motivo, e sostiene che i fatti la cui inesistenza è stata esclusa o supposta sono esclusi dall’atto di ricorso, par. 2.2. del secondo motivo (pagine 180 e 181) e par. 4.3 del quarto motivo(pagine 188 e 189). Nello specifico, la ricorrente prospetta sub 1) l’errore di fatto rilevante, risultando le prove orali indicate nella loro rilevanza e nella sede processuale di formulazione ed istanza, con lo specifico rinvio: 1.1.) alla memoria autorizzata, depositata il 9/5/00 nel primo grado, riportata nel ricorso per cassazione, puntualmente richiamata sia alla lettera c) del par. 4.3. del quarto motivo d’impugnazione con il rinvio alle “pagg. 44 e segg.ti del presente atto” sia alla lettera c) del paragrafo 2.2. del secondo motivo d’impugnazione, con il puntuale rinvio alle “note autorizzate 09 maggio 2000 oggi riprodotte nel corpo del presente atto da pag. 44 a pag. 46 (pag. 180 del ricorso introduttivo); 1.2) alle “specifiche allegazioni” richiamate alla lett. e) del par. 4.3 del quarto motivo d’impugnazione, con il rinvio al “punto n. 2 del par. 1 della conclusionale oggi riprodotta a pag. 142 del presente ricorso”, considerata anche la pag. 146 dell’originario ricorso, che richiama la comparsa conclusionale del grado d’appello, che espressamente riporta: “si insiste per l’accoglimento delle conclusioni – anche in via istruttoria – in atti formulate e richiamate in udienza di precisazione.” Fa valere l’errore percettivo sub 2), per risultare indicate ed illustrate le prove documentali, nonchè la sede processuale di produzione, al par. 2.2 del secondo motivo, pagine 180 e 181 e par. 4.3 del quarto motivo, pagine 188, 189 e 190, a cui facevano specifico rinvio il secondo ed il quarto motivo di impugnazione.

Ed inoltre, dette prove documentali di primo grado risultano indicate ed illustrate, nel corpo del motivo del ricorso per cassazione, come allegate alla “memoria autorizzata” depositata in primo grado il 9/5/00, richiamata nel corpo del quarto motivo di impugnazione alla pag. 180 per il secondo motivo ed alla pag. 188 per il quarto motivo e sono materialmente prodotte nel ricorso ex art. 360 c.p.c., da pag. 51 a 105, in successione rispetto alla memoria autorizzata.

Il Centro prospetta altresì sub 3) l’errore percettivo, per non essere state percepite le articolate deduzioni relative alle ammissioni a valere quale confessione giudiziale della Regione nel corso del giudizio di primo grado in relazione alle intervenute realizzazioni (par. 2.2 del secondo motivo, pag. 180, e par. 4.3 del quarto motivo, pag. 189), nonchè le previsioni dell’art. 30 dello statuto della società, che, stabilendo l’obbligo di devoluzione del patrimonio ad altro soggetto del territorio istituzionalmente preposto a realizzare impianti fissi, assicurano la realizzazione e la continuità di adibizione dei detti impianti al vincolo di destinazione ad interporto(cfr. par. 2.2 del secondo motivo di ricorso, pag. 180 e 181, e par. 4, pag. 189).

Il ricorso è inammissibile.

Come affermato, tra le ultime, nella pronuncia 27451/2013 “costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia incorsa in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (per tutte Cass. 12 dicembre 2012 n. 22868 e Cass. S. U. 30 ottobre 2008 n. 26022); in particolare questa Corte ha ritenuto che: non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di Cassazione, rispetto alla quale il ricorrente deduca l’omesso esame di motivi di censura o di documenti ovvero di circostanze dedotte nel giudizio, ossia di tipici errores in indicando sotto il profilo della asserita erroneità del giudizio di fatto (in cui si estrinseca il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione (Cass. 11 febbraio 2009 n. 3365); una sentenza della Corte di Cassazione non può essere impugnata per revocazione in base all’assunto che abbia male compreso i motivi di ricorso, perchè un vizio di questo tipo costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. 15 giugno 2012 n. 9835); l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., consiste in una svista su dati di fatto, produttiva dell’affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, sicchè è inammissibile il ricorso per revocazione che suggerisca l’adozione di una soluzione giuridica diversa da quella adottata (Cass. 12 febbraio 2013, n. 3494”.

Ciò posto, risulta palese alla stregua della stessa espositiva dei motivi di revocazione articolati sub 1) e 2), come il ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., sia stato strutturato con l’inserimento di tutta una serie di atti del giudizio, e con la formulazione di motivi, nei quali la parte ha ritenuto di assolvere agli specifici obblighi di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, con la tecnica del rinvio integrale ad atti riprodotti massivamente nel contesto del ricorso e dei quali quindi si richiedeva alla Corte la specifica individuazione del punto rilevante.

In relazione specificamente alle prove orali, la stessa ricorrente fa valere il rinvio “integrale” alla memoria autorizzata del 9/5/00 operato nel secondo e nel quarto motivo d’impugnazione e vorrebbe far valere le “specifiche allegazioni” richiamate alla lettera e) del par. 4.3 del quarto motivo col rinvio al punto 2 della conclusionale riprodotta a pag. 142 del ricorso, nonchè quanto risultante alla pagina 146 del ricorso, richiamante la comparsa conclusionale d’appello, per far valere la reiterazione in detto grado dell’istanza istruttoria.

Ciò posto, si deve rilevare che la parte, al fine di sostenere il vizio revocatorio della pronuncia in oggetto in relazione al secondo motivo di ricorso, intenderebbe avvalersi anche di quanto esposto nel quarto motivo, mentre evidentemente gli oneri spettanti al ricorrente vanno relazionati ad ogni singolo motivo, quindi, nella sostanza, la parte non potrebbe far valere l’assolvimento della specifica indicazione di quando è stata chiesta la prova e reiterata in secondo grado, richiamando quanto esposto in un diverso motivo, tra l’altro anche con riferimento ad una pagina della conclusionale, la 146, che non è quella richiamata nel quarto motivo(che, per quanto rilevato nella sentenza di cui si tratta, poneva solo questioni di diritto e non di prova, di talchè dovrebbe in ogni caso ritenersi carente il profilo della decisività tra la supposta svista percettiva e la decisione).

Quanto ai documenti, il Centro ritiene di avere assolto all’onere di illustrazione della rilevanza degli stessi (di cui si indica la riproduzione alle pagine da 51 a 105 del ricorso, e quindi si tratta di una vera e propria congerie di documenti), richiamando la generica deduzione di attinenza agli impianti fissi e della decisività “ad attestare quanto realizzato ed i relativi impegni assunti verso i terzi”, di cui al secondo e quarto motivo di ricorso, nel resto intendendo far valere il profilo della rilevanza come illustrata nella memoria autorizzata depositata in primo grado il 9/5/2000, così pretendendo di rinviare all’atto processuale anche per l’assolvimento dell’onere che è invece proprio della formulazione del motivo ai fini della sua ammissibilità.

La parte ha inoltre fatto riferimento, oltre che al proprio secondo motivo di ricorso, anche al quarto, per il quale vale il rilievo sopra esposto.

A conclusione della valutazione dei primi due motivi di revocazione, deve pertanto concludersi per l’inammissibilità degli stessi, atteso che la sentenza impugnata ha deciso per l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso alla stregua di una valutazione di diritto, che, in ogni caso, rimarrebbe ferma anche ove si dovesse ritenere l’errore percettivo in relazione alla prova testimoniale.

Ed infatti, come affermato nella recente pronuncia 6038/2016, in senso conforme alla precedente 3935/2009, il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico – giuridico, nel senso che non si tratta di stabiLire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabiLire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico – giuridica.

Palese è infine l’inammissibilità del terzo profilo del ricorso per revocazione, in quanto inteso a prospettare quale errore percettivo la mancata considerazione del valore confessorio delle ritenute ammissioni della Regione in primo grado e la mancata valutazione delle previsioni dell’art. 30 dello Statuto, costituenti al più, anche in tesi, mere carenze di valutazione.

Conclusivamente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il Centro Merci Intermodale delle Marche- Ce.M.I.M. in liquidazione alle spese, liquidate in Euro 8000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2016

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