Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15687 del 28/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 28/07/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 28/07/2016), n.15687

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza resa pubblica il 28/1/2015, rigettava il reclamo proposto dalla Sodexo Italia s.p.a. nei confronti di P.S. avverso la sentenza n. 9286/2014 resa inter partes dal Tribunale della stessa sede.

A fondamento del decisum la Corte deduceva, in estrema sintesi, che oggetto del giudizio era il licenziamento comminato dalla società al lavoratore in data 18 gennaio 2013 per superamento del periodo di comporto; che l’atto espulsivo aveva fatto seguito ad un primo licenziamento intimato in data 18 maggio 2012 per giustificato motivo oggettivo e ad un secondo licenziamento per giusta causa irrogato il 23 luglio 2012; che il periodo di malattia individuato nella comunicazione dell’ultimo licenziamento, era relativo al periodo 21 maggio – 23 novembre 2012; che detto periodo era, tuttavia, successivo al primo atto di recesso; che in tale fase del rapporto di lavoro gli obblighi relativi, e fra essi quello di presenza al quale è legato il regime delle assenze per malattia, erano venuti meno, essendo ricostituiti solo a seguito della statuizione giudiziale ripristinatoria della funzionalità del rapporto; che ogni interesse della società all’adempimento della prestazione era caducato per effetto della pregressa scelta di risolvere il rapporto, come dimostrato dal fatto che la medesima datrice di lavoro, con missiva in data 1 giugno 2012, aveva restituito le certificazioni mediche trasmesse dal lavoratore stante la cessazione del rapporto inter partes.

Avverso tale decisione interpone ricorso per Cassazione la Sodexo Italia s.p.a affidato a due motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2110 e 2118 c.c., in relazione al L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo previgente alla L. n. 92 del 2012.

Premette che con sentenza passata in giudicato n. 20933/2013 il Tribunale di Napoli aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al P. il 21/5/2012 per giustificato motivo oggettivo e nullo quello irrogato in data 23/7/2012 per giusta causa, ed aveva pertanto ordinato la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro, condannando la società al risarcimento del danno dalla data del primo licenziamento al secondo e, quindi, dalla data di quest’ultimo sino alla effettiva reintegra, in applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, nella versione di testo anteriore alla novella di cui alla L. 28 giungo 2012, n. 92.

2. La suddetta società richiama la pronuncia con la quale la Corte territoriale aveva ritenuto irrilevanti le assenze maturate dal 21/5/2012 perchè successive al primo licenziamento, ricadendo in un periodo in cui gli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro fra i quali l’obbligo di presenza – erano venuti meno e rimarca ancora come tali approdi siano, tuttavia, in contrasto con il principio affermato dalla Corte di legittimità secondo cui il licenziamento dichiarato illegittimo non interrompe il rapporto di lavoro, incidendo unicamente sulla funzionalità di fatto della prestazione e lasciando inalterata la continuità del vinculum juris che la sentenza viene a ripristinare con efficacia ex tunc. 3. Sostiene, infine, che con la sentenza n. 20983/2013 passata in giudicato, il rapporto di lavoro si era ricostituito con efficacia ex tunc sin dal 21/5/2012 sicchè i fatti verificatisi dopo tale data potevano costituire oggetto di un successivo provvedimento di recesso da parte del medesimo datore di lavoro.

4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2697 e 1223 c.c..

Deduce che l’accoglimento della domanda proposta dal lavoratore circa il mancato superamento del periodo di comporto, postulava la allegazione e la prova sia della sussistenza della malattia che del nesso causale fra la stessa ed il comportamento illegittimo del datore di lavoro. Nello specifico la Corte aveva dato atto della mera allegazione della diretta dipendenza dello stato morboso dal comportamento datoriale, non verificando anche il profilo probatorio coessenziale alla verifica della fondatezza della domanda.

5. Le doglianze, che possono esaminarsi congiuntamente siccome connesse, si sottraggono alla censura di inammissibilità sollevata dalla parte intimata sotto il profilo della omessa impugnazione di una statuizione della Corte distrettuale ritenuta idonea a sorreggere autonomamente l’impianto decisorio. La Corte partenopea ha infatti argomentato che il contenuto della missiva inviata dalla SODEXO s.r.l. in data 1/6/12 con cui si respingevano le certificazioni mediche inviate dal lavoratore – stante la cessazione del rapporto, era incompatibile con il successivo licenziamento per superamento del periodo di comporto, intimato il 18/1/13. Si tratta, tuttavia, di argomentazione di mero supporto logico, di natura rafforzativa rispetto all’essenziale nucleo motivazionale, tutto modulato sulla irrilevanza delle assenze maturate successivamente al primo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e non di autonoma ratio decidendi, dotata di una autonoma valenza giuridica.

6. Ne consegue che non trova applicazione, in quanto inconferente rispetto alla fattispecie qui scrutinata, il principio affermato da questa Corte secondo cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, e che tali censure risultino tutte fondate, diversamente dovendo ritenersi il ricorso inammissibile (vedi Cass. 14 febbraio 2012 n. 2108, cui adde Cass. S.U. 29 marzo 2013 n. 7931 e Cass. 7 aprile 2014 n. 8060).

7. Nè appare applicabile il disposto di cui all’art. 348 ter, parimenti invocato dall’intimato, giacchè non si verte in ipotesi di conferma della decisione di primo grado per identità di questioni di fatto, che è oggetto di detta previsione normativa.

8. I suddetti motivi, pur ammissibili, sono, tuttavia, privi di fondamento.

La ricorrente modula le proprie censure sull’essenziale argomentazione secondo cui, ove il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo venga dichiarato illegittimo è, dal momento della sua intimazione, inefficace, e idoneo a determinare solo un’interruzione di fatto del rapporto dovuta al rifiuto datoriale di ricevere la prestazione dedotta in contratto. Deduce altresì che nel regime di stabilità reale sancito dall’art. 18 st. lav. nel periodo compreso fra la data del licenziamento illegittimo e quella della pronuncia giudiziale contenente l’ordine di reintegra del lavoratore, durante il quale il rapporto di lavoro è quiescente ma non estinto, rimangono in vita il rapporto assicurativo previdenziale ed il corrispondente obbligo per il datore di lavoro di versare all’ente previdenziale i contributi assicurativi. Richiama, quindi, l’orientamento in tal senso espresso da questa Corte di legittimità (cfr. ex plurimis, Cass. 6 marzo 2008 n. 6055, Cass. 22 ottobre 2008 n. 25573), secondo cui il licenziamento dichiarato illegittimo no interrompe il rapporto di lavoro, ma incide unicamente sulla funzionalità di fatto della prestazione, sicchè il datore di lavoro ben può procedere ad un nuovo successivo e “causalmente diverso” licenziamento, così come avvenuto nella fattispecie.

Ma, a ben vedere, la Corte distrettuale ha emesso una statuizione che non contrasta con siffatti principi, laddove ha avuto modo di affermare che, per effetto della comunicazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, “gli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro – e tra essi l’obbligo di presenza al quale è legato il regime delle assenze per malattia – erano venuti meno, venendo ricostituiti soltanto dalla statuizione giudiziale ripristinatoria della funzionalità del rapporto”.

Si tratta di statuizione sorretta da motivazione congrua ed esente da vizi logici, oltre che conforme a diritto, giacche all’esito del provvedimento espulsivo, gli obblighi connessi alla esecuzione della prestazione lavorativa vengono meno e con essi, conseguenzialmente, anche quello della presenza sul luogo di lavoro.

9. Corretti si palesano, quindi, gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito che ha affermato come, successivamente alla irrogazione del primo licenziamento del 17/5/12, la malattia protrattasi a far tempo dal 21/5/12 e certificata dalla documentazione versata in atti, non poteva essere utilmente considerata ai fini del periodo di comporto, giacche il lavoratore, per effetto del provvedimento espulsivo, non era più tenuto alla erogazione della prestazione lavorativa. Nè la ricostituzione del rapporto ex tunc per effetto della pronuncia di illegittimità dei primi due licenziamenti, avrebbe potuto rendere l’assenza, sia pur a causa di malattia, “contra jus”, giacche la valenza retroattiva della declaratoria di illegittimità del licenziamento, attiene esclusivamente alla piena riaffermazione del vincolo contrattuale, ma non è idonea a ripristinare, a posteriori, un obbligo alla prestazione dal quale, per espressa volontà datoriale, il lavoratore era stato esonerato.

In definitiva, alla stregua delle esposte argomentazioni, il ricorso è respinto.

Il governo delle spese del presente giudizio di legittimità segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, per il versamento da parte ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2016

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