Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1567 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/01/2017, (ud. 16/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 52-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSARIO

CALI’ giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1980/30/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI PALERMO, del 20/05/2014, depositata il 13/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VELLA PAOLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. e dato atto che si è ritenuto di adottare la motivazione semplificata, osserva quanto segue.

1. La controversia verte in tema di accertamenti bancari su conto corrente bancario cointestato alla contribuente, dr.ssa M. S. (biologa dietista), ed al coniuge dr. M. D.M.P. (medico cardiologo dipendente di azienda Ospedaliera, esercente attività cd. “intramoenia allargata” presso lo studio della moglie).

2. Con sentenza n. 1980 del 13/6/2014 la C.T.R. Sicilia ha dichiarato inammissibile – perchè nuova – la contestazione dell’esistenza (ai fini Irap) di uno “studio associato” tra i coniugi, ed ha respinto – perchè del tutto generica ed assertiva – la contestazione di inadeguatezza della documentazione prodotta dalla contribuente a giustificazione delle movimentazioni bancarie contestate.

3. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate censura la decisione per “violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 7, art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo, per un verso, di aver già in prime cure evidenziato che la contribuente condivideva lo studio medico con il coniuge e, per altro verso, che la contribuente non aveva provato “l’insussistenza di materia imponibile non dichiarata limitandosi ad elencare gli assegni e le operazioni bancarie contestate, ad indicare, in alcuni casi, la causale delle movimentazioni bancarie ma senta alcun valido supporto probatorio”.

4. Con il secondo mezzo, contesta altresì la “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio ex art. 360 c.p.c., n. 3”, in citiamo il giudice d’appello non si sarebbe dovuto limitare ad annullare l’atto impositivo per la ritenuta genericità delle contestazioni dell’Ufficio, ima avrebbe dovuto esaminare nel merito la pretesa tributaria.

5. I motivi presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.

6. Quanto al primo, le censure in diritto non sono idonee ad inficiare le due rationes decidendi della sentenza impugnata, in quanto, per un verso, la mera condivisione di uno studio è altro rispetto alla supposta esistenza di uno studio associato, mentre, per altro verso, la contestazione del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della contribuente va oltre il rilievo del giudice d’appello per cui “l’appellante si è limitata, con un enunciato meramente assertivo, a contrapporre, genericamente una propria valutazione soggettiva… a quella espressa in sentenza, senza minimamente indicare le ragioni della asserita erroneità del giudizio” mirando surrettiziamente ad una revisione della valutazione del materiale probatorio che però non è consentita in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. s.u. n. 7931/13, Cass. nn. 12264/14, 26860/14, 3396/15, 14233/15), in quanto spetta in via esclusiva al giudice di merito la valutazione dei fatti e la selezione degli elementi del suo convincimento (Cass. nn. 962/15, 26860/11).

7. Il secondo motivo è invece radicalmente inammissibile, poichè alle sentenze pubblicate dopo l’11 settembre 2012 – come quella impugnata – si applica l’attuale versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che ha come diverso presupposto l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, fatto decisivo che in questo caso non risulta nemmeno allegato.

8. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

9. Non ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, in quanto per la ricorrente amministrazione pubblica opera il meccanismo della prenotazione a debito delle spese (cfr. Cass. S.U. n. 9338/14; conf. Cass. sez. 4-L, n. 1778/16 e 6-T n. 18893/16).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’amministrazione ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimb. Iva e Cp come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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