Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15664 del 04/06/2021

Cassazione civile sez. I, 04/06/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 04/06/2021), n.15664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11744/2020 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliato in Padova, Via Monte Grappa

2 presso lo studio dell’avv. Elena Zaggia, che lo rappresenta e

difende per procura in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale

Verona – Sezione Padova, Ministero Dell’interno, (OMISSIS),

Procuratore Generale Della Repubblica;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4729/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2021 dal Dott. Roberto Bellè.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

N.M., cittadino (OMISSIS), ha agito davanti al Tribunale di Venezia per ottenere il riconoscimento della c.d. protezione sussidiaria o, in subordine della protezione umanitaria, con domanda rispetto alla quale la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato il gravame proposto dall’interessato avverso la sentenza di primo grado a lui sfavorevole;

N.M. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi;

il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione in giudizio per l’eventuale partecipazione alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

con il primo motivo di ricorso è dedotta, richiamando l’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la violazione delle norme in tema di protezione internazionale, argomentandosi sulle regole legali in ordine alla necessità di ritenere provate le dichiarazioni del richiedente, qualora egli abbia fatto ogni sforzo possibile per circostanziarle (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5) ed in concreto contestando i quattro punti su cui a dire del ricorrente si era incentrata la valutazione di non credibilità sviluppata dalla Corte territoriale;

a fronte del racconto del N. secondo cui egli era fuggito per il timore di essere ucciso dalla famiglia della fidanzata che lo aveva minacciato dopo che la donna era rimasta incinta, la Corte d’Appello ha evidenziato la genericità e lacunosità della narrazione, rimarcando come fosse poco credibile che il ricorrente non avesse mai chiesto informazioni ai parenti, con cui era rimasto in contatto, non solo sulla sorte della fidanzata, ma anche su quella del figlio che essi aspettavano insieme, così come lacunose erano le affermazioni con cui era stato aggiunto che sia la ragazza, sia il padre del ricorrente erano stati poi uccisi, senza precisare alcunchè sulle modalità del delitto ed anzi con non spiegata contraddizione, visto che nel pregresso racconto era stato riferito che lo stesso padre era in realtà d’accordo con chi voleva la morte del di lui figlio;

oltre a ciò, la Corte territoriale riteneva non credibile il rischio di trattamenti inumani, segnalando come la polizia non fosse stata neppure allertata e ciò sebbene la legge (OMISSIS) garantisse, come da norma che veniva anche successivamente citata, l’obbligatorietà della pena per il delitto d’onore e nonostante la famiglia del ricorrente fosse di livello sociale superiore a quello della fidanzata, sicchè poteva presumersi che in caso di denuncia avrebbe ricevuto le debite attenzioni;

infine, sempre sulla protezione sussidiaria, la Corte territoriale ha precisato, citando fonti aggiornate al 2018, come non risultasse una situazione di violenza indiscriminata in particolare nel luogo di provenienza del ricorrente;

a fronte di tale quadro motivazionale l’assunto del ricorrente, secondo cui egli avrebbe in realtà chiesto informazioni ai parenti senza mai riceverne costituisce ragionamento alternativo di merito rispetto a quello non implausibile fatto proprio dalla Corte, la quale ha invece valorizzato il fatto che davanti alla Commissione il ricorrente disse che non si era informato perchè “tanto non cambiava niente” ed è come tale inammissibile in sede di legittimità; analoga conclusione vale altresì per l’assunto sviluppato nel ricorso per cassazione in ordine al fatto che non sarebbe dimostrabile con assolutezza che una persona in fuga per grave minaccia alla vita avrebbe dovuto chiedere informazioni sul figlio o la ragazza rimasta incinta, come anche la prospettazione secondo cui le lacunosità rispetto alle morte della ragazza e del padre sarebbero dovute alla incolpevole labilità delle cognizioni del ricorrente o ad equivoci nel tradurre i propri assunti nella lingua parlata;

vale poi il principio per cui, il non implausibile apprezzamento in ordine alla inattendibilità “intrinseca” del racconto, per la sussistenza di incoerenze o contraddizioni valorizzate a tal fine dal giudice del merito, è in sè sufficiente ad escludere ulteriori approfondimenti anche sotto il profilo della cooperazione istruttoria, che resterebbero privi di sostegno rispetto a forme di protezione, come quella per i rifugiati, che trovano il fondamento in condizioni o vicende personali dell’interessato, evidentemente condizionate dalla veridicità o meno del racconto dal fornito dal medesimo (Cass. 4 novembre 2020, n. 24506);

tale principio è infatti del tutto coerente con la previsione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) secondo cui, se taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri, ma a condizione, tra l’altro, che “le dichiarazioni del richiedente” siano “ritenute coerenti e plausibili” (lett. c);

quanto poi all’omesso esame della denuncia sporta dal fratello del ricorrente rispetto alla morte del padre ed al certificato di decesso di quest’ultimo, il motivo di ricorso è inammissibile perchè non solo non trascrive tali documenti, ma neppure ne individua il luogo e momento di produzione, in contrasto con le previsioni di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c.;

ininfluente è infine il rilievo per cui in (OMISSIS) sarebbe diffuso il delitto d’onore, perchè esso non si raffronta con la ratio decidendi chiaramente e precisamente espressa dalla Corte territoriale rispetto alla sussistenza di legislazione repressiva specifica sul tema e rispetto alla mancanza di una denuncia alla polizia delle minacce ricevute, presumibilmente efficace dato il rilievo sociale della famiglia di provenienza;

il secondo motivo indica ancora la violazione di varie norme in tema di protezione umanitaria;

gli argomenti in esso sviluppati fanno riferimento a tale forma di salvaguardia adducendo l’esistenza, nel Paese di provenienza, di pericoli di terrorismo ed attentati, come anche il verificarsi di soprusi delle forze di polizia, uniti ad una povertà diffusa, sicchè il rientro in Patria comporterebbe il peggioramento delle prospettive di vita o la sottoposizione a rischio dei “diritti fondamentali come sanciti dalla carta costituzionale italiana”;

i rischi rispetto a diritti fondamentali sono però dedotti del tutto genericamente, mentre è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale (Cass. 2 luglio 2020, n. 13573);

neppure sono stati addotti specifici elementi che qualifichino la condizione del ricorrente con caratteri differenziati rispetto a quella diffusa in un Paese, come quello di provenienza, caratterizzato da un livello di sviluppo inferiore, non essendo ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri determinati parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di difficoltà economiche e sociali (Cass. 6 novembre 2020, n. 24904) ed essendo pertanto necessario, per il riconoscimento della tutela residuale umanitaria, l’individuazione di una condizione personale e specifica di vulnerabilità, che consenta di ritenere integrati i “seri motivi” cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ratione temporis, riconnette la protezione richiesta;

il ricorrente insiste poi ulteriormente nel secondo motivo sulla rilevanza da attribuire, sotto il profilo della tutela umanitaria, al “delitto d’onore” ed alla sua diffusione in (OMISSIS), ma ad escludere la rilevanza e decisività di tale tema, anche a proposito di quanto qui in esame, è sufficiente il richiamo a quanto su tale aspetto si è già precedentemente detto;

nulla sulle spese, in quanto il Ministero si è limitato al deposito di “atto di costituzione”, senza svolgere attività difensiva.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2021

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