Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15688 del 04/06/2021
Cassazione civile sez. I, 04/06/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 04/06/2021), n.15688
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 11715-2019 r.g. proposto da:
A.J., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta
procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato
Valentina Nanula, con cui elettivamente domicilia in Roma, viale
della Milizie n. 38, presso lo studio dell’Avvocato Stefania
Paravani.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale
rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex
lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in
Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;
– controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data
15.3.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21/10/2020 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da A.J., cittadino del PAKISTAN, dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.
Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha narrato: 1) di essere nato e vissuto nel villaggio di Vehari e di essere di etnia punjabi; ii) di professare la religione musulmana sunnita e di essere stato costretto a fuggire dal PAKISTAN perchè ridotto in condizione di schiavitù nel suo paese già da bambino dopo essere stato rapito da suo zio, e di temere in caso di rientro in patria per la sua vita in ragione delle minacce subite dai suoi rapitori e per la mancanza di protezione da parte della polizia.
Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e generico, nonchè sprovvisto di prove e in contrasto con le informazioni estraibili dalle C.O.I. (che evidenziavano lo sfruttamento del lavoro minorile in alcun regioni del Pakistan, ma non già come conseguenza di rapimenti, quanto piuttosto come il risultato di vere e proprie compravendite di minori da parte dei parenti); b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Pakistan (Punjab), paese di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che, nonostante l’attività lavorativa svolta in Italia, il ricorrente non aveva dimostrato la sua integrazione sociale, non conoscendo neanche la lingua italiana.
2. Il decreto, pubblicato il 15.3.2019, è stato impugnato da A.J. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 3, in relazione all’obbligo di cooperazione istruttoria da parte dei giudici del merito.
2. Con il secondo mezzo deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 5, comma 6, e art. 19, t.u. imm., in relazione al diniego della reclamata protezione umanitaria, con riferimento alla mancata valutazione del livello di integrazione e di radicamento raggiunto e alla situazione interna del paese di origine.
3. Ritiene il Collegio di dover rinviare la causa a nuovo ruolo, in relazione alle doglianze prospettate nel secondo motivo di ricorso, in attesa della fissazione di una udienza tematica nella quale saranno esaminati congiuntamente più ricorsi aventi ad oggetto la rilevanza della condizione lavorativa e dell’integrazione sociale del richiedente, ai fini del riconoscimento della richiesta protezione umanitaria.
P.Q.M.
rinvia la causa a nuovo ruolo.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2021