Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15680 del 01/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 01/07/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 01/07/2010), n.15680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26588/2008 proposto da:

L.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO Giuseppe Sante, che lo

rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli Avvocati RICCIO

Alessandro, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 176/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

15/02/08, depositata il 15/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La domanda proposta da L.B. nei confronti dell’INPS per il riconoscimento del diritto alla rivalutazione del periodo contributivo dal 1 dicembre 1961 al 30 aprile 1988, ai sensi della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, era rigettata dal Tribunale di Genova, con pronuncia poi confermata dalla Corte di appello della stessa città, con sentenza depositatali 15 aprile 2008.

Accertato che il L. era in pensione dal 1 giugno 1992, il giudice del gravame riteneva l’inapplicabilità delle modifiche introdotte dalla L. n. 271 del 1993, secondo cui il beneficio in questione era da ricollegare alla mera esposizione del lavoratore all’amianto, in quanto tali modifiche non potevano essere estese a favore dei soggetti collocati in pensione nella vigenza della normativa anteriore, “il cui ambito di applicazione è individuato … con riferimento ai dipendenti delle imprese che utilizzano ovvero estraggono amianto, impegnate in processi di ristrutturazione e riconversione produttiva”, caratteristiche queste che neppure erano state dedotte dal L. per l’impresa alle dipendenze della quale aveva lavorato.

Per la cassazione della sentenza il L. ha proposto ricorso con un motivo, cui l’INPS ha resistito con controricorso.

Essendosi ravvisati i presupposti per la decisione del ricorso in Camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., poi ritualmente notificata alle parti e comunicata al Procuratore Generale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico motivo di ricorso, nel denunciare violazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, e vizio di motivazione, critica la sentenza impugnata per avere interpretato la norma denunciata nel senso che i destinatari del beneficio in questione prima della modifica apportata dalla L. n. 271 del 1993, fossero soltanto i dipendenti delle imprese che utilizzavano ovvero estraevano amianto.

Il ricorso è manifestamente fondato.

Come già rilevato nella relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, qui da ribadire, la disposizione dettata dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, come modificata dal D.L. 5 giugno 1993, n. 169, art. 1, comma 1, e dalla relativa Legge di Conversione 4 agosto 1993, n. 271, deve essere interpretata nel senso che la rivalutazione per il coefficiente 1,5 dei periodi lavorativi comportanti esposizione all’amianto, nella intensità prevista dalla normativa spetta a tutti i lavoratori subordinati che al 28 aprile 1992, data di entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, prestavano ancora attività di lavoro dipendente (ovvero versavano in uno stato di temporanea disoccupazione, ovvero erano titolari della pensione o dell’assegno di invalidità), indipendentemente dalla natura dell’attività dell’impresa datrice di lavoro (v. fra le numerose altre le sentenze 29 novembre 2002 n. 17000, 27 febbraio 2004 n. 4063, 17 gennaio 2005 n. 757).

Quindi incontroversa la circostanza che il L. era stato collocato in pensione con decorrenza dal 1 giugno 1992, erroneamente la sentenza impugnata ha escluso che lo stesso potesse fruire del beneficio in questione.

Del resto lo stesso giudice in motivazione ha riconosciuto che la fattispecie in esame è analoga a quella oggetto della pronuncia di questa Corte n. 27299 del 21 dicembre 2006. La quale, richiamato l’indirizzo di cui innanzi, ha sottolineato che “le sole situazioni che si pongono come ostative all’applicazione dell’art. 13, comma 8, sono quelle nelle quali l’interessato, alla data del 28 aprile 1992 abbia definitivamente cessato l’attività lavorativa e acquisito (con decorrenza anteriore) il diritto a una pensione (di anzianità o di vecchiaia) fisiologicamente collegata al realizzarsi di un simile evento, ovvero quelle nelle quali – sempre a quella data – fruisca di una pensione di inabilità, stante la incompatibilità di tale trattamento, specificamente prevista dalla legge (L. n. 222 del 1984, art. 2, comma 5), con un’attività lavorativa retribuita. Per converso, il beneficio va riconosciuto – ma sempre nella ricorrenza dei requisiti prescritti dal ripetuto art. 13, comma 8 – ai lavoratori che siano stati collocati in quiescenza con decorrenza successiva alla data di entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, ancorchè abbiano maturato prima di tale data, e senza l’applicazione del beneficio di cui si tratta, i requisiti di contribuzione necessari per il conseguimento della pensione di anzianità o di vecchiaia, trovando l’anzidetta regola giustificazione nel principio generale secondo cui la prestazione si liquida in base alle disposizioni vigenti (e, quindi con i vantaggi dalle stesse previsti) al momento di acquisizione del diritto”. Ed in quella pronuncia questa Corte regolatrice ha rigettato l’impugnazione del lavoratore per la mancata dimostrazione degli altri requisiti richiesti dalla norma per il riconoscimento della rivalutazione contributiva.

Accolto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla stessa Corte di appello, in diversa composizione, perchè verifichi se, ai fini del beneficio invocato, il L. sia rimasto esposto all’amianto, nell’ambiente in cui espletava l’attività lavorativa e per un periodo di oltre dieci anni, con superamento della soglia di 0,1 fibre per centimetro cubo, quale valore medio giornaliero su otto ore al giorno.

Il giudice di rinvio provvederà al regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2010

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