Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15670 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 23/07/2020), n.15670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25687-2018 proposto da:

D.G.Q., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SUVERETO

n. 324, presso lo studio dell’avvocato ROSANNA RUSSO, rappresentato

e difeso dall’avvocato ANIELLO CHIEFFO;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

BAINSIZZA n. 3, presso lo studio dell’avvocato ROCCO MANZI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIANCARLO MAZZEI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1664/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione ritualmente notificato D.G.Q. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 57/2002, emesso dal Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, con il quale gli era stato ingiunto di pagare a M.A. la somma di Euro 8.738,88 a titolo di saldo del compenso relativo alle prestazioni professionali svolte dall’ingiungente in favore dell’ingiunto. Si costituiva in fase di opposizione il M. insistendo nella propria domanda di pagamento e depositando, inter alia, alcune lettere di incarico apparentemente sottoscritte dell’ingiunto. Quest’ultimo contestava l’autenticità di detti documenti e proponeva querela di falso. Il Tribunale, dopo aver dichiarato inizialmente inammissibile la querela, ne autorizzava in un secondo momento la presentazione, disponeva C.T.U. sui documenti contestati e sospendeva il giudizio principale. Dopo il deposito della relazione peritale, con sentenza n. 330/2011, il Tribunale rigettava la querela di falso.

Interponeva appello avverso detta decisione il D.G. e si costituiva in seconde cure il M..

Con la sentenza impugnata, n. 1664/2018, la Corte di Appello di Napoli dichiarava in parte inammissibile, ed in parte rigettava, il gravame.

Propone ricorso per la cassazione della predetta decisione D.G.Q. affidandosi ad un unico motivo.

Resiste con controricorso D.G.Q..

La parte controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale. La parte ricorrente ha invece inviato a mezzo posta elettronica certificata, acquisita al protocollo di questa Corte in data 10.2.2020, un’istanza urgente di differimento della camera di consiglio per legittimo impedimento a comparire del difensore avv. Aniello Chieffo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Prima di scrutinare i motivi del ricorso va esaminata l’istanza di differimento inviata dalla parte controricorrente, alla quale è acclusa dichiarazione dell’Istituto Clinico Città Studi S.p.a. di (OMISSIS) datata (OMISSIS), attestante il ricovero dell’avv. Aniello Chieffi a far data dal (OMISSIS). In relazione a detta documentazione l’avv. Chieffi ha chiesto il differimento dell’adunanza camerale per “impedimento a comparire”. Tuttavia, poichè l’adunanza camerale prevista dall’art. 380-bis c.p.c., non è partecipata, l’impedimento a comparire del difensore non è idoneo a giustificare il differimento invocato. Dal che consegue il rigetto dell’istanza.

Passando all’unico motivo di ricorso, con esso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 113,115,196 c.p.c., e art. 111 Cost., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di accogliere l’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica disposta in prime cure, senza dare rilievo al fatto decisivo rappresentato dalla presenza, su uno dei documenti oggetto dell’indagine peritale, di una bruciatura. La presenza di detto particolare evidenzierebbe, secondo la tesi di parte ricorrente, che il documento di cui trattasi sarebbe stato formato e scritto dopo la firma del D.G., e non prima, onde lo stesso non sarebbe riferibile alla volontà dell’apparente sottoscrittore. La circostanza, non rilevata dal C.T.U. nominato in primo grado, renderebbe necessaria la ripetizione della consulenza tecnica.

La censura è inammissibile, in quanto si risolve in una istanza di revisione del giudizio di merito operato dalla Corte territoriale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790) e nella richiesta di rivalutazione del compendio istruttorio acquisito agli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

La Corte di Appello, peraltro, non ha affatto omesso di considerare la circostanza relativa alla denunziata alterazione dei documenti contestati dal ricorrente, ma prima ha dato atto che già il Tribunale aveva esaminato tutti i rilievi mossi ricorrente all’elaborato peritale, ritenendo che essi “… seppur lasciavano permanere forti sospetti circa la genuinità del documento, non potevano sicuramente essere considerati gravi ed univoci perchè non consentivano di desumere in termini di ragionevole certezza il fatto ignorato, nè apparivano precisi e concordanti” (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata); poi ha ritenuto che le doglianze mosse dal D.G. – l’uso di diversi tipi di stampa, la sovrapposizione della sottoscrizione con lo stampato, la bucatura da bruciatura, il formato anomalo del foglio, la posizione della scrittura- fossero state già valutate dal giudice di prime cure e da questo attentamente vagliate con considerazioni non specificamente attinte dai motivi di appello (cfr. pag. 14 e 15 della sentenza); ed infine, ha ritenuto corretta la conclusione del Tribunale, secondo cui il D.G. non aveva puntualmente adempiuto all’onere di fornire la dimostrazione della dedotta falsità (cfr. pag. 16).

La Corte partenopea ha altresì aggiunto che, “… pur in assenza di specifico motivo di censura, giova sottolineare… che incombe sul sottoscrittore del foglio, che con querela di falso si assume firmato in bianco ed abusivamente riempito, l’onere di provare sia che la firma era stata apposta su foglio non ancora riempito, sia che il riempimento era avvenuto absque pactis. Ciò in quanto la sottoscrizione di un documento integrante gli estremi della scrittura privata vale ex se, ai sensi dell’art. 2702 c.c., ad ingenerare una presunzione iuris tantum di consenso del sottoscrittore al contenuto dell’atto e di assunzione della paternità dello scritto, indipendentemente dal fatto che la dichiarazione non sia stata vergata o redatta dal sottoscrittore (v. Cass. n. 3155/2004 e n. 16007/2003)” (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata).

Tale motivazione non viene adeguatamente attinta dalla censura proposta dal ricorrente, il quale reitera gli stessi argomenti già esaminati dal giudice di merito, proponendo in sostanza un apprezzamento di fatto diverso ed alternativo rispetto a quello fatto proprio sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello. Peraltro va evidenziato che i principi richiamati dal giudice di seconde cure sono pienamente conformi al costante insegnamento di questa Corte (cfr., oltre alle pronunce già richiamate dal giudice di merito, anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2524 del 07/02/2006, Rv. 586909; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5245 del 10/03/2006, Rv. 588253; Cass. Sez. U, Sentenza n. 5459 del 13/10/1980, Rv. 409331; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5417 del 07/03/2014, non massimata; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2992 del 31/01/2019, non massimata). La diversa disciplina prevista per il caso di riempimento absque pactis e di riempimento contra pacta si spiega perchè nella prima ipotesi l’abuso incide sulla provenienza e sulla riferibilità della dichiarazione al sottoscrittore, mentre nella seconda si traduce in una mera disfunzione interna del procedimento di formazione della dichiarazione medesima, in relazione allo strumento adottato – mandato ad scribendum – la quale implica soltanto la non corrispondenza tra ciò che risulta dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare. Di conseguenza, la prova che è richiesta a colui che intenda far valere la falsità è più stringente nel primo caso (absque pactis) dovendosi superare la presunzione iuris tantum di consenso del sottoscrittore al contenuto della scrittura privata e di assunzione della paternità dello scritto, indipendentemente dal fatto che la dichiarazione non sia stata da lui direttamente vergata o redatta.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma del cit art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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