Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15700 del 28/07/2016
Cassazione civile sez. I, 28/07/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 28/07/2016), n.15700
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16063 – 2010 proposto da:
MONTECO S.R.L. (p.i. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AVIGNONESI 5,
presso l’avvocato GIULIANA ALIBERTI, rappresentata e difesa dagli
avvocati FEDERICO MASSA, MAURO DE PASCALIS, giusta procura a margine
del ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI ORIA;
– intimato –
nonchè da:
COMUNE DI ORIA (BR) – P.I. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA BORGHESE 3,
presso l’avvocato GIOVANNI PESCE, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ROBERTO PALMISANO, giusta procura a margine
del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
MONTECO S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 242/2009 della CORTE D’APPELLO di LECCE,
depositata il 04/05/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
25/05/2016 dal Consigliere Dott. TERRUSI Francesco;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato MASSA che si riporta al ricorso;
uditi, per il controricorrente, gli Avvocati PESCE e PALMISANO che
hanno chiesto il rigetto del ricorso principale, accoglimento del
proprio;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’anno 1983 il Comune di Oria appaltava alla Sogea s.r.l. il servizio d smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
A seguito di proroghe il rapporto proseguiva fino al 1995.
Insorta controversia tra le parti, la Sogea attivava un procedimento arbitrale, che si concludeva con lodo del 31-3-1992 merce il quale, in accoglimento della domanda, il comune veniva condannato al pagamento della somma di Lire 700.000.000 a titolo di aumento del canone mensile relativo agli anni dal 1987 al 1990, oltre interessi. Il comune impugnava il lodo ma la sua domanda veniva rigettata dall’adito tribunale di Brindisi, con sentenza n. 299-98 passata in giudicato.
Sulla base del lodo, non depositato nei termini di legge, veniva emesso dal Tribunale di Brindisi, su ricorso della Sogea, un decreto ingiuntivo relativo al pagamento della somma di Lire 3.567.652.881, per differenze sui canoni attinenti al servizio nel periodo dal 1987 al 1995, oltre rivalutazione e interessi.
Il comune proponeva opposizione che il tribunale, disattese le questioni pregiudiziali, rigettava rilevando che i profili di invalidità del lodo erano preclusi dalla citata sentenza di rigetto dell’impugnazione per nullità.
La corte d’appello di Lecce, adita col gravame del comune, riformava parzialmente la decisione di primo grado.
In sintesi, ritenute infondate le doglianze in rito, e confermato che in base alla sentenza n. 299-98 il lodo arbitrale dovevasi ritenere idoneo a disciplinare il rapporto giuridico sottostante con efficacia preclusiva di tutti gli aspetti, anche eventualmente viziati, sicchè nessuna censura relativa al contratto costituente presupposto dell’intervento arbitrale poteva essere più utilmente delibata, la corte d’appello riteneva che l’efficacia del lodo doveva essere limitata al solo oggetto ivi espressamente regolato; e quindi alla sola frazione del rapporto intercorso nel periodo preso in considerazione (anni dal 1987 al 1990).
Viceversa, l’ambito del rapporto controverso specificamente riguardante le differenze pretese dalla società riguardo al servizio prorogato per il periodo successivo (dal 1991 al 1995) non aveva trovato fonte nel lodo. Per questa parte avrebbe dovuto rilevare il contratto siccome prorogato, mentre un tale contratto era mancato, non essendo rinvenibile altro che la deliberazione di giunta afferente la proroga dell’affidamento del servizio. Non era stato invece stipulato il necessario a autonomo documento contrattuale, sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente. Per cui, da un lato, la volontà dell’ente non era risultata validamente manifestata, non provenendo dall’organo depositario del relativo potere e, dall’altro, lo stesso procedimento di formazione dell’accordo era risultato inidoneo, in quanto l’incontro di volontà non era stato formalizzato nei modi prescritti.
In conclusione, la corte territoriale limitava la condanna del comune alle sole competenze spettanti alla società per le differenze sui canoni come riconosciute nel lodo, per l’importo di Lire 700.000.000 oltre interessi dal 30-5-1990 e senza rivalutazione monetaria. Per la cassazione della sentenza, depositata il 4-5-2009 e non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Monteco s.r.l. (già Sogea s.r.l.), affidandosi a quattro motivi illustrati da memoria.
Il comune di Oria si è costituito con controricorso, nel quale ha proposto cinque motivi di ricorso incidentale.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo la ricorrente principale, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 c.c., e art. 345 c.p.c., nonchè degli artt. 99 e 112 c.p.c., formula il seguente quesito: “se la rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto sia ammissibile in grado d’appello quando il contratto in questione non risulti fondamento della domanda e se la rilevazione della nullità ex officio in assenza di specifica o valida domanda e/o eccezione tempestivamente proposta nel corso del giudizio di primo grado comporti error in procedendo del giudice del gravame per violazione dei principi di cui all’art. 1421 c.c., artt. 99, 112 e 345 c.p.c.”.
Col secondo motivo essa deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso decisivo.
Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente dell’art. 1325 c.c., n. 5, e art. 1421 c.c., la ricorrente principale formula il seguente duplice quesito: “se nell’ipotesi in cui il giudice risolva esplicitamente una questione, risolvendone in modo implicito un’altra rispetto alla quale la prima si ponga in rapporto di dipendenza, e la decisione venga impugnata, sia configurabile la formazione del giudicato implicito anche sulla questione risolta implicitamente”; e “se – nei contratti della p.a. – in ipotesi di semplice proroga di un rapporto contrattuale preesistente, sia necessaria la forma scritta ad substantiam a pena di nullità”.
Infine col quarto motivo, deducendo violazione dell’art. 345 c.p.c., la medesima ricorrente formula alla corte il seguente ulteriore quesito: “se la proposizione di domanda o eccezione nuova non proposta nel corso del giudizio di primo grado e non rilevabile d’ufficio e la successiva statuizione della corte d’appello sulla stessa, costituiscano violazione delle prescrizioni dell’art. 345 c.p.c.”. – Il ricorso principale è inammissibile.
Costituisce insegnamento di questa corte oramai più che consolidato che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 – bis c.p.c., in termini tali da costituire una sintesi logico – giuridica unitaria della questione sottostante, tale da consentire l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.
Ripetutamente si è detto che è inammissibile il motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza in relazione alla concreta controversia (per tutte, Sez. 5^, n. 3530-12; Sez. lav. n. 7197-09), quanto se il quesito sia destinato a risolversi nella generica richiesta di stabilire la violazione o la falsa applicazione di una certa norma.
Invero il quesito deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una di segno opposto, al punto che le stesse sezioni unite hanno chiaramente precisato che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 – bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito tautologico o circolare, che già presupponga la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice (cfr. ex anis Sez. un. n. 28536-08, n. 2167213).
3. – In definitiva, la corretta formulazione del quesito esige che il ricorrente indichi sempre, in esso, per quanto sinteticamente, i termini della fattispecie concreta, per modo da rapportarla a uno schema normativo tipico che consenta di prospettare una questione pertinente e perspicua (v. Sez. 1^ n. 19892-07).
Nella medesima ottica va aggiunto che è inammissibile, ai sensi del citato art. 366 – bis, il motivo di ricorso che denunci una omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, qualora non risulti formulato il cd. quesito di fatto, vale a dire ove manchi la conclusione del mezzo con un apposito momento di sintesi volto a specificare il fatto decisivo controverso rispetto al quale parametrare la motivazione del giudice di merito (v. Sez. 5^ n. 24255 – 11 e molte altre finanche non più massimate).
4. – Il, ricorso principale non soddisfa i requisiti appena ricordati.
Le censure di cui ai motivi primo, terzo e quarto sono conchiuse in quesiti del tutto circolari e astratti, privi di ogni riferimento alla fattispecie e ai suoi elementi di fatto.
La censura di cui al secondo motivo enuncia un vizio di motivazione ma non è conclusa dal quesito di fatto.
5. – Egualmente inammissibile è il ricorso incidentale.
Il primo motivo di codesto – che denunzia la violazione dell’art. 281 – sexies c.p.c., – è concluso da interrogativi astratti e incomprensibilmente riferiti alla decisione di primo grado: se “una volta autorizzato lo scambio di memorie istruttorie è legittimo ritenere che il g.u. della causa abbia il potere di fissare l’udienza per la discussione (…), senza un provvedimento con il quale valuti i mezzi di prova richiesti dalle parti irrilevanti e/o ininfluenti ai fini del decidere, trattandosi di decisione direttamente incidente sul diritto alla prova”; e se “può un giudice unico diversa persona fisica da quella che ha autorizzato lo scambio di memorie istruttorie sovrapporre puramente e semplicemente il proprio convincimento a quello del g.u. che lo ha preceduto, senza qualsivoglia neppure sincopata motivazione in materia tanto delicata quanto il diritto alla prova”.
Il secondo motivo, denunziando un difetto di giurisdizione, manca della formulazione del quesito di diritto.
Egualmente ciò si riscontra nel il terzo motivo (violazione dell’art. 83 c.p.c.), nel quarto (violazione dell’art. 1421 c.c., e vizio di motivazione) e nel quinto (ancora violazione dell’art. 1421 c.c., e vizio di motivazione).
6. – In conclusione, quindi, entrambi i ricorso vanno dichiarati inammissibili e ciò comporta la compensazione delle spese processuali.
PQM
La Corte dichiara i ricorsi inammissibili e compensa le spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 25 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2016