Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15657 del 04/06/2021

Cassazione civile sez. I, 04/06/2021, (ud. 21/04/2021, dep. 04/06/2021), n.15657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15367/2020 proposto da:

M.O., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dagli Avvocati Tiziana Aresi, e Massimo Carlo Seregni, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 113454/2019 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 16/8/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/4/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Milano, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c. del 26 marzo 2018, rigettava il ricorso proposto da M.O., cittadino della (OMISSIS) proveniente da (OMISSIS), avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento della protezione internazionale.

Il richiedente asilo aveva raccontato, a suffragio della propria domanda, di essersi allontanato dal proprio paese di origine per un contrasto con uno zio sulla destinazione da assegnare a un terreno di famiglia, in ragione del quale il parente lo aveva colpito con un machete.

2. La Corte d’appello di Milano, a seguito dell’impugnazione del richiedente asilo, condivideva – fra l’altro e per quanto qui di interesse – la valutazione di non credibilità già espressa dal primo giudice e comunque osservava che non era stata addotta la mancanza di mezzi statali per far fronte alle minacce del parente.

La Corte di merito, rilevata anche l’inesistenza nella città di residenza dell’appellante di una situazione di violenza generalizzata, disattendeva la richiesta di concessione della protezione sussidiaria.

3. Per la cassazione di tale sentenza, pubblicata il 16 agosto 2019, ha proposto ricorso M.O. prospettando due motivi di doglianza. Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 3, a mente del quale la domanda del richiedente asilo deve essere esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione esistente nel paese di origine e, ove occorra, nei paesi di transito.

La Corte d’appello, a dispetto di tale disposto normativo, non avrebbe assolutamente approfondito o valutato le vicende vissute dal richiedente asilo nei paesi di transito, nonostante siano ormai conosciuti e denunciati da diverse organizzazioni internazionali i costanti abusi, le violazioni dei diritti umani e le torture subite dai migranti durante il viaggio verso l’Italia.

5. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente fa riferimento – per il vero in termini generali e non personalizzati – a costanti abusi, violazioni dei diritti umani e torture subite dai migranti durante il loro viaggio verso l’Italia.

La sentenza impugnata non fa però il minimo cenno a una simile questione, che dalla lettura decisione non risulta fosse stata posta dall’appellante (dato che la Corte di merito si è limitata registrare che l’ O. aveva dichiarato di essere arrivato in Italia attraversando il Niger e la Libia).

Nè dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, risulta che il richiedente asilo, nel corso del giudizio di merito, avesse allegato di aver subito simili trattamenti nel corso del suo viaggio.

Sicchè trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).

6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e art. 14, lett. c): la Corte d’appello – in tesi di parte ricorrente – non avrebbe apprezzato la credibilità del racconto del migrante facendo reale applicazione dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, poichè si era limitata a richiamare tale normativa ed a ritenerla non applicabile al caso di specie.

I giudici distrettuali non avrebbero neppure proceduto all’acquisizione di informazioni precise e aggiornate sulla situazione generale esistente nel paese di origine del richiedente asilo, malgrado la sua vicenda si inserisse in un drammatico quadro socio-politico.

In ogni caso doveva ritenersi sussistente il requisito del grave danno previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), tenuto conto dello scarso controllo sociale esistente nel paese di origine.

7. Il motivo è inammissibile.

7.1 Questa Corte ha già avuto occasione di osservare che in materia di protezione internazionale e umanitaria la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età (Cass. 26921/2017).

La Corte d’appello non si è affatto ispirata a simili principi, in quanto, pur avendo elencato (per due volte) i criteri da tenere in conto per compiere la valutazione di credibilità, ha tralasciato di applicarli in concreto, limitandosi a sostenere (a pag. 9), dapprima, che la credibilità intrinseca è un requisito indefettibile e osservando, poi, che l’esistenza di un procedimento giurisdizionale per la proprietà del terreno “ben avrebbe potuto essere documentata”.

In questo modo la Corte di merito ha fatto dipendere il giudizio di credibilità non dai criteri di legge che aveva appena evocato, ma dalla presenza di documentazione di riscontro, malgrado la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non possa essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato (Cass. 19716/2018).

7.2 Il che tuttavia non consente di accogliere la doglianza in esame. La Corte d’appello ha aggiunto, subito dopo, che “avrebbe potuto e dovuto essere valorizzata la mancanza di mezzi statali per far fronte a minacce di atti gravi verso la persona dell’odierno appellante ad opera del parente”.

In questo modo i giudici distrettuali hanno inteso far richiamo al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c), a mente del quale ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria può sì essere valorizzata anche la condotta di soggetti non statuali, a patto però che lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio non possano o non vogliano fornire effettiva protezione (intendendosi come tale, a mente del successivo art. 6, comma 2, l’adozione di adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori o danni gravi per il tramite di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, perseguire penalmente e punire gli atti che costituiscono persecuzione o danno grave).

In mancanza di una richiesta di intervento alla autorità statuale, che costituisce il presupposto in fatto perchè possa trovare applicazione il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 non era comunque possibile – a dire dei giudici distrettuali – valorizzare le minacce di morte riferite dal migrante.

Si tratta, all’evidenza, di una motivazione aggiuntiva, capace di giustificare di per sè il rigetto della decisione e non impugnata dalla parte.

Ne discende il difetto di interesse a impugnare la valutazione di credibilità compiuta dalla Corte territoriale.

Infatti, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass. 9752/2017).

7.3 il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), individua come rilevante al fine di ravvisare il danno grave richiesto per la concessione della protezione sussidiaria l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (situazione che implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia; Cass. 14006/2018).

Non assumono, invece, alcun rilievo il drammatico quadro sociopolitico o la condizione di scarso controllo sociale addotte dalla censura in esame, non solo perchè non rientrano nella definizione sopra riportata (Cass. 14350/2020), ma anche perchè non risultano essere mai stata allegate avanti al giudice di merito.

8. In forza delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2021

 

 

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