Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1568 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. I, 23/01/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 23/01/2020), n.1568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 26665/2015 proposto da:

Ordine Nazionale Biologi, in persona legale rappresentante pro

tempore, V.E., G.V., Gi.Ca.,

elettivamente domiciliati in Roma, Via di Porta Pinciana, n. 6,

rappresentati e difesi dall’avv. Sciacca Giovanni Crisostomo, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona Presidente del

Consiglio pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente incidentale –

contro

Sds Snabi, Ssn e Arpa;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3817/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2019 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato Arbib Riccardo con delega, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale, per il ricorrente.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con citazione del 10.6.2008, l’Ordine Nazionale dei Biologi, nonchè i dottori in biologia V.E., G.V., L.A. e Gi.Ca. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i Ministri del lavoro, delle Politiche comunitarie, degli Esteri, della Giustizia, dell’Economia, dei Rapporti con le Regioni, della Difesa, nonchè le Regioni Lombardia, Piemonte, Lazio e l’ASL RM/C, lamentando la lesione del diritto ad essere designati responsabili del servizio trasfusionale, riconosciuto in costanza di specifici requisiti di esperienza posseduti da essi attori – ai laureati in scienze biologiche ed ai laureati in medicina e chirurgia, dall’art. 9, comma 2 della Direttiva 2002/98/CE, che dettava norme in materia di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti.

Gli attori lamentavano che il D.Lgs. n. 261 del 2007, di attuazione della predetta Direttiva, aveva invece individuato, con l’art. 6, comma 2, il titolo di accesso ai posti di responsabili del servizio nel solo diploma di laurea in medicina e chirurgia, così precludendo alla categoria dei biologi la possibilità di esser designati quali responsabili, con disciplina che violava la normativa Europea ed andava disapplicata.

Il Tribunale adito, nel contraddittorio con l’intervenuto sindacato dei biologi SDS, rigettava la domanda, rilevando che ove la stessa fosse stata intesa quale azione di mero accertamento, ed ove la delibera fosse autoesecutiva, parte attrice non avrebbe avuto interesse ad agire per essere la legge nazionale recessiva rispetto al diritto di diretta fonte comunitaria; il Tribunale escludeva al contempo il carattere autoesecutivo della Direttiva, in quanto diretta a dettare regole di massima sull’istituzione dei centri emotrasfusionali, per la cui costituzione e funzionamento era necessaria la normativa nazionale. Ove intesa in riferimento alla responsabilità dello Stato per erronea trasposizione della Direttiva, la domanda andava rigettata, sul presupposto che la disciplina Europea lasciava lo Stato libero di optare tra medici e biologi o di sceglierli entrambi, e si trattava, quindi, di un’insindacabile scelta discrezionale.

La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Roma, che, con sentenza n. 3817 del 19.6.2015, rilevata la mancata impugnazione sulla statuizione inerente alla domanda di mero accertamento, affermava l’infondatezza di quella tesa a far valere la responsabilità dello Stato per violazione dell’obbligo comunitario, tenuto conto che la Direttiva, scevra da particolari dubbi interpretativi, si limitava a porre standard minimi di sicurezza e che la scelta dello Stato italiano, eminentemente discrezionale, non la violava.

Per la cassazione della sentenza, che riteneva assorbito l’appello incidentale condizionato della Presidenza del Consiglio, hanno proposto ricorso l’Ordine Nazionale dei Biologi, V.E., G.V. e Gi.Ca., con due motivi, ai quali ha resistito la Presidenza del Consiglio con controricorso) con cui ha proposto un motivo di ricorso incidentale condizionato. Il sindacato SDS è rimasto intimato. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

1. Col primo motivo, deducendo la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 112 c.p.c., i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello ha errato nell’interpretazione della domanda, con cui avevano chiesto di accertare il diritto, attribuito dall’art. 9, comma 2 della Direttiva e non recepito dallo Stato italiano, dei dottori in biologia a poter essere designati quali “persona responsabile” di un centro ematologico.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 10 e 117 Cost.; art. 288 TFUE, art. 9 direttiva 2002/98/CE; art. 12 preleggi. Erroneamente, affermano i ricorrenti, la sentenza ha ritenuto la direttiva non autoesecutiva: all’art. 9, comma 2, essa non fa distinzioni tra i laureati in medicina e chirurgia ed i laureati in biologia, i quali, a parità di esperienza pratica, sono entrambi indicati quali soggetti idonei ad esser nominati responsabili dei predetti centri.

3. Col ricorso incidentale condizionato, la Presidenza del Consiglio lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 276 c.p.c., comma 2, per avere il Tribunale valutato la questione della legittimità del D.Lgs. n. 261 del 2007, art. 6, comma 2, per supposta violazione del diritto comunitario, senza che siffatta domanda fosse mai stata formulata da parte attrice, che si era limitata a richiedere la statuizione di accertamento del diritto, ritenuto derivante direttamente dalla Direttiva.

4. La questione relativa all’individuazione della domanda, oggetto delle contrapposte impugnazioni, e dalla quale occorre muovere, va risolta nel senso prospettato dai ricorrenti principali: il diretto esame degli atti, consentito dalla natura processuale della questione, rende chiaro che l’Ordine ed i Biologi, pur chiedendo la disapplicazione della normativa nazionale, hanno al contempo lamentato che la trasposizione nel diritto interno della Direttiva non ne rispecchiava il contenuto, comportava una situazione pregiudizievole per la categoria professionale e per i singoli biologi introducendo una disciplina discriminatoria nei loro confronti. Risulta, così, allegato che: 1) la norma del diritto dell’Unione violata (art. 9, comma 2) è preordinata a conferire diritti ai singoli; 2) si tratta di violazione sufficientemente caratterizzata, da intendere quale violazione grave e manifesta; 3) sussiste un nesso di causalità tra violazione dell’obbligo posto a carico dello Stato membro e danno subito dal soggetto leso (cfr. in tema Corte di Giustizia, sentenze 10 novembre 1991 “Francovich” -cause riunite C-6/90 e C-9/90-, sugli obblighi risarcitori degli Stati membri per la mancata attuazione di direttive comunitarie, e 5 marzo 1996 “Brasserie du pecheur” e “Factortame” -cause riunite C-46/93 e V-48/93-, attinente in generale agli obblighi risarcitori degli Stati membri nei confronti dei singoli per violazioni del diritto comunitario).

A tanto, va aggiunto, che, in base ai principi di effettività e di non discriminazione, le norme del diritto dell’Unione vanno applicate nella loro interezza, anche d’ufficio, senza che possano ostarvi preclusioni di ordine processuale, col solo limite dell’avvenuta definizione del rapporto controverso, nella specie non intervenuta, essendo, appunto, in contestazione la sussistenza della violazione del diritto, di matrice Europea, della categoria dei biologi ad essere indicati come responsabili dei centri ematologici.

5. La Direttiva 2002/98/CE, dopo aver indicato nei considerando 13-15, rispettivamente che:

– gli Stati membri dovrebbero assicurare l’esistenza di un meccanismo adeguato per la designazione, l’autorizzazione, l’accreditamento e la concessione di licenze, per assicurare che le attività dei centri ematologici siano effettuate conformemente ai requisiti della presente direttiva;

– gli Stati membri dovrebbero organizzare misure d’ispezione e di controllo, attuate da funzionari che rappresentino le autorità competenti, al fine di garantire la conformità dei centri ematologici con le disposizioni della presente direttiva;

– il personale che interviene direttamente nella raccolta, nel controllo, nella lavorazione, nella conservazione e nella distribuzione del sangue e di suoi componenti dovrebbe essere in possesso della necessaria qualificazione e ricevere una formazione tempestiva e adeguata, lasciando impregiudicata l’applicazione della normativa comunitaria vigente sul riconoscimento delle qualifiche professionali e sulla protezione dei lavoratori;

– all’art. 1 ha fissato, gli obiettivi precisando che: “La presente direttiva stabilisce norme di qualità e sicurezza del sangue umano e dei suoi componenti, al fine di assicurare un elevato livello di protezione della salute umana”;

– all’art. 4 ha, tra l’altro, previsto, che: “1. Gli Stati membri designano l’autorità o le autorità responsabili per l’applicazione dei requisiti della presente direttiva. 2. La presente direttiva non impedisce ad alcuno Stato membro di mantenere in vigore o introdurre nel proprio territorio misure di protezione più rigorose purchè siano conformi al trattato (…)

– all’art. 5 ha disposto che: “l. Gli Stati membri assicurano che le attività relative alla raccolta e al controllo del sangue umano e dei suoi componenti, a qualunque uso siano destinati, nonchè alla lavorazione, alla conservazione e alla distribuzione degli stessi, ove siano destinati alla trasfusione, siano effettuate unicamente da centri ematologici che abbiano ottenuto una designazione, un’autorizzazione, un accreditamento o una licenza a tal fine da parte delle autorità competenti”;

– all’art. 9, dopo aver indicato, al comma 1, gli specifici compiti della “persona responsabile” designata dal centro ematologico, prevede) al comma 2 che “La persona responsabile risponde alle seguenti condizioni minime di qualificazione: a) possesso di un diploma, certificato o altro titolo che sancisca un ciclo di formazione universitaria, o un ciclo di formazione riconosciuto equivalente dallo Stato interessato, nel settore delle scienze mediche o biologiche; b) esperienza pratica post laurea di almeno due anni in settori di pertinenza, in uno o più istituti autorizzati a effettuare attività connesse alla raccolta e/o al controllo del sangue umano e dei suoi componenti o alla loro lavorazione, conservazione e distribuzione.

6. Il D.Lgs. 20 dicembre 2007, n. 261, denominato di “Revisione del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 191, recante attuazione della direttiva 2002/98/CE che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti”:

– all’art. 2, comma 1, lett. e), ha definito per “servizio trasfusionale”: le strutture e le relative articolazioni organizzative, comprese quelle per le attività di raccolta, previste dalla normativa vigente secondo i modelli organizzativi regionali, che sono responsabili sotto qualsiasi aspetto della raccolta e del controllo del sangue umano e dei suoi componenti, quale ne sia la destinazione, nonchè della lavorazione, conservazione, distribuzione e assegnazione quando gli stessi sono destinati alla trasfusione;

– all’art. 4 ha previsto che le attività relative alla raccolta e al controllo del sangue umano e degli emocomponenti, ivi inclusa l’esecuzione degli esami di validazione biologica previsti dalla normativa vigente, a qualunque uso siano destinati, nonchè alla loro lavorazione, conservazione, distribuzione e assegnazione, ove siano destinati alla trasfusione, sono effettuate unicamente in specifici centri, che abbiano entrambi ottenuto, l’autorizzazione e l’accreditamento;

– all’art. 6 ha disposto, al comma 1, che l’ente cui afferisce il servizio trasfusionale ne designa la persona responsabile, individuandone i compiti, ed ha previsto, al comma 2 che: “La persona responsabile di cui al comma 1, possiede diploma di laurea in medicina e chirurgia ed i requisiti previsti dalla normativa vigente per l’accesso alla direzione di struttura complessa nella disciplina di medicina trasfusionale”.

7. In base al diritto interno, è dunque precluso ai dottori in biologia l’accesso al ruolo di persona responsabile dei servizi trasfusionali, mentre la Direttiva enuncia, come si è visto, tra i requisiti di qualificazione valenti al riguardo, titoli accademici acquisiti “nel settore delle scienze mediche o biologiche”.

E’ bensì vero, peraltro, che la Direttiva ha individuato requisiti minimi, consentendo agli Stati di mantenere ed introdurre nella materia disciplinata misure protettive più rigorose, sicchè il Collegio si interrogai in relazione alla struttura stessa della disposizione, se, con l’art. 9, comma 2, la Direttiva abbia direttamente riconosciuto ai dottori in scienze biologiche al pari che ai dottori in scienze mediche (in possesso, beninteso, dell’esperienza richiesta) il diritto a poter essere nominati responsabili dei servizi trasfusionali, o se abbia, invece, rimesso agli Stati la facoltà di scegliere tra l’una o l’altra categoria, secondo le tesi, rispettivamente, sostenute dai ricorrenti e dall’Amministrazione.

Nel primo caso, infatti, la trasposizione della disciplina Europea nel diritto interno non sarebbe fedele, proprio come lamentano i Biologi, che ne sottolineano l’impostazione discriminatoria – i medici sarebbero, in assoluto, meglio preparati e più esperti – ed evidenziano che la loro istanza non costituisce un banale caso di riconoscimento di titoli, ma integra un vero e proprio inadempimento dello Stato che, in contrasto col diritto dell’Unione, precluderebbe loro l’accesso alla posizione apicale.

Nel secondo caso, per contro, verrebbe in rilievo la potestà discrezionale dello Stato nella scelta dei soggetti reputati più idonei allo svolgimento dell’incarico, ipotesi non sindacabile in sede giurisdizionale.

8. Non essendo d’immediata chiarezza quale sia l’opzione esegetica corretta, anche in relazione al criterio sistematico riferito all’intera disciplina in cui la norma si colloca, la Corte ritiene di dover sollevare questione pregiudiziale interpretativa alla Corte di Giustizia UE alla quale vanno sottoposti i seguenti quesiti, ai sensi dell’art. 267 del TFUE:

“se la disposizione dell’art. 9, comma 2 della direttiva 2002/98/CE, che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti, vada interpretato nel senso che, nell’indicare, tra le altre condizioni minime di qualificazione per l’accesso al ruolo di persona responsabile del centro ematologico, il possesso di un titolo accademico “nel settore delle scienze mediche o biologiche” attribuisca direttamente ai laureati in entrambe le discipline il diritto di poter svolgere il ruolo di persona responsabile del centro ematologico”;

“se in conseguenza il diritto dell’Unione consenta o impedisca che il diritto nazionale escluda che il predetto ruolo di persona responsabile del centro ematologico possa esser svolto dai laureati in scienze biologiche”.

P.Q.M.

La Corte rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale d’interpretazione della direttiva 2002/98/CE, del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003, come sopra formulata; ordina la sospensione del processo e la trasmissione di copia degli atti alla Cancelleria della Corte di Giustizia.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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