Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15687 del 15/07/2011

Cassazione civile sez. I, 15/07/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 15/07/2011), n.15687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29205/2005 proposto da:

FALLIMENTO MAGAZZINI DAVANZO S.N.C. DEI F.LLI DAVANZO NONCHE’ DEI

SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI D.P., D.E.,

D.A., in persona del Curatore Dott.ssa C.

F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55,

presso l’avvocato DI PIERRO NICOLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato STIVANELLO GUSSONI Franco, giusta procura in calce al

ricorso; (P. IVA (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

COMPUTINE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIGRE’ 37, presso l’avvocato

CAFFARELLI FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FERRUZZI Mauro, giusta procura a margine del

controricorso; (C.F. (OMISSIS));

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 390/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 02/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato F. CAFFARELLI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Curatela del Fallimento Magazzini Davanzo s.n.c. dei F.lli Davanzo nonchè dei soci illimitatamente responsabili D.P., E. ed A., agiva nei confronti della Computime s.r.l., esponendo che la società, titolare di una catena di grandi magazzini di abbigliamento nel Veneto orientale, ammessa alla procedura di concordato il 22/12/1993, e poi dichiarata fallita il (OMISSIS), aveva iniziato ad intrattenere, a decorrere dalla metà degli anni 80 rapporti di fornitura con la Computime s.r.l., operante nel settore del software; agli inizi, le parti avevano previsto il pagamento delle forniture a mezzo di ricevute bancarie a “30 giorni data fattura”, ma già a decorrere dal 1991 le ricevute non erano state più onorate e la Magazzini Davanzo, alla data dell’11 dicembre 1992, si era trovata esposta nei confronti della convenuta per L. 38.316.711; tale esposizione era stata ripianata a mezzo assegno solo per l’importo di L. 316.711 e per il residuo la debitrice aveva rilasciato cinque effetti cambiari, tratti sulla società collegata Shopping S.r.l., che alla scadenza erano rimasti insoluti e protestati; l’esposizione della Magazzini Davanzo nei confronti di Computime, intanto elevata a L. 57.221.218, era stata parzialmente ripianata con assegno del 18 febbraio 93 della Magazzini D’Avanzo per L. 57.994.477, da imputarsi all’esposizione nei confronti di Computime per L. 41.272.486, e con assegno in data 1 giugno 93 per L. 27.311.893 emesso da altra società collegata, probabilmente postdatato.

Tanto premesso, il Fallimento chiedeva la declaratoria di inefficacia L. Fall., ex art. 67, comma 2, dei detti pagamenti, per il complessivo importo di L. 68.584.379. La convenuta si costituiva e contestava la sussistenza del requisito soggettivo.

La causa veniva istruita con prove orali; non compariva a rendere interrogatorio formale il legale rappresentante della Computime.

Il Tribunale, con sentenza del 10 aprile 5 luglio 2001, accoglieva la domanda del Fallimento.

Avverso tale sentenza Computime S.r.l. proponeva appello, sostenendo di non essere stata a conoscenza dello stato di insolvenza della Magazzini Davanzo, per operare nel settore del software, totalmente diverso da quello della Davanzo; perchè la modifica delle condizioni di pagamento, inizialmente stabilita in 30 giorni dalla fattura e la consegna dell’assegno postdatato, negato peraltro dal Tribunale, potevano far presumere solo una temporanea difficoltà; perchè il primo pagamento, avvenuto con assegno del 18 febbraio 1993, risaliva a 10 mesi prima della ammissione della società al concordato preventivo, epoca in cui non vi era alcun sintomo dell’insolvenza, come provato dall’incasso dell’assegno del febbraio 1993; infine, Computime non aveva cessato la collaborazione con la D’Avanzo nè agito in giudizio per il recupero del credito.

La Corte d’appello, con sentenza del 2/3/2005, ha respinto l’impugnazione.

La Corte territoriale, pur ritenendo che, mutando le precedenti condizioni di pagamento, il credito della Magazzini Davanzo era stato in un primo tempo soddisfatto con cessioni poi protestate nei confronti della Shopping S.r.l., che era presumibile che Computime conoscesse i rapporti esistenti tra queste società, avendo curato il settore informatico della Magazzini Davanzo e che dopo i protesti la società poi fallita si era dimostrata incapace di pagare i propri debiti in unica soluzione, ha concluso nel senso che tali elementi potevano “suffragare solo l’ipotesi che l’appellante fosse a conoscenza che la debitrice attraversasse un periodo di temporanea illiquidità e non che fosse già decotta”.

Propone ricorso per cassazione il Fallimento sulla base di due motivi.

Resiste la Computime S.r.l. con controricorso.

Il Fallimento ha depositato la memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo, il Fallimento denuncia la violazione della L. Fall., art. 67, comma 2, in relazione all’art. 5 della medesima legge, per avere la Corte territoriale, in violazione dell’interpretazione pacificamente accolta del concetto di insolvenza, erroneamente ricondotto gli elementi di prova offerti dalla Curatela nell’ambito della temporanea illiquidità.

1.2.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la motivazione solo apparente, insufficiente e, comunque, contraddittoria su punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale raggiunto una conclusione incompatibile con le premesse, attribuendo agli elementi considerati un significato che va al di fuori del senso comune, omettendo di considerare ulteriori circostanze obiettive (e cioè che la Davanzo, a partire dalla fine del 1991, non aveva onorato le ricevute bancarie; che nel corso del 1992, a fronte di un’esposizione di oltre L. 38 milioni, aveva corrisposto soltanto la modestissima somma di L. 316.711; che parte del debito era stato ripianato a mezzo di assegno postdatato emesso da società collegata;

che la società era amministrata delle medesime persone fisiche che amministravano Computer Veneto S.r.l. e General Computer S.r.l. che, al pari della Computime, non riuscivano ad ottenere dalla Davanzo il regolare pagamento dei propri crediti), e concludendo in modo assiomatico, senza spiegare il perchè delle conclusioni raggiunte, antitetiche rispetto a quelle adottate dal Tribunale, pur muovendo dalle stesse premesse.

2.1.- I due motivi di ricorso, in quanto strettamente connessi, possono essere valutati congiuntamente e sono da ritenersi infondati.

Quanto al vizio di violazione di legge, è agevole rilevare che la censura appare diretta a far valere la violazione della L. Fall., art. 5, per avere la Corte territoriale erroneamente ricondotto gli elementi di prova offerti dalla Curatela nell’ambito riduttivo della “temporanea illiquidità”, anzichè in quello dell’incapacità di provvedere al pagamento durata quasi un anno e mezzo, facendo così venir meno, di riflesso, il requisito soggettivo della revocatoria.

Detta censura non coglie il profilo proprio della fattispecie della revocatoria che qui interessa, ovvero la conoscenza e comunque la percezione dello stato di insolvenza della Magazzini Davanzo da parte della Computime alla data di ricezione dei pagamenti per cui è causa, e non già la qualificazione degli elementi probatori offerti dalla Curatela in termini di insolvenza anzichè come temporanea illiquidità.

E’ noto infatti che nel periodo sospetto anteriore alla dichiarazione di fallimento o, nel caso di consecuzione di procedure concorsuali, all’ammissione alla prima delle procedure (così Cass. 28445/08 e 2437/2006), non si pone la questione della prova dello stato di insolvenza, che è oggetto di presunzione iuris ed de iure, spiegando rilievo solo la conoscenza o meno di detto stato (così Cass. 5953/1985 e 2936/1978).

Nel resto, quanto alla censura di vizio di motivazione, vale il richiamo al principio secondo il quale il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione si configura solo quando dal ragionamento del Giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni addotte, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione,nè tali vizi consistono nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal Giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al primo il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, ma solo quello di controllare sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal Giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (così Cass. 18119/08,23929/07, 15489/07, 16459/04, tra le tante).

Dal principio sopra esposto consegue che non è sindacabile per vizio di motivazione la sentenza di merito che abbia adeguatamente e logicamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la ratio decidendi (così le pronunce 20911/05 e 10330/03): alla stregua di detti principi, deve concludersi nel senso che le censure del Fallimento sono nella sostanza inammissibilmente intese a prospettare una valutazione diversa degli elementi presuntivi offerta dalla Corte territoriale.

Quanto alla addotta mancanza, o mera apparenza di motivazione, all’attribuzione agli elementi presi in considerazione di un significato al di fuori del senso comune, premesso che la prima censura sarebbe più propriamente riconducibile al vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3 (così le pronunce 24985/06, 25494/06, 15523/06, tra le tante), nel resto, va rilevato che la Corte territoriale ha esposto, sia pure in maniera stringata, le ragioni del proprio convincimento sulla base degli elementi valutati, non in contrasto con la decisione, proprio in forza della valutazione di merito degli indizi, come tale insindacabile nella presente sede;

infine, il criterio logico seguito dalla Corte territoriale, quale si evince alla stregua della valutazione degli elementi presuntivi ritenuti rilevanti, da conto delle ragioni del dissenso rispetto alla decisione assunta dal Tribunale, così dovendosi concludere per l’infondatezza dell’ultimo rilievo del secondo motivo.

3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il Fallimento a rifondere alla Computime s.r.l. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2011

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