Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1565 del 23/01/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 1565 Anno 2018
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: SCODITTI ENRICO

ORDINANZA

sul ricorso 11779-2016 proposto da:
FONDAZIONE ECCLESIASTICA ISTITUTO MARCHESI TERESA
GERINO E LIPPO CERINI in persona del Presidente e
legale rappresentante Don TULLIO ORLER, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FONTEIANA, 49, presso lo
studio dell’avvocato FEDERICO LOTTINI, che la
rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente –

2017
2280

contro

ACQUASANTA FACTORY S.R.L. Unipersonale, in persona
del legale rappresentante p.t. e A.U. DINO CALABRESE,
elettivamente domiciliata in ROMA, L.G0 DI TORRE

Data pubblicazione: 23/01/2018

ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato DARIO
MARTELLA, che la rappresenta e difende giusta procura
speciale a margine del controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1180/2016 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 23/11/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO
SCODITTI;

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D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/02/2016;

Rilevato che:
la Fondazione Ecclesiastica Istituto Marchesi Teresa, Gerino e
Lippo Gerini convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma
Acquasanta Factory s.r.l. chiedendo la risoluzione della locazione del
terreno urbano sito in Roma con sette manufatti ad uso di impianto
sportivo. Espose la parte attrice che la conduttrice non aveva

successivi alla sottoscrizione del contratto la conduttrice doveva
consegnare, a titolo di garanzia del pagamento del canone
convenuto, una fideiussione bancaria a prima richiesta fino a
concorrenza dell’importo pari ad una annualità del canone, pena la
risoluzione di diritto del contratto. Il Tribunale adito accolse la
domanda. Avverso detta sentenza propose appello la società
conduttrice. Con sentenza di data 29 febbraio 2016 la Corte d’appello
di Roma accolse l’appello rigettando la domanda di risoluzione.
Osservò la corte territoriale in premessa che con sentenza di data
9 maggio 2014 passata in giudicato era stata disattesa la domanda di
risoluzione per morosità, e disposta la riduzione del canone del 25%,
in relazione all’omessa consegna di parte dell’area concessa in
locazione, a decorrere dall’inizio del rapporto locativo, riconoscendo in
capo alla conduttrice un credito di quasi Euro 20.000,00 al marzo
2014 e che la locatrice alla data del luglio 2013, in cui aveva fatto
valere la clausola risolutiva espressa deducendo la mancata
prestazione della garanzia per il pagamento del canone, era nella
disponibilità, per canoni pagati in eccedenza, di una somma superiore
al valore della garanzia che la conduttrice avrebbe dovuto prestare,
per essersi la medesima locatrice resa inadempiente all’obbligazione
di consegnare una porzione pari a circa un terzo dell’area locata,
inadempimento, anche sul piano cronologico, precedente quello della
conduttrice, maturato dopo il decorso del termine di giorni trenta
dalla stipulazione del contratto. Precisò che la lettera del 27 giugno

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adempiuto l’art. 4 della locazione secondo cui nei trenta giorni

2013, inerente alla dichiarazione di volersi avvalere della clausola
risolutiva espressa, era successiva alla lettera della conduttrice di
data 11 giugno 2013 di contestazione dell’inadempimento dell’ente
locatore. Aggiunse la corte territoriale che, dovendosi esaminare alla
luce del principio di buona fede il comportamento dell’obbligato per
verificare se sussistesse la colpa di quest’ultimo, non era ravvisabile

conduttrice in quanto la percezione da parte della locatrice di somme
eccedenti quanto dovuto a titolo di fideiussione attribuiva alla
fondazione la massima tutela rispetto all’ipotesi di morosità e che
soprattutto non sembrava «configurabile un inadempimento colpevole
della conduttrice in un contesto in cui la locatrice si era già resa
gravemente inadempiente alla propria principale obbligazione di
consegnare la cosa oggetto della locazione nella sua interezza».
Ha proposto ricorso per cassazione la Fondazione Ecclesiastica
Istituto Marchesi Teresa, Gerino e Lippo Gerini sulla base di tre motivi
e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso
in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, comma 2, cod. proc. civ..
E’ stata presentata memoria.

Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 1375 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod.
proc. civ.. Osserva la ricorrente che il giudicato non aveva accertato
alcun inadempimento della locatrice, ma solo il frazionamento
catastale di una delle particelle oggetto del contratto, con riduzione
del relativo oggetto, e che l’inadempimento contrattuale era stato
liberamente tratto dal giudice di appello, ponendolo a fondamento di
una fantomatica violazione del principio di buona fede allorquando fu
comunicata la risoluzione di diritto del contratto (peraltro la violazione
del detto principio non avrebbe potuto comunque pregiudicare gli
effetti della comunicazione di avvenuta risoluzione di diritto, ma solo

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alcuna alterazione dell’equilibrio negoziale addebitabile alla

dare luogo ad un’azione risarcitoria). Aggiunge che al momento della
comunicazione della risoluzione ai sensi dell’art. 1456 cod. civ. non vi
era alcuna pronuncia che avesse disposto la riduzione del canone,
sicché non vi era motivo per ritenere che vi fosse stato un pagamento
in eccedenza rispetto a quello dovuto, e che erronea era
l’assimilazione della funzione assolta dalla garanzia fideiussoria alla

imputata a pagamento dei canoni futuri.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 1456 e 1458 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
3, cod. proc. civ.. Osserva la ricorrente che, anche ipotizzando che la
sentenza del 9 maggio 2014 contenesse una declaratoria di
inadempimento contrattuale, il contratto di locazione era già risolto
per effetto della precedente comunicazione della locatrice di avvalersi
della clausola risolutiva espressa, avendo la successiva pronuncia di
risoluzione da parte del Tribunale effetti meramente dichiarativi.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 1456 e 1460 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
3, cod. proc. civ.. Osserva la ricorrente che l’inadempimento della
conduttrice era emerso a decorrere dal trentesimo giorno dalla
conclusione del contratto, mentre non dichiarato e successivo era
quello presunto della locatrice, ed inoltre non aveva alcuna
connessione con la presunta condotta in violazione della buona fede
della Fondazione. Aggiunge che la conduttrice non ha svolto alcuna
eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., dal cui
accoglimento avrebbe potuto derivare l’inefficacia della clausola
risolutiva espressa.
Il ricorso è improcedibile. La ricorrente ha omesso di depositare,
unitamente al ricorso, la relata di notifica (anche in copia autentica)
della sentenza, notificata in data 21 marzo 2016 secondo quanto
enunciato in ricorso. Trattasi di onere previsto a pena di

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contingente disponibilità in capo al locatore di una somma di denaro,

improcedibilità dall’art. 369, comma 2, n. 2 cod. proc. civ.. La relata
di notifica non è stata prodotta dalla parte controricorrente, né
altrimenti risulta nel fascicolo di parte prodotto dalla stessa parte
controricorrente. Non osta al rilievo dell’improcebilità il mancato invio
a questa Corte del fascicolo d’ufficio, pur richiesto con apposita
istanza di trasmissione, posto che non è previsto, al di fuori di ipotesi

di notifica, trattandosi di attività che non avviene su iniziativa
dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione
del giudizio (Cass. 15 settembre 2017, n. 21386; Sez. U. 2 maggio
2017, n. 10648).
Il profilo dell’improcebilità ha carattere assorbente. Pur in
presenza della detta improcedibilità resta fermo che il ricorso propone
motivi che si prospettano come inammissibili. La censura iniziale non
coglie la ratio decidendi non avendo il giudice di merito accertato
l’esistenza di un giudicato esterno avente ad oggetto
l’inadempimento, ma avendo solo, sulla base del giudicato che aveva
disposto la riduzione del canone, valutato come inadempiente la
condotta della locatrice. A parte la non conformità della censura sul
punto della buona fede alla giurisprudenza di questa Corte (fra le
tante da ultimo Cass. 23 novembre 2015, n. 23868), manca poi un
accertamento di fatto del giudice di merito sull’imputazione dei
pagamenti in eccesso a canoni futuri, né risulta proposta con
riferimento a tale aspetto una denuncia di vizio motivazionale. Privo
di decisività appare il rilievo della priorità cronologica della risoluzione
di diritto per l’attivazione della clausola risolutiva espressa avendo il
giudice di merito accertato che non era ravvisabile alcuna alterazione
dell’equilibrio negoziale addebitabile alla conduttrice in quanto «la
locatrice si era già resa gravemente inadempiente alla propria
principale obbligazione di consegnare la cosa oggetto della locazione
nella sua interezza». Il giudizio di fatto sotteso a quest’ultima

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eccezionali, che nel fascicolo d’ufficio debba inserirsi copia della relata

valutazione non è stato specificatamente impugnato con denuncia di
vizio motivazionale. Infine, quanto alla questione dell’eccezione di
inadempimento, non pare assolto l’onere previsto dall’art. 366,
comma 1, n. 6 cod. proc. civ. e non sembra colta la ratio decidendi,
avendo preso le mosse la decisione impugnata non dalla valutazione
di un’eccezione di inadempimento ma dall’apprezzamento della

fede.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo,
seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio
2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi
dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha
aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento,
da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
Dichiara l’improcedibilità del ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio
di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo
13.
Così deciso in Roma il giorno 23 novembre 2017
Dott. ssa

Il
Vivaldi

condotta in concreto tenuta dalle parti alla luce del criterio di buona

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