Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15645 del 27/07/2016

Cassazione civile sez. VI, 27/07/2016, (ud. 18/11/2015, dep. 27/07/2016), n.15645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1148/2013 proposto da:

C.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso la

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dall’Avvocato MARIA GRAZIA PACINI, giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), P.E. (OMISSIS),

PR.AL. (OMISSIS), R.A. (OMISSIS);

– intimati –

avverso il provvedimento n. 3273/2012 del TRIBUNALE di GENOVA,

depositato il 16/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Con ordinanza del 16 ottobre 2012 il Tribunale dei minori di Genova, chiamato a pronunciarsi sull’opposizione proposta da C.R. avverso il decreto di liquidazione dei compensi spettanti al dott. R.A. e alla dott.ssa Pr.Al. per l’attività di consulenza espletata al fine di individuare il miglior regime di affidamento del minore nell’ambito di una procedura ex art. 333 c.c., accoglieva l’opposizione, limitatamente alla quantificazione del compenso, e confermava contestualmente l’applicazione del criterio della vacazioni, calcolate in numero di 332 (anzichè 380) corrispondenti ad un totale di 3797,26 Euro, escludendo l’ammissibilità di ulteriori questioni attinenti la qualità dell’opera.

Avverso tale provvedimento ha presentato ricorso straordinario per cassazione il medesimo C., prospettando quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo ha dedotto la violazione falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 71.

Con la seconda censura ha lamentato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168, art. 52, comma 2, nonchè violazione della L. n. 319 del 1980, art. 4, oltre ad omessa motivazione.

Con il terzo motivo ha censurato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 del T.U.S.G. e dell’art. 154 c.p.c., comma 1.

Il quarto profilo di censura attiene alla violazione dell’art. 91 c.p.c..

Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase del giudizio.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., proponendo la reiezione del ricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

La relazione ex art. 380 bis c.p.c., del consigliere designato è del seguente tenore: “Con il primo mezzo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 71 T.U.S.G. per non essere stata formalizzata entro il temine di 100 giorni dal compimento dell’incarico l’istanza di liquidazione del compenso spettante ai CTU, opinando che l’istanza all’uopo depositata dagli stessi non sarebbe formalmente tale, difettando della data e del protocollo.

La censura parrebbe manifestamente infondata, in quanto il giudice dell’opposizione ha ritenuto che l’atto di cui si lamenta l’inidoneità, nonostante la formulazione sommaria, presenti i requisiti sostanziali necessari a realizzare l’effetto cui lo stesso è preordinato, quale istanza di liquidazione del compenso, come tale utilmente valutata ai fini della relativa quantificazione. Orbene dette nomentazioni del giudice non risultano contrastate dal ricorrente, per cui il motivo si palesa del tutto inconferente rispetto alla ratio decidendi.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 168, D.P.R., per essere il provvedimento impugnato carente di motivazione in ordine al numero delle vacazioni liquidate, oltre che per violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 52, e L. n. 319 del 1980, art. 4, deducendo l’eccessività delle vacazioni liquidate in difformità agli articoli citati che impongono al giudice un calcolo rigoroso delle ore strettamente necessarie per l’espletamento dell’incarico, a prescindere dal relativo termine di conclusione, oltre ad omessa motivazione circa un punto decisivo del provvedimento.

Anche detta censura non può trovare accoglimento, per essere in parte infondata e in parte inammissibile.

Per quanto attiene al profilo inerente il numero delle vacazioni riconosciute dal giudice dell’opposizione, la doglianza risulta diretta contro una valutazione di merito del giudice, posto che in ragione della durata dell’incarico potevano essere liquidate ben 360 vacazioni (90 giorni per 4 vacazioni al giorno), ne consegue che il numero delle vacazioni riconosciute, in n. 332, è rimasto al di sotto di quelle liquidabili, nel rispetto della proporzione di cui alle norme invocate e non può dunque risolversi in una violazione delle stesse.

Ogni censura deve pertanto rivolgersi nei confronti della motivazione posta a sostegno di tale valutazione e, sotto questo diverso profilo, occorre osservare che il provvedimento impugnato è stato emesso in data 16 ottobre 2012 e dunque successivamente all’entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno, n. 83, che ha riformulato la norma. Questa Corte a SS. UU. ha chiarito i criteri ermeneutici da applicare alla novità legislativa, asserendo che tale modifica ha reso deducibile solo il vizio d’omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, confinando il controllo della motivazione sub specie nullitatis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, che ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4: mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, motivazione apparente, contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Cass. 7 aprile 2014 n. 8053).

Nel caso di specie, pur lamentando il ricorrente l’omessa motivazione, il giudice dell’opposizione ha, seppure con nomentationi sintetiche, vagliato la critica sottoposta al suo esame, pervenendo al parziale accoglimento della censura, valutando la congruità del tempo impiegato per l’espletamento dell’incarico e le sue modalità, dettate anche dall’esigenza di contemperare gli impegni delle parti e del C. stesso. Ne consegue la non sussistenza del vizio denunciato. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 52, comma 2, T.U.S.G. e dell’art. 154 c.p.c., con riferimento alla mancata applicazione della riduzione di un terzo degli onorari prevista dalla norma de qua. Il ricorrente sostiene difatti che il giudice abbia erroneamente ritenuto che fossero state concesse proroghe per il deposito dell’elaborato peritale, mentre l’unica richiesta di proroga era stata depositata a termine ormai scaduto e legata a problemi personali.

Detta censura non può trovare ingresso.

La richiesta di parte muove da un presupposto erroneo in diritto, in quanto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 52, dispone che “Se la prestazione non è completata nel termine originariamente stabilito o entro quello prorogato per fatti sopravvenuti e non imputabili all’ausiliario del magistrato, per gli onorari a tempo non si tiene conto del periodo successivo alla scadenza del termine e gli altri onorari sono ridotti di un terzo”. E’ evidente come la norma intenda operare una distinzione tra onorari a tempo e altri onorari, con la conseguenza che per i primi è prevista, quale unica sanzione l’impossibilità di tenere conto del tempo successivo alla scadenza dei termini, mentre solo per gli onorari non liquidati a vacazione si applica la decurtazione del compenso. (Cass. 26 giugno 2015 n. 6066) Pertanto la norma invocata dal ricorrente non può trovare applicazione nel caso di specie, per cui il giudice correttamente ha concluso per l’inapplicabilità della prospettata riduzione.

Con il quarto motivo censura la violazione dell’art. 91 c.p.c., per non avere il giudice liquidato le spese del giudizio di opposizione (a suo favore) stante l’accoglimento, seppure parziale, delle doglianze esaminate.

Anche detta censura è da considerarsi inammissibile, essendo tale la conseguenza derivante da un’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio lamentato dal ricorrente in sede di legittimità.

Nella specie, il tribunale adito, non ha provveduto a liquidare le spese del procedimento di opposizione, e a fronte di tale omissione il C. deduce la violazione del principio della soccombenza ex ad. 91 c.p.c., in quanto, essendo stata la censura parzialmente accolta, il giudice avrebbe dovuto provvedere alla liquidazione delle spese in base al principio evocato dalla parte.

E’ evidente la diversità del vizio in cui è incorso il giudice di merito, ex ad. 112 c.p.c., rispetto a quello lamentato.

Al riguardo, questa Corte ha sostenuto che l’omessa pronunzia da parte del giudice di merito integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’ad. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, (Cass. 17 settembre 2013 n. 21165).

Di tutto ciò non vi è traccia nella critica in esame, per cui non può trovare accoglimento pur in presenza di una palese omissione.

In definitiva, si ritengono sussistenti le condizioni per procedere in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ravvisandosi la possibile manifesta infondatezza del ricorso”.

Il Collegio aderisce alla relazione depositata quanto alle prime tre doglianze, osservando in ordine alla memoria depositata che non si rinvengono critiche specifiche alla relazione ma soltanto la riproposizione delle argomentazioni poste a sostegno dei motivi di ricorso. Del resto come già affermato da questa Corte (Cass. n. 19113 del 2015), non è censurabile in questa sede la valutazione del tempo necessario per lo svolgimento dell’incarico del c.t.u., che va effettuata dal giudice di merito. Soltanto nel caso di richiesta di liquidazione di un numero di vacazioni palesemente superiore al limite legale, che di fatto non c’è stata, per le ragioni sopra esposte, il ricorrente poteva lamentare violazione di legge.

I,a censura si risolve, per il resto, in un vizio di motivazione, che è da ritenersi inammissibile in quanto formulata sulla base del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, modificato nel 2012 dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, come illustrato nella relazione -.

Quanto all’ultimo mezzo, il Collegio condivide la censura giacchè nell’ambito processuale la condanna alle spese di lite costituisce pronuncia accessoria e consequenziale alla definizione del giudizio, ex art. 91 c.p.c., e può essere emessa a carico della parte soccombente anche d’ufficio e in difetto di esplicita richiesta della parte vittoriosa, per cui ben si comprende come, in forza dello stesso art. 91 c.p.c., alla liquidazione delle spese il giudice dell’opposizione avrebbe dovuto provvedere nei termini determinati ex lege.

In conclusione, devono essere rigettati i primi tre motivi di ricorso, accolto il quarto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, compensando interamente fra le parti le spese del giudizio di merito, in applicazione del principio della reciproca soccombenza; le spese relative al giudizio di legittimità vanno ugualmente compensate in considerazione dell’esito del giudizio.

PQM

La Corte, accoglie il quarto motivo, rigettati i primi tre motivi di ricorso;

cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito compensa le spese del giudizio di opposizione;

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2016

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