Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15687 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 23/07/2020), n.15687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4179-2019 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BOVECCHI MARIO;

– ricorrente –

contro

L.B., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

PAOLI MARIA CRISTINA;

– controricorrente –

contro

L.U.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1764/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. TEDESCO

GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L.G. propone ricorso per cassazione proposto contro sentenza della Corte d’appello di Firenze emessa in sede di rinvio, in una controversia riguardante la divisione di un bene immobile in comproprietà per quote uguali fra L.G. e L.P., definita con l’assegnazione dell’intero a L.P..

La sentenza d’appello era stata cassata in ordine al criterio utilizzato per aggiornare al momento della decisione la stima dell’immobile rispetto al tempo della consulenza.

La corte d’appello, con la sentenza impugnata, ha determinato la misura del conguaglio sulla base di nuova consulenza tecnica.

Fra i diversi criteri suggeriti dall’esperto la corte d’appello ha ritenuto di non poter dare seguito a quello che determinava il valore dell’immobile comune in considerazione della possibile demolizione e ricostruzione del fabbricato; ha quindi determinato il valore avuto riguardo alla situazione di fatto attuale del cespite.

Il ricorso è proposto sulla base di due motivi.

L.B. (erede di L.P.) ha resistito con controricorso.

L.U. (anch’essa erede di L.P.) è rimasta intimata.

La causa, su conforme proposta del relatore, è stata fissata per la trattazione in camera di consiglio dinanzi alla sesta sezione civile della Corte.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Con il primo si sostiene che la corte, in ossequio al compito demandatole dalla Suprema corte, avrebbe dovuto liquidare il conguaglio in base al valore dell’immobile “al momento della decisione”, dovendosi intendere per “decisionè, la sentenza cassata o a tutto concedere la sentenza di cassazione, ma non certamente la sentenza con la quale è stata assunta la decisione differita sul conguaglio.

Il secondo motivo denuncia la sentenza nella parte in cui, nella determinazione del valore di mercato dell’immobile, ha ritenuto di dover considerare la situazione attuale dell’immobile, invece di adottare il valore di trasformazione suggerito quale criterio alternativo dal consulente tecnico.

Sul medesimo punto il motivo denuncia altresì motivazione contraddittoria, dovendosi fare coincidere il valore di mercato con il valore che potenziali acquirenti sono disposti a pagare, posto che qualsiasi altro criterio viola il diritto del comproprietario ad avere quanto di sua spettanza e premia ingiustamente l’altro cui è stata data la possibilità di avere la proprietà del bene.

Il primo motivo è infondato.

La Suprema Corte, nel cassare la sentenza d’appello, ha richiamato “il costante orientamento di questa Corte, dal quale non vi è ragione di discostarsi, in tema di divisione, il conguaglio dovuto dal condividente, cui sia attribuito per intero l’immobile comune, costituisce debito di valore, da determinarsi con riferimento al valore del bene al momento della decisione”. Quindi ha riconosciuto che il giudice d’appello si era discostato da tale principio, in quanto aveva ritenuto di poter adeguare il valore dell’immobile in una data proporzione in assenza di precisazione dei criteri utilizzati, ha appunto cassato la sentenza, “con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze, la quale procederà alla rideterminazione del valore aggiornato dell’immobile in comunione e del conguaglio dovuto dall’assegnatario all’altro condividente, tenendo anche conto dell’eventuale estinzione dell’usufrutto gravante su tale bene, nel frattempo verificatasi”.

La corte di rinvio ha assolto correttamente al compiuto assegnatogli dalla Suprema Corte.

L’assegnazione del bene indivisibile e liquidazione del conguaglio sono fra loro indissociabili: l’una costituisce il riflesso dell’altra e viceversa.

I due momenti non sono solo indissociabili, ma sono necessariamente simultanei: a) l’assegnazione del bene indivisibile a uno dei condividenti attua lo scioglimento della comunione; b) lo scioglimento della comunione deve avvenire in base al valore del bene al tempo della decisione del giudizio di divisione (Cass. n. 4369/1996; n. 3083/2006; n. 12702/2007); c) il conguaglio dovuto dall’assegnatario del bene indivisibile ai sensi dell’art. 720 c.c. rappresenta, da parte di chi deve versarlo, l’eccedenza di valore del bene assegnato rispetto al minor valore della quota, e, dalla parte di chi lo riceve, l’equivalente della quota non integrata in natura; d) è perciò regola coessenziale alla stessa nozione di divisione che il conguaglio deve esprimere il controvalore delle quote al momento del provvedimento che attua lo scioglimento della comunione (Cass. n. 9659/2000; n. 12818/2004).

Cass. n. 8257 del 2015, richiamata dal ricorrente a pag. 8 del ricorso, non dice nulla di diverso, confermando “l’orientamento consolidato di questa Corte, cui si ritiene di aderire pienamente, secondo cui in tema di divisione giudiziale gli interessi legali sui conguagli decorrono dalla pronuncia giudiziale di scioglimento della comunione e di assegnazione del bene al condividente, per questo contestualmente dichiarato tenuto alla corresponsione del conguaglio degli altri condividenti, e non anche dal momento della domanda giudiziale o da quello della sentenza di primo grado”.

In conclusione la corte d’appello, allorchè ha liquidato il conguaglio con riferimento al momento della decisione adottata in sede di rinvio, è del tutto coerente con la sentenza di cassazione, la giurisprudenza della corte e i principi in tema divisione.

Al contrario è frutto di un palese equivoco la tesi del ricorrente là dove finisce per ipotizzare che il giudice di rinvio avrebbe dovuto liquidare il conguaglio con riferimento a un momento diverso da quello della decisione che era chiamato ad assumere

Si ribadisce che “il tempo della decisione” in questa materia è il momento in cui è emesso il provvedimento che scioglie la comunione”: quindi la sentenza d’appello, se è impugnata la sentenza di primo grado; la sentenza di rinvio se sia stata vittoriosamente impugnata in cassazione la sentenza d’appello.

Da qui il principio, costantemente ribadito della necessità dell’aggiornamento del conguaglio in appello e anche in sede di rinvio (Cass. n. 8243/1998).

Il secondo motivo è infondato.

Il consulente tecnico ha proposto due criteri: con il primo ha indicato il valore del bene detraendo il costo delle opere minimali di ammodernamento, stabilendolo nella somma di Euro 880.000,00, derivante dalla sottrazione del valore del bene una volta eseguire le opere manutentive e il costo di tali opere: 1.050.000 – 170.000,00. Con il secondo criterio ha ipotizzato il valore del bene Euro 1.050.000,00, in considerazione della possibilità della demolizione e ricostruzione.

La corte ha riconosciuto di dovere stabilire il valore in base al primo criterio, ritenendolo più obiettivo e pertinente rispetto al secondo, relativo a parametri meno concreti, come la possibile demolizione e ricostruzione del fabbricato.

Le motivazioni addotte non rilevano alcun vizio logico e giuridico, nè è ravvisabile alcuna contraddizione fra la conclusione e le premesse, avendo appunto la corte riconosciuto che l’ulteriore criterio indicato dal consulente fosse meno idoneo del primo a esprimere il valore di mercato.

La scelta del criterio da adottare per determinare il valore di mercato del bene oggetto di divisione rientra nel potere del giudice di merito e insindacabile in cassazione, se sostenuta da adeguata e razionale motivazione (requisiti ricorrenti nel caso concreto) (Cass. n. 7059/2002; n. 6035/1980; n. 8/1969).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese in favore della controricorrente.

Nulla sulle spese fra il ricorrente L.U..

Sussistono i presupposti per disporre il raddoppio del contributo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000.00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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