Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15647 del 22/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/07/2020, (ud. 05/06/2020, dep. 22/07/2020), n.15647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8599-2018 proposto da:

N.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

FIORITO BRUNO, PASSANISI EMANUELE;

– ricorrente –

contro

R.D., R.M., O.M.B., nella

qualità di eredi di R.S., N.A. in proprio

e nella qualità di liquidatore e legale rappresentante pro tempore

della SOGER SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DEI GRACCHI 187, presso lo studio dell’avvocato DI SAN LIO

MARCELLO MAGNANO, rappresentati e difesi dall’avvocato DI CATALDO

VINCENZO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1561/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 08/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE

LOREDANA.

Fatto

RILEVATO

– che è proposto ricorso, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania depositata l’8 settembre 2017, la quale ha accolto l’impugnazione del lodo arbitrale del 28 aprile 2012, che aveva a sua volta annullato le deliberazioni di aumento del capitale sociale, assunte in data 13 settembre 2010 e 26 gennaio 2011 dall’assemblea della Soger s.r.l., entrambe recanti l’aumento del capitale da Euro 99.000,00 ad Euro 529.453,22, la prima divenuta inefficace per scadenza del termine della sottoscrizione;

– che la corte del merito, per quanto ancora rileva, ha ritenuto quanto segue: a) l’arbitro unico ha annullato le deliberazioni in questione, reputando che gli aumenti del capitale dovessero avere una motivazione aziendale adeguata, mentre, nella specie, ha riscontrato la “inesistenza assoluta dei presupposti giuridici, economici e finanziari sui quali essi si fondano”, dal momento che la società, secondo il lodo, non aveva bisogno di liquidità, posto che le somme già versate dai soci dovevano riqualificarsi come conferimenti e non come finanziamenti; b) il lodo è nullo perchè ha violato l’art. 2467 c.c., applicato dagli arbitri: secondo la corte territoriale, invece, tutti i soci avevano eseguito proprio dei finanziamenti in favore della società, con obbligo, quindi, di restituzione, ma la stessa non avrebbe potuto rimborsarli, attesa la sua situazione economico-finanziaria; pertanto, ha concluso nel senso che le deliberazioni di aumento del capitale siano state validamente assunte, sulla base di tale seria ragione per deliberarlo;

– che resistono la Soger s.r.l. in liquidazione e gli altri due soci e loro eredi, con unico controricorso;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c.;

– che il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

– che i motivi deducono:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2467 c.c., avendo la sentenza omesso di considerare che i soci avevano eseguito finanziamenti in favore della società, da riqualificare – come dispone la norma predetta – in conferimenti, perchè operati nella situazione di cui alla disposizione, e, dunque, “nati postergati”;

2) omesso esame di fatto decisivo e violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, avendo ritenuto la corte del merito che l’arbitro omise di verificare se i soci avessero operato finanziamenti o conferimenti in favore della società, ma non ha ben esaminato il lodo, il quale aveva concluso che si trattava di somme concesse alla società nelle situazioni indicate dalla norma;

3) violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè le controparti, in sede di impugnazione del lodo, non avevano contestato la natura di crediti postergati di tali importi, ma solo gli effetti di quella situazione, ritenuti dall’arbitro, ossia che, prima degli aumenti di capitale, la società non fosse in una situazione di squilibrio finanziario;

4) violazione degli artt. 1175,1375 e 2467 c.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, perchè, nella parte rescissoria, la sentenza non ha considerato come i finanziamenti fossero stati concessi in presenza di un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio o in una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, così disapplicando la norma predetta e mancando di rilevare come, data l’assenza di uno squilibrio finanziario – addotto dalle due deliberazioni di aumento del capitale a loro giustificazione -, gli aumenti costituivano l’espressione dell’intento dei due soci di ledere il terzo, imponendogli un “vincolo forzoso del proprio finan”iamento nel capitale sociale”;

– che il ricorso è in parte inammissibile, laddove manca di specificità ai sensi dell’art. 366 c.p.c. (terzo motivo) e ripropone un giudizio di fatto, e per il resto è manifestamente infondato, come risulta dall’esame dei quattro motivi: i quali, atteso il presupposto giuridico di fondo che li caratterizza, possono essere congiuntamente trattati;

– che, invero, il ricorrente parte dall’assunto che la deliberazione di aumento del capitale debba recare una propria motivazione giustificativa, a pena della sua annullabilità;

– che, tuttavia, l’assunto non ha pregio in diritto: ed invero, le deliberazioni assembleari per le quali la legge prescrive un obbligo di motivazione sono altre; come questa Corte ha già osservato (cfr. Cass. 26 gennaio 2018, n. 2037), nel diritto societario costituiscono un numero limitato le deliberazioni degli organi sociali soggette per legge all’obbligo di motivazione (artt. 2391 e 2391-bis c.c., art. 2441 c.c., comma 5, art. 2497-ter c.c.), restando di regola i soci liberi di determinarsi senza necessariamente esternare le ragioni delle proprie decisioni; sebbene, accanto alle ipotesi in cui le deliberazioni societarie debbano essere motivate per esplicito dettato normativo, altre possano essere individuate in via interpretativa (quali, sia pure con connotati fra loro parzialmente diversi, le deliberazioni di interruzione del rapporto sociale ex artt. 2287,2473-bis e 2533 c.c., o del rapporto gestorio ex artt. 2259,2383 e 2409-duodecies c.c., o sindacale ex art. 2400 c.c.: dove la necessità di verificare la sussistenza della giusta causa, o della fattispecie statutaria, impone di motivare la deliberazione al momento in cui essa viene assunta;

– che, dunque, la regola è che la maggioranza assembleare legittimamente assume le decisioni, ivi compresa quella di aumento del capitale di cui all’art. 2438 c.c., senza l’esigenza di una specifica motivazione secondo parametri dati;

– che, nella specie, le parti e la sentenza discorrono di una deliberazione assunta al fine di rafforzare patrimonialmente la società, e danno atto della sottoscrizione dell’aumento (il secondo deliberato, essendo il primo rimasto senza sottoscrizioni nel termine, in ragione della sospensione da parte dell’arbitro) da parte degli altri due soci, aumento liberato mediante il conferimento dei crediti già vantati verso la società, a titolo di restituzione dei finanziamenti;

– che nessuna delle parti, nè la sentenza, discute dell’esistenza di un bilancio inveritiero, posto a fondamento dell’aumento, nè dell’insussistenza dei crediti conferiti dai due soci a liberazione dell’aumento di capitale: ed anzi, la tesi dell’odierno ricorrente è nel senso che quei finanziamenti fossero già vincolati in società, per effetto del disposto ex art. 2467 c.c., lamentando il medesimo una situazione societaria che non rendeva necessario quell’aumento di capitale;

– che, tuttavia, tale tesi è infondata, posto che la legge non richiede che la deliberazione con cui l’assemblea decida l’aumento del capitale sociale, a norma degli artt. 2438 o 2481 c.c. e ss., rechi una specifica motivazione volta ad illustrare le ragioni che giustificano tale scelta: si tratta, invero, di una decisione che rientra nel novero delle determinazioni che l’assemblea può del tutto liberamente assumere, pur restando impregiudicata la possibilità, naturalmente, di farne valere altri vizi, vuoi di contenuto, vuoi di procedimento, ed in particolare per eventuali vizi di abuso di potere, in cui eventualmente versi il socio che abbia espresso in quell’assemblea un voto determinante;

– che, tuttavia, dalla sentenza impugnata non risulta questo il tema del ricorso in arbitrato, onde esso esula dal therna decidendum;

– che, in definitiva, la delibera di aumento era legittima non perchè motivata correttamente dall’esigenza di fondi per la società, ma perchè non era obbligatoria una giustificazione della decisione assembleare assunta;

– che, in tal modo corretta la motivazione della sentenza impugnata, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 4, il ricorso va respinto, essendo il dispositivo conforme a diritto;

– che la condanna alle spese deve seguire la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020

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