Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15671 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 23/07/2020), n.15671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26562-2018 proposto da:

P.G., rappresentato e difeso in proprio e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

S.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 263/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 08/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 25/09/2013 S.G. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 9643/2013 emesso dal Tribunale di Torino, con il quale gli era stato ordinato il pagamento, in favore di P.G. – avvocato esercente la professione legale – della somma di Euro 151.000,00 a titolo di compensi per l’attività professionale giudiziale e stragiudiziale da lui svolta in favore dell’ingiunto. Nella narrativa dell’atto di citazione, l’opponente deduceva innanzitutto l’incompetenza territoriale del Tribunale di Torino, dovendosi applicare il cd. foro del consumatore, e contestava poi nel merito la pretesa creditoria.

Si costituiva il P. insistendo nella propria richiesta.

Con sentenza n. 5999/2016 il Tribunale accoglieva in parte l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando il S. al pagamento della minor somma di Euro 83.137,53.

Interponeva appello il P. e si costituiva in seconde cure il S., resistendo al gravame.

Con la sentenza impugnata, n. 263/2018, la Corte di Appello di Torino rigettava l’impugnazione, confermando la sentenza di primo grado e condannando l’appellante alle spese del grado.

Propone ricorso per la cassazione della predetta decisione P.G. affidandosi ad otto motivi.

S.G., intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno scrutinati i motivi indicati con i numeri 1.2, 2.2, 3.2 e 5.1, con i quali il ricorrente lamenta l’omessa valutazione di fatti decisivi in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Tali censure sono inammissibili perchè la Corte di Appello ha deciso in assoluta conformità al giudice di prima istanza, confermando la sentenza soggetta a gravame. Poichè il giudizio di secondo grado è stato incardinato nel 2017, esso è soggetto alla disciplina di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c., introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134. Di conseguenza non è ammessa, in presenza di “doppia conforme”, la proposizione del ricorso in Cassazione per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il motivo indicato come 1.1 il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che, mentre l’importo indicato dal C.T.U. (pari ad Euro 35.189,73) fosse da intendere al netto di IVA e cassa avvocati, quello richiesto in via riconvenzionale dal P. (pari alla minor somma di Euro 33.792,53) fosse invece calcolato al lordo di detti accessori.

La censura è inammissibile. Dalla sentenza impugnata risulta chiaramente che la Corte piemontese ha ritenuto che gli importi invocati dal P. fossero stati calcolati al lordo degli accessori “… come emerge chiaramente dalla documentazione prodotta a supporto della domanda: le parcelle redatte (doc. da n. 71 a n. 77) e il riepilogo prodotto sub doc. 78” (cfr. pag. 4). Tale passaggio motivazionale non viene adeguatamente attinto dal motivo di censura in esame, con il quale il ricorrente non smentisce la circostanza affermata dal giudice di merito, ma si limita ad invocare, in modo assolutamente generico, una diversa ricostruzione del fatto, senza allegare alcun elemento idoneo a comprovare il denunziato errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale. Poichè quindi la doglianza si risolve in una richiesta di nuova e differente valutazione del merito della controversia, essa è inammissibile in sede di legittimità.

Con il motivo indicato come 2.1 il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte torinese avrebbe erroneamente detratto gli acconti al lordo, e non invece al netto degli accessori.

La censura è inammissibile. Dalla sentenza impugnata risulta infatti che “… i compensi dovuti all’avv. P. e quantificati in complessivi Euro 184.792,53 sono già al lordo, così che è corretta l’operazione di detrazione effettuata con il totale degli acconti ritenuti provati” (cfr. pag. 4). Anche tale passaggio motivazionale, come quello oggetto del motivo n. 1.1, non viene adeguatamente attinto dalla censura qui in esame, poichè il ricorrente non smentisce la circostanza affermata dal giudice di merito, ma si limita ad invocare genericamente una diversa ricostruzione del fatto, senza allegare alcun elemento idoneo a comprovare il denunziato errore in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello. Poichè quindi la doglianza si risolve in una richiesta di nuova e differente valutazione del merito della controversia, essa è inammissibile in sede di legittimità.

Con il motivo indicato come 2.3 il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1196 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte torinese avrebbe erroneamente ritenuto pacifica, perchè ammessa dal P., la circostanza che il S. gli avesse corrisposto, negli anni, la somma di Euro 50.784, senza considerare che parte di essa era stata versata prima dei riconoscimenti di debito provenienti dal S. e quindi non avrebbe potuto essere imputata alle somme pretese dal P. con il decreto ingiuntivo opposto.

La doglianza è inammissibile perchè con essa il ricorrente torna ad invocare un nuovo apprezzamento del fatto ed una diversa valutazione delle allegazioni istruttorie, nell’intento di pervenire ad un esito diverso da quello cui è pervenuto il giudice di merito. Al riguardo, va ribadito da un lato che il motivo di censura in Cassazione non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento…” del giudice di merito “… tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. Sez. U,-Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790); e, dall’altro lato, che “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez.3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez.1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).

Con il motivo indicato come 3.1 il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe errato nell’apprezzamento delle prove raccolte.

Anche questa censura è inammissibile, perchè la valutazione del materiale istruttorio acquisito agli atti di causa appartiene al sindacato riservato al giudice di merito e non è denunciabile in Cassazione, se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il che – come già detto – non è possibile nel caso di specie, in forza della norma di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c..

In definitiva, essendo tutti i motivi inammissibili, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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