Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15675 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 23/07/2020), n.15675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. Criscuolo Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28352-2018 proposto da:

L.G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE SANTA

TERESA n. 23, presso lo studio dell’avvocato PAOLO GRIMALDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIANCARLO GRECO;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 372/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 21/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione ritualmente notificato P.R. evocava in giudizio L.G.G. ed il Condominio di (OMISSIS) innanzi il Tribunale di Palermo, per sentirli condannare al risarcimento del danno subito in conseguenza delle infiltrazioni provenienti, a carico del suo appartamento, dal sovrastante terrazzo, di proprietà esclusiva del L. ma svolgente funzione di copertura dell’edificio condominiale.

Si costituiva il Condominio che contestava la domanda invocando in ogni caso l’accertamento dell’esclusiva responsabilità del L. nella causazione del danno, poichè il medesimo aveva eseguito opere abusive sul terrazzo che avevano alterato il sistema di convogliamento e smaltimento delle acque, modificando le pendenze, sovraccaricando i solai ed occupando illecitamente spazi condominiali. Il Condominio concludeva quindi anche per la condanna del L. alla rimozione delle opere illecitamente realizzate ed al ripristino dello statu quo ante.

Si costituiva a sua volta il L. resistendo alla domanda ed affermando, al contrario, la responsabilità esclusiva del condominio, che aveva eseguito malamente alcuni lavori di rifacimento del terrazzo, rimuovendo la pavimentazione e la guaina sottostante e lasciando poi incustodito ed aperto il cantiere, così creando il presupposto per la verificazione del danno lamentato dalla P.. Invocava inoltre la chiamata in causa in garanzia dell’amministratore del Condominio e dei suoi danti causa.

Evocato in giudizio, si costituiva l’amministratore del Condominio resistendo alla domanda svolta nei suoi confronti dal L., svolgendo a sua volta domanda in manleva nei confronti delle compagnie assicuratrici.

Si costituivano anche i danti causa del L., a loro volta resistendo alla domanda proposta dallo stesso nei loro riguardi, ed eccependone comunque la decadenza e la prescrizione.

Con altro atto di citazione alcuni condomini del Condominio di (OMISSIS) (segnatamente M.M., Mi.Lu., Mi.Fa., Le.Gi., B.F., R.C., D.C. e Ri.Gr.Ma.) impugnavano la Delib. dell’assemblea condominiale 18 febbraio 2009, con la quale era stata autorizzata una transazione tra il Condominio ed il L., sostenendo la nullità di quest’ultima perchè incidente anche su parti dell’edificio oggetto di proprietà comune. In dettaglio, gli attori deducevano che i danti causa del L. avevano elevato i muri perimetrali del lastrico solare di copertura del locale ospitante il motore dell’ascensore e collocato una scala in ferro che dal loro terrazzo consentiva l’accesso a detto ulteriore lastrico, assoggettandolo così ad uso esclusivo; che il L. stesso aveva installato in alcuni spazi condominiali una caldaia ed un motore per l’impianto di condizionamento, intercludendoli con un cancello munito di chiusura e destinandoli così a servizio della propria unità immobiliare. Chiedevano quindi la condanna del L. al ripristino dello statu quo ante ovvero, qualora ciò non fosse stato materialmente possibile, al pagamento dell’indennità di cui all’art. 1227 c.c.. Deducevano inoltre la responsabilità dell’amministratore del condominio per incuria e mancata tempestiva attivazione a tutela della cosa comune e ne invocavano la condanna alla resa del conto ed al risarcimento del danno cagionato al Condominio.

Anche in questa seconda controversia si costituiva il L., contestando la domanda e spiegando riconvenzionale per l’eliminazione di altre opere, realizzate nelle loro rispettive proprietà dai condomini Mi. e M.. Chiedeva inoltre la condanna del Condominio alla restituzione della somma da lui spesa per il rifacimento del terrazzo di sua proprietà, pari ad Euro 12.500, resosi necessario per eliminare i danni subiti dalla condomina P. (attrice nel primo giudizio).

Si costituiva il Condominio, invocando il rigetto della domanda e comunque allegando che la transazione non era stata poi raggiunta con il L., in quanto non si erano verificate le condizioni che l’assemblea aveva indicato.

Si costituiva l’amministratore del Condominio, resistendo alla domanda proposta nei suoi confronti e chiamando in manleva le compagnie assicuratrici.

I due giudizi venivano riuniti e decisi con sentenza n. 411/2014, con la quale il Tribunale di Palermo accoglieva parzialmente la domanda della P., condannando il L. al pagamento della somma di Euro 53.038,71 a titolo di risarcimento del danno da infiltrazioni; accoglieva inoltre la domanda del Condominio, condannando il L. al ripristino mediante eliminazione del manufatto abusivamente realizzato sul terrazzo di sua proprietà; dichiarava invece cessata la materia del contendere sia tra la P. ed il Condominio che sulla domanda di resa del conto proposta da alcuni condomini nei riguardi dell’amministrazione del Condominio predetto.

Interponeva appello avverso detta decisione il L., allegando che la P. aveva ricevuto dal Condominio, in corso di causa, la somma di Euro 67.000 giusta transazione medio tempore intervenuta tra dette parti, onde non poteva essere dovuta l’ulteriore somma di Euro 53.038 che il Tribunale lo aveva condannato a pagare per i medesimi titoli già oggetto di quella transazione. Sosteneva poi l’erroneità della decisione di prime cure ed insisteva nelle domande ed eccezioni proposte.

Si costituiva in seconde cure il Condominio, resistendo al gravame e spiegando appello incidentale sia per la condanna del L. alla restituzione della somma di Euro 67.000 che l’ente di gestione aveva dovuto riconoscere alla P. a fronte del danno dal L. stesso causato, sia per la rivendicazione della proprietà comune degli spazi abusivamente interclusi o comunque asserviti dal L..

Si costituiva altresì la P., resistendo al gravame e spiegando appello incidentale per la condanna del L. al risarcimento dei danni verificatisi dopo l’8.12.2007 e del danno non patrimoniale, che erano stati esclusi dal Tribunale.

Si costituivano infine i danti causa del L., resistendo a loro volta all’impugnazione.

Con la sentenza impugnata, n. 372/2018, la Corte di Appello di Palermo dava atto che nelle more del giudizio di seconde cure era intervenuta ulteriore transazione tra il L. e la P. (in data (OMISSIS)) e dichiarava quindi cessata la materia del contendere tra dette parti, rigettava sia l’appello principale che quelli incidentali e condannava il L. alle spese del grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione L.G.G. affidandosi a quattro motivi.

Il Condominio di (OMISSIS), intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va osservato che il ricorso in Cassazione è stato notificato soltanto al Condominio di (OMISSIS), e non anche a tutte le altre parti del giudizio di merito. Tuttavia, poichè nel caso di specie non si configura una ipotesi di litisconsorzio necessario, non occorre ordinare l’integrazione del contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c.. Del pari non necessaria è l’integrazione ai sensi dell’art. 332 c.p.c., posto che quando, come nel caso di specie, il ricorso risulti all’evidenza infondato è possibile, in applicazione del principio generale della cd. “ragione più liquida”, omettere un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e lesiva del principio della ragionevole durata del processo (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 23542 del 18/11/2015, Rv.637243; Cass. Sez.2, Ordinanza n. 10839 del 18/04/2019, Rv.653636).

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1127 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe presunto l’incompatibilità tra il gazebo realizzato dal L. sul proprio terrazzo e la statica dell’edificio, sull’unico presupposto che il C.T.U. aveva concluso che l’opera avesse aumentato il carico sugli elementi strutturali dell’undicesimo piano e senza aver prima verificato se detto aumento di carico comportasse effettivamente l’esigenza di rimuovere il manufatto.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte panormitana avrebbe omesso di considerare che anche il C.T.U., nella sua relazione, aveva concluso per la necessità di ulteriori accertamenti, senza nulla affermare, neanche in termini probabilistici, sull’effetto che sulla statica dell’edificio condominiale poteva avere l’aumento di carico derivante dal manufatto realizzato dal L. sul suo terrazzo.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili, in quanto esse si risolvono nella richiesta di una nuova valutazione dei fatti e di un diverso apprezzamento delle prove rispetto a quanto compiuto dal giudice di merito, senza considerare da un lato che il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento…” del giudice di merito “… tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790) e dall’altro lato che “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1127 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte siciliana avrebbe ravvisato la lesione del decoro architettonico dell’edificio senza tener conto della differenza tra aspetto architettonico e decoro architettonico dello stabile e senza considerare che l’ausiliario aveva affermato che il solo aspetto architettonico era “alquanto pregiudicato” dai vari interventi eseguiti sulle parti comuni dai vari condomini, anche a prescindere dalla sopraelevazione realizzata dal L. sull’ultimo piano.

La censura è infondata. Le nozioni di aspetto architettonico ex art. 1127 c.c., e di decoro architettonico ex art. 1120 c.c., pur differenti tra loro, sono strettamente complementari e non possono prescindere l’una dall’altra, sicchè anche l’intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 17350 del 25/08/2016, Rv. 640894; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10048 del 24/04/2013, Rv. 625813). La relativa valutazione, demandata al giudice di merito, è sottratta al sindacato della Corte di Cassazione, se congruamente motivata, senza peraltro obbligo di espressa motivazione sulla sussistenza del pregiudizio economico, quando questo sia da ritenersi insito in quello estetico (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1025 del 22/01/2004, Rv. 569562).

Infondata, nel caso specifico, è anche l’affermazione secondo cui l’edificio non avrebbe più avuto alcun aspetto architettonico da salvaguardare (cfr. pag. 20 del ricorso) per effetto delle alterazioni eseguite da altri condomini, posto che lo stesso ricorrente riferisce (pag. 19 del ricorso) che il C.T.U. aveva accertato che i detti interventi avevano “alquanto” pregiudicato le linee architettoniche dello stabile, senza però escludere la persistenza di dette linee, e quindi dell’aspetto stilistico ed architettonico dello stabile.

Con il quarto motivo il ricorrente si duole del governo delle spese operato dalla Corte di Appello. La censura è infondata, atteso che il giudice di merito ha compensato le spese tra il L. ed il Condominio, condannando l’appellante alla sola refusione delle spese del gravame in favore dei suoi danti causa. La statuizione è perfettamente coerente con l’esito del giudizio di seconda istanza, conclusosi con la reiezione tanto dell’appello principale del L. che di quello incidentale proposto del Condominio e conseguente configurazione della soccombenza reciproca tra dette parti. Nessuna soccombenza reciproca invece sussiste nei confronti dei danti causa del L., che non avevano proposto impugnazione incidentale e che, quindi, erano risultati totalmente vittoriosi all’esito del giudizio di appello; la condanna dell’appellante principale alla refusione delle spese in loro favore è quindi diretta conseguenza della statuizione di rigetto del gravame.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato in questo giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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