Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15649 del 23/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 23/06/2017, (ud. 10/03/2017, dep.23/06/2017),  n. 15649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 608-2015 proposto da:

SPECIALFRUTTA SRL già SPECIALFRUTTA DI P.G. E

G.B., SPECIALFRUTTA 2 SRL, in persona del loro legale

rappresentante pro-tempore e amministratore sig. P.G.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DUE MACELLI 106, presso lo

studio dell’avvocato TOMMASO CESAREO, rappresentate e difese

dall’avvocato MARCO MARIA FERRARI giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE TERAMO;

– intimato –

Nonchè da:

COMUNE TERAMO, in persona del Sindaco p.t. Dott. B.M.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO, 63, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRO MARINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRA GUSSAGO giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

SPECIALFRUTTA SRL già SPECIALFRUTTA DI P.G. E

G.B., SPECIALFRUTTA 2 SRL, in persona del loro legale

rappresentante pro-tempore e amministratore sig. P.G.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DUE MACELLI 106, presso lo

studio dell’avvocato TOMMASO CESAREO, rappresentate e difese

dall’avvocato MARCO MARIA FERRARI giusta procura in calce al ricorso

principale;

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1118/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 14/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/03/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 27 gennaio 1997, la srl Specialfrutta esponeva di essere proprietaria di un immobile in Teramo, realizzato in diverse fasi, nel rispetto della licenza edilizia, successivamente ampliato nel seminterrato e primo piano attraverso lavori peri quali era possibile attivare il procedimento di condono, poi presentato con dichiarazione del 29 marzo 1986. Aggiungeva di avere appreso che, con provvedimento del 7 maggio 1991, il Comune di Teramo aveva ingiunto la demolizione del fabbricato e che con verbale del 26 novembre 1991 l’immobile era stato acquisito al patrimonio del Comune di Teramo, che in data 3 febbraio 1992 era stato trascritto il provvedimento di acquisizione gratuita dell’intero complesso immobiliare, anche per la parte attigua a quella oggetto di condono e che tale notizia era stata diffusa dalla stampa locale. Su istanza dell’attore, il Comune aveva predisposto quanto necessario per il rilascio del condono edilizio, aveva richiesto il versamento dell’oblazione in data 26 luglio 1993, in data 12 agosto 1994 era stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria e, in data 9 marzo 1995, l’atto di assenso per la cancellazione della trascrizione del provvedimento di acquisizione gratuita. Ciò premesso la società attrice aveva lamentato un danno, determinato dall’impossibilità di affittare l’immobile, un ulteriore pregiudizio determinato dall’allarme creato nel ceto bancario e nei fornitori e quello per la perdita della proprietà dell’immobile;

il Tribunale di Teramo, con sentenza parziale pubblicata il 29 giugno 2007dichiarava la sussistenza del diritto al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c.disponendo, con separata ordinanza il prosieguo del giudizio per la determinazione del danno da risarcire. Avverso la decisione non definitiva proponeva appello il Comune di Teramo e la società appellata chiedeva il rigetto dell’impugnazione. Nelle more, il Tribunale, con sentenza depositata il 9 marzo 2011 condannava il Comune di Teramo al risarcimento del danno, quantificato in Euro 584.119 oltre interessi, per lucro cessante, nonchè al risarcimento dell’ulteriore pregiudizio pari ad Euro 860.197 per perdita della disponibilità giuridica ed economica dei beni oggetto di acquisizione al patrimonio dell’amministrazione, rigettando la domanda di risarcimento dei danni per perdita dei canoni di locazione e quella per la lesione all’integrità psicofisica dei soci dell’attrice;

anche avverso tale decisione proponeva appello il Comune di Teramo, mentre la società Specialfrutta spiegava appello incidentale per risarcimento del danno per la perdita dei canoni di locazione, in virtù del contratto stipulato il 5 luglio 1994, nonchè per la rivalutazione monetaria delle somme liquidate.

Con comparsa del 19 dicembre 2012 interveniva nel giudizio la s.n.c. Specialfrutta, così denominata a seguito della cessione delle quote sociali e alla modifica della precedente società:

la Corte d’Appello de l’Aquila, con sentenza pubblicata il 14 novembre 2013, rigettava l’appello incidentale e in accoglimento di quello principale proposto avverso la sentenza definitiva del Tribunale di Teramo del 9 marzo 2011, rigettava le domande di danni presentate dalla società Specialfrutta, compensando interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la Srl Specialfrutta sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il Comune di Teramo, che spiega ricorso incidentale sulla base di due motivi. Deposita controricorso avverso il ricorso incidentale la Srl Specialfrutta. Il Comune di Teramo deposita memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la società lamenta omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2043 e 2056 del codice civile e art. 115 c.p.c, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sotto il primo profilo la società rileva che la Corte territoriale ha escluso la risarcibilità del danno rilevando che l’immobile non era stato condonato, che non vi era stata perdita definitiva dell’immobile e che la società aveva conservato il possesso dell’immobile e che l’appellante non aveva fornito le prove della pendenza di trattative per la vendita a terzi dello stabile, che sarebbero state impedite dal titolo di acquisizione gratuita del bene in favore del Comune. Secondo la ricorrente la motivazione sarebbe incompleta e contraddittoria, poichè il pregiudizio derivava dall’illegittima trascrizione del provvedimento di acquisizione gratuita dell’immobile, che aveva determinato l’indisponibilità giuridica dello stesso per circa tre anni (dal 3 settembre 1992, data della trascrizione del provvedimento, al 9 marzo 1995, data di autorizzazione alla cancellazione). In questo periodo sarebbe maturato anche il danno derivante dal clamore mediatico che la vicenda aveva avuto sulla stampa locale. Pertanto, il giudice di appello avrebbe potuto fare riferimento alla liquidazione equitativa prevista dall’art. 1226 c.c. che, pur essendo rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e non sindacabile dalla Corte di legittimità, è censurabile sotto il profilo del sindacato sulla motivazione (Cass. n. 9734 del 1999);

il motivo è inammissibile poichè, per come riconosciuto dalla stessa società ricorrente, la ragione della decisione risiede nell’inesistenza di un danno risarcibile, poichè l’immobile non era trasferibile in quanto (parzialmente) abusivo, non vi era stata la perdita della disponibilità del possesso dello stabile e non vi era stata la prova che l’esistenza della trascrizione avesse potuto vanificare trattative in corso o impedirne la sussistenza. Conseguentemente il riferimento all’art. 1226 c.c., che presuppone la risarcibilità del danno, per risolvere il problema dei parametri di liquidazione è inconferente ed il motivo difetta di specificità, poichè non coglie nel segno;

sotto altro profilo è, altresì, inammissibile poichè, sulla base della stessa prospettazione della società ricorrente, la decisione se ricorrere o meno alla liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito ed è una valutazione di fatto, sottratta all’esame della Corte di legittimità. Sotto tale profilo l’eccezione indicata dalla ricorrente, in tema di completezza e non contraddittorietà della motivazione, si riferisce al precedente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (d’altra parte, la stessa società ricorrente cita il precedente del 1999), mentre la controversia in esame è disciplinata, sotto tale aspetto, dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè la decisione impugnata e successiva all’anno 2012;

sotto altro profilo la ricorrente censura la decisione ex art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte territoriale totalmente obliterato elementi di prova dibattuti tra le parti e che avrebbero avuto una incidenza decisiva sulle statuizioni finali. Il giudice di appello, in particolare, non avrebbe considerato che soltanto una parte dell’immobile era totalmente abusiva (che, da quello che si legge in ricorso, riguardava i lavori “inerenti il piano seminterrato ed il primo piano”), mentre la parte destinata al deposito dei prodotti ortofrutticoli risultava “assentita”. Sulla base di tale errore non avrebbe considerato che il provvedimento di trascrizione riguardava anche la parte regolarmente assentita e che il consulente di ufficio aveva determinato il danno valutando la parte dello stabile estranea al procedimento di condono. Nello stesso modo il consulente contabile aveva ritenuto inesistente il valore commerciale del bene, mentre ha considerato il valore patrimoniale dell’immobile, prescindendo dalla componente abusiva dello stabile;

il motivo è inammissibile perchè privo di specificità in quanto non coglie nel segno poichè il nucleo centrale della decisione della Corte territoriale risiede, non tanto nella porzione di immobile abusiva e in quella eventualmente regolarmente realizzata, ma nella circostanza che “fino al momento dell’avvenuto condono (apparentemente avvenuto in data 12 agosto 1994) l’immobile non poteva essere oggetto di compravendita e quindi aveva un valore sostanzialmente nullo”. Il giudice ha valutato la possibilità di trasferimento dell’immobile poichè il danno prospettato riguardava la possibilità di vendere l’immobile, che sarebbe stata paralizzata dal provvedimento amministrativo. Riguardo a tale profilo alcuna deduzione è contenuta nel ricorso, nel quale la società ricorrente non affronta il problema della possibilità di alienare immobili parzialmente abusivi o di verificare, in concreto, la possibilità di separare le parti abusive da quelle assentite. Tali aspetti non sono in alcun modo trattati nel ricorso;

infine, sempre nell’ambito del primo motivo, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare le revoca degli affidamenti bancari necessari per dimostrare il danno derivante dalla notizia dell’acquisizione del titolo gratuito dello stabile da parte del Comune, in quanto, al contrario, quella documentazione (richieste di rientro e revoche dei fidi da parte delle banche) sarebbe stata presente negli atti di causa;

anche sotto tale profilo il motivo è inammissibile in quanto la questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016, Rv. 642299 – 01). Nel caso di specie si chiede alla Corte di legittimità di valutare la congruità e la rilevanza dei documenti inseriti in fotocopia nel ricorso che, peraltro sembrano del tutto inconferenti rispetto al tema sollevato, trattandosi di resoconti delle difficoltà economiche della società, privi di collegamento con il tema specifico trattato;

con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere rigettato l’appello incidentale relativo al danno derivante dalla mancata stipulazione del contratto di locazione, sul falso presupposto che, poichè il contratto prevedeva che la concessione in sanatoria avrebbe dovuto essere ottenuta entro il 20 agosto 1994, a fronte del rilascio verificatosi il 12 agosto 1994, non poteva prospettarsi alcun pregiudizio. Al contrario, rileva la ricorrente, la data di rilascio della concessione in sanatoria, apparentemente riferita al giorno 12 agosto 1994, doveva ritenersi sicuramente errata poichè gli oneri concessori necessari per il rilascio della sanatoria recavano, da quello che si legge nella consulenza di ufficio, la data del 1 settembre 1994, che non avrebbe potuto essere successiva a quella di rilascio del documento;

il motivo è inammissibile poichè si tratta di circostanza nuova che la ricorrente non ha in alcun modo documentato di avere trattato in occasione dell’appello incidentale. Sotto altro profilo la doglianza sarebbe priva di specificità poichè lo strumento utilizzato non consente di addivenire ad una diversa soluzione, in quanto il provvedimento contestato è stato protocollato in data 12 agosto 1994 e tale atto fa prova fino a querela di falso;

ne consegue che il ricorso principale deve essere rigettato, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17;

con il primo motivo di ricorso incidentale il Comune di Teramo lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Erroneamente la Corte di merito aveva respinto la richiesta dell’amministrazione di prendere in considerazione la consistenza dell’abuso edilizio rilevando che si trattava di censura inammissibile perchè sollevata soltanto in appello, mentre in primo grado il Comune aveva invocato sostanzialmente la pregiudiziale amministrativa. Al contrario, sostiene il ricorrente, la posizione della amministrazione era nel senso che il successivo rilascio del provvedimento di condono non significava riconoscimento dell’illegittimità della pregressa azione procedimentale, per cui non si trattava di questione nuova, ma di migliore esplicitazione dell’originaria posizione sostenuta dalla amministrazione comunale;

il motivo è inammissibile sotto due profili. In primo luogo, la violazione di norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, quando abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito, ovvero allorchè quest’ultima – in assenza di tale vizio – non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata (Sez. 3, Sentenza n. 22978 del 11/11/2015, Rv. 637775 – 01). Nel caso di specie la questione è stata sollevata con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3. In secondo luogo, ricorre un evidente difetto di autosufficienza poichè non vi è alcun rinvio documentale, trascrizione o precisazione del contenuto degli atti del giudizio di primo grado sulla base dei quali consentire alla Corte di legittimità di valutare la novità o meno della questione;

con il secondo motivo l’amministrazione deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 47 del 1985, artt. 35 e 40 per avere la Corte territoriale ritenuto infondate le censure in ordine all’improcedibilità della domanda di condono presentata dalla società Specialfrutta prima della normativa introdotta dal D.L. 26 luglio 1994, n. 468;

il motivo è inammissibile per difetto di specificità poichè la valutazione della Corte territoriale, rilevante ai fini che qui interessano, è incentrata sull’illegittimità del procedimento nel quale l’ingiunzione a demolire avrebbe dovuto essere preceduta dalla procedura dettata dall’art. 35, difettando il provvedimento di diniego in sanatoria. Sotto altro profilo, in pendenza della domanda di sanatoria, afferma la Corte territoriale, è preclusa l’adozione di provvedimenti repressivi dell’abuso edilizio con ciò rendendo illegittimo l’ordine di demolizione adottato in pendenza dell’istanza di condono edilizio ed in difetto di una pronunzia sulla possibilità di condonare o meno l’opera abusiva. In caso di diniego di condono l’amministrazione dovrà emettere il nuovo provvedimento sanzionatorio. Questo rende inconferente il motivo che riguarda un profilo diverso;

con il terzo motivo l’amministrazione deduce la violazione della L. n. 47 del 1985, art. 7 e dell’art. 2043 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito respinto la tesi dell’inefficacia dell’ordine di demolizione in conseguenza della riconosciuta nullità della notificazione dell’ordine, con conseguente caducazione della successiva acquisizione al patrimonio comunale e relativa trascrizione del trasferimento a titolo originario;

il motivo è inammissibile in quanto nuovo non avendo il ricorrente allegato di avere posto la questione davanti al giudice di appello. La tesi, comunque, è manifestamente infondata. In sostanza, si sostiene che l’esecuzione di un provvedimento illegittimo, attuata attraverso la trascrizione dello stesso, nonostante la nullità della notificazione dell’ordine di demolizione rende inefficaci i provvedimenti ed esclude la responsabilità. E’ vero, invece, il contrario risiedendo la responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. nel fatto che il Comune, nonostante la nullità della notifica avesse portato a compimento in maniera illegittima l’iter procedimentale, con l’acquisizione gratuita dell’immobile. E’ evidente, che, per eliminare gli effetti di tale illecita attività, il soggetto privato che abbia subito quei provvedimenti, avrebbe dovuto, come avvenuto, adire il giudice amministrativo o quello ordinario, sulla base dell’interesse all’annullamento o al risarcimento;

con il quarto motivo il Comune deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. sotto il profilo dell’elemento psicologico, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte respinto la censura tesa ad escludere l’elemento soggettivo che, invece, è stato ritenuto sussistente dai giudici di merito nell’omessa considerazione dei pareri espressi dai funzionari e nel mancato esercizio del potere di annullamento in autotutela;

il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza poichè si fonda sul presupposto che la domanda di sanatoria presentasse carenze documentali insuperabili. Tale profilo non viene però in alcun modo confortato dal riferimento puntuale agli atti, dalla trascrizione del contenuto degli stessi e dall’individuazione esatta dei profili di inammissibilità;

ne consegue che anche il ricorso incidentale deve essere rigettato;

le spese vanno compensate attesa la soccombenza reciproca, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

 

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2017

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