Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15677 del 04/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/06/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 04/06/2021), n.15677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20179-2017 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CHIANA

48, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, rappresentata e

difesa dall’avvocato NICOLA ROBERTO TOSCANO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA CONSORZIALE POLICLINICO DI BARI, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TRIONFALE N. 5637, presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALBERTO COCCIOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 427/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/02/2017 R.G.N. 949/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/02/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 427/2017 del 22 febbraio 2017, la Corte di appello di Bari, in riforma della decisione del locale Tribunale, che aveva accolto il ricorso proposto nei confronti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari da S.D. e dichiarato il diritto di quest’ultima all’indennità di coordinamento ex art. 10 del c.c.n.l. 20.9.2001 sin dal 31/8/2001 ed all’inquadramento nel superiore livello Ds a far data dall’1.9.2003, rigettava in toto l’azionata domanda;

la Corte territoriale rilevava che: – il profilo professionale di dietista era incluso nella categoria C del c.c.n.l. del 7/4/1999: – l’inquadramento in D era avvenuto a far data dal 1 settembre 2001 per effetto delle nuove previsioni contrattuali; – tale inquadramento non costituiva ex se ragione di attribuzione della reclamata indennità (rappresentando la funzione di coordinamento un quid pluris rispetto alle mansioni); – secondo l’integrativo del 2001 la posizione di coordinamento (a regime) poteva essere conferita solo al personale appartenente ai profili interessati in possesso di una esperienza professionale complessiva in categoria C e/o D di cinque anni e che i criteri generali per il conferimento sono definiti dalle aziende con le procedure di concertazione di cui all’art. 6 del c.c.n.l. lett. b) del c.c.n.l. del 1999: – nella specie la ricorrente aveva sempre svolto le funzioni del proprio profilo di appartenenza senza assumere alcun coordinamento del servizio cui era addetta;

3. avverso tale sentenza S.D. ha proposto ricorso affidato ad un motivo;

4. l’Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico ha resistito con controricorso;

5. entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 4 e dell’art. 10, commi 1, 2 e 3 c.c.n.l. 2 biennio economico 2000-2001, Comparto Sanità Pubblica;

sostiene che l’effettività delle funzioni di coordinamento svolte permea il complessivo sistema contrattuale e rileva che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, sussistessero tutti i provvedimenti formali di attribuzione dell’incarico di coordinamento già prima del 31 agosto 2001;

2. il motivo è inammissibile;

3. nonostante la denuncia formale di asserite violazioni delle sopra indicate disposizioni della contrattazione collettiva, la ricorrente, nella sostanza, contesta l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello sulla sussistenza dei requisiti di cui al citato art. 10, comma 1, del c.c.n.l. 2001 per il riconoscimento, già nel sistema di prima applicazione, dell’indennità di coordinamento in favore dei dipendenti prima inquadrati in C;

4. come è noto il c.c.n.l. 2000-2001, per favorire il processo di riordino e riorganizzazione delle professioni sanitarie ha previsto – ravvisando che l’insieme dei requisiti richiesti al personale appartenente alla categoria C del ruolo sanitario nonchè al profilo di operatore professionale assistente sociale del ruolo tecnico, per contenuti di competenze, conoscenze e capacità necessarie per l’espletamento delle relative attività lavorative, corrisponde a quello della categoria D dei rispettivi profili – la ricollocazione del personale della categoria C nella categoria D;

l’art. 9, comma 2, del c.c.n.l. ha, in particolare, stabilito che, con decorrenza dal 10 settembre 2001, tutti gli operatori professionali del ruolo sanitario e l’operatore professionale – assistente sociale – del ruolo tecnico assumono la denominazione della categoria D, rispettivamente, di collaboratore professionale sanitario nei profili e discipline già corrispondenti a quella della categoria di provenienza, nonchè di collaboratore professionale – assistente sociale;

5. la realizzata unificazione dei dipendenti delle categorie C e D, ha posto il problema sia di distinguere e valorizzare, all’interno del nuovo profilo accorpato, la reale funzione di coordinamento delle attività dei servizi affidati sia di differenziare coloro che, al momento dell’accorpamento, avessero già effettuato determinate funzioni di coordinamento;

6. si è pervenuti così a prevedere l’indennità di coordinamento di cui all’art. 10, del c.c.n.l. la cui ratio, come si evince dallo stesso testo della disposizione, è appunto quella di “favorire le modifiche dell’organizzazione del lavoro nonchè valorizzare l’autonomia e responsabilità delle professioni”, in seguito al passaggio nella categoria D anche del personale già appartenente alla categoria C;

7. la disposizione prevede innanzitutto un sistema a regime (una volta superata la fase transitoria) disponendo, al comma 1, che l’indennità in questione è attribuita a “coloro cui sia affidata la funzione di coordinamento delle attività dei servizi di assegnazione nonchè del personale appartenente allo stesso o ad altro profilo anche di pari categoria ed – ove articolata al suo interno – di pari livello economico, con assunzione di responsabilità del proprio operato” e specificando che essa “si compone di una parte fissa ed una variabile” (dunque, a regime, l’incarico, che richiede sempre un atto formale di conferimento, può essere attribuito dalle aziende ai soggetti in possesso del requisito minimo di anzianità solo previa definizione di criteri generali ai quali le aziende medesime devono attenersi nella scelta del dipendente cui affidare il coordinamento – v. di recente Cass. 18 maggio 2018, n. 12339 -);

8. il secondo e il comma 3 disciplinano la situazione relativa alla prima applicazione della norma contrattuale, chiarendo quali sono i presupposti per il riconoscimento dell’indennità nei confronti di coloro che alla data del 10 settembre 2001 svolgessero attività di coordinamento e prevedendo che “L’indennità di funzione di coordinamento – parte fissa – con decorrenza 1 settembre 2001, è corrisposta in via permanente ai collaboratori professionali sanitari caposala – già appartenenti alla categoria D e con reali funzioni di coordinamento al 31 agosto 2001, nella misura annua lorda di Lire 3.000.000 cui si aggiunge la tredicesima mensilità” e che “l’indennità di cui al comma 2 – sempre in prima applicazione – compete in via permanente – nella stessa misura e con la medesima decorrenza anche ai collaboratori professionali sanitari degli altri profili e discipline nonchè ai collaboratori professionali – assistenti sociali – già appartenenti alla categoria D, ai quali a tale data le aziende abbiano conferito analogo incarico di coordinamento o, previa verifica, ne riconoscano con atto formale lo svolgimento al 31 agosto 2001”;

sempre in sede di prima applicazione del c.c.n.l., ai sensi del medesimo art. 10, comma 7 al fine di evitare duplicazione di benefici, è stato previsto che l’incarico di coordinamento sia affidato di norma al personale già appartenente alla categoria D alla data del contratto stesso, e sia rimessa alla valutazione aziendale, in base alla propria situazione organizzativa, la possibilità di attribuire l’indennità di coordinamento di cui all’art. 10, comma 1, anche al personale proveniente dalla categoria C (che la situazione contrattuale che specificamente rileva nel caso in esame) cui sia stato riconosciuto l’espletamento di funzioni di effettivo coordinamento ai sensi dell’art. 8, commi 4 e 5;

nell’ipotesi di prima applicazione di cui al comma 2, l’indennità compete a tutti i collaboratori professionali sanitari-caposala con reali funzioni di coordinamento alla data del 31 agosto 2001, riconoscendosi, in tal caso, che la funzione di coordinamento è intrinseca al ruolo del capo sala, non essendo necessario un accertamento formale;

nel caso di cui al comma 3, invece, l’indennità è riconosciuta anche ai collaboratori professionali sanitari degli altri profili e discipline nonchè ai collaboratori professionali – assistenti sociali – già appartenenti alla categoria D (omissis), ai quali l’azienda avesse conferito analogo incarico di coordinamento alla medesima data o ne avesse riconosciuto con atto formale lo svolgimento al 31 agosto 2001, affermandosi, in tal caso, che la funzione di coordinamento non è intrinseca al ruolo dei profili e quindi ha bisogno di essere dimostrata o accertata con atto formale; eguale necessità di un riconoscimento formale è prevista dal comma 7;

9. è stato altresì sottolineato che “in tema di indennità per incarico di coordinamento prevista dall’art. 10, comma 3 c.c.n.l. sanità biennio economico 2000-2001, stipulato il 20 settembre 2001, la disposizione contrattuale collettiva si interpreta nel senso che, ai fini del menzionato trattamento economico, il conferimento dell’incarico di coordinamento o la sua verifica con atto formale richiedono che di tale incarico vi sia traccia documentale, che esso sia stato assegnato da coloro che avevano il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente, e che abbia ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione nonchè del personale, restando esclusa la possibilità per l’Amministrazione di subordinare il suddetto diritto a proprie ulteriori determinazioni di natura discrezionale” (v. Cass. 27 aprile 2010, n. 10009; Cass. 22 settembre 2015, n. 18679; Cass. 8 novembre 2013, n. 25198);

10. è stato ancora precisato che, ai fini del riconoscimento dell’indennità di cui all’art. 10, comma 7 (attribuzione al personale proveniente dalla categoria C), che presuppone il conferimento formale dell’incarico di coordinamento, si richiede che: a) vi sia traccia documentale di tale incarico; b) l’incarico sia stato assegnato da coloro che hanno il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente; c) lo stesso abbia ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione e gestione del personale (Cass. 21 luglio 2014, n. 16589);

così, il conferimento delle funzioni di coordinamento, cui si fa espresso riferimento nell’art. 10, comma 3 del c.c.n.l. sanità del 20 settembre 2001 o la sua verifica con atto formale vanno intesi, conformemente al significato complessivo della regolamentazione dell’indennità, come indicatori della necessità che di tali mansioni vi sia traccia documentale e che essi siano stati assegnati da coloro che, secondo le linee organizzative dell’ente avevano il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente (cfr. Cass. n. 8 1009/2010 cit.) e non necessariamente dagli organi di vertice (Cass. 21 maggio 2014, n. 11199);

11. sempre la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 24 novembre 2017, n. 28087; Cass. 2 agosto 2016, n. 16088; Cass. 26 luglio 2016, n. 15444) ha affermato che l’attribuzione al personale proveniente (come nel caso in questione) dalla categoria C dell’indennità di coordinamento, ai sensi dell’art. 7, comma 10, del c.c.n.l. di settore, richiede una valutazione aziendale in ragione della propria situazione organizzativa, non sussistendo, in fase di prima applicazione del contratto collettivo, per il personale proveniente dalla categoria C, un automatismo tra indennità di coordinamento e svolgimento della funzione di coordinamento;

12. si è inoltre affermato, con la citata sentenza n. 18679/2015 (che richiama, tra l’altro, Cass. n. 25198/2013 e n. 10009/2010), che l’attività di coordinamento deve avere ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione nonchè del personale, e che requisito imprescindibile per il diritto a detta indennità è, dunque, il coordinamento anche del personale;

13. nella specie la ricorrente (prima inquadrata in C, poi ricollocata in D) in realtà si limita genericamente a contestare la conformazione agli indicati principi da parte della Corte territoriale (che correttamente ha evidenziato che per la categoria C, nel sistema di prima applicazione, la possibilità di applicare l’art. 10, comma 1 era rimessa ad una valutazione aziendale in base alla situazione organizzativa e che la ricollocazione nella categoria D, per effetto del nuovo inquadramento previsto dal c.c.n.l. – esclusa, nello specifico, la fondatezza del preteso inquadramento in Ds – non comportava ex se il riconoscimento della indennità di coordinamento) limitandosi, per un verso, a sostenere che la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare l’intervenuto inquadramento in D (circostanza, questa, non vera: v. pag. 8 della sentenza) e, per altro verso, a censurare il vaglio delle risultanze documentali operato dal giudice di appello, opponendo all’accertato espletamento da parte della S. delle mansioni proprie della qualifica di dietista ed alla ritenuta mancanza di ogni riscontro documentale di un qualche funzione di coordinamento del servizio svolto ovvero del personale a questo preposto, una diversa lettura delle risultanze di causa (operazione, questa, inammissibile in sede di legittimità);

14. si aggiunga che la censura con la quale la ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non avrebbe tenuto nella dovuta e giusta considerazione la documentazione prodotta dalla ricorrente (asseritamente costituente traccia idonea ad attestare il conferimento delle funzioni di coordinamento già prima del 31 agosto 2001) avrebbe dovuto essere fatta valere con il rispetto del duplice onere, imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di produrli agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (v. ex multis Cass. 28 settembre 2017, n. 19048);

i requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure;

gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicchè, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile e dalla sintetica trascrizione nel ricorso del contenuto essenziale del documento asseritamente trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (Cass., Sez. Un., 11 aprile 2012, n. 5698; Cass., Sez. Un., 7 novembre 2013, n. 25038; Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34469);

15. il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile;

16. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

17. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Azienda controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2021

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