Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15642 del 23/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 23/06/2017, (ud. 13/01/2017, dep.23/06/2017),  n. 15642

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24698/2014 proposto da:

M.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARCO FIORETTI giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.D., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANCARLO

CATANI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 400/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 09/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per manifesta fondatezza del

ricorso;

udito l’Avvocato MARCO FIORETTI;

udito l’Avvocato GIANCARLO CATANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.A. ha proposto ricorso per cassazione contro M.D. avverso la sentenza del 9 luglio 2013, con cui la Corte d’Appello di Ancona, in riforma della sentenza resa nel novembre del 2005 dal Tribunale di Ancona che l’aveva accolta, ha rigettato la querela di falso proposta da esso ricorrente in via incidentale contro una scrittura privata, nell’ambito del giudizio di opposizione introdotto contro un decreto ingiuntivo emesso nel maggio del 1999 dalla sezione Distaccata di Jesi della Pretura di Ancona, sulla base di una scrittura privata, della quale nel relativo giudizio il ricorrente disconosceva sia la sottoscrizione, sia il contenuto.

Istituito il giudice unico, il detto giudizio di opposizione trasmigrava davanti al Tribunale di Ancona, Sezione Distaccata di Jesi, ed in esso si dava corso prima all’istanza di verificazione mediante consulenza tecnica della sottoscrizione e, quindi, accertato all’esito che la sottoscrizione era riferibile all’ingiunto e qui ricorrente, costui proponeva querela di falso in via incidentale, la cui trattazione veniva rimessa al Tribunale in composizione collegiale, che, all’esito dell’istruzione mediante prove per testi e interrogatorio formale del querelato, dichiarava la falsità totale del testo del documento.

2. Sull’appello di M.D. la Corte anconetana, all’esito di una diversa valutazione delle risultanze probatorie orali, in riforma della sentenza di prime cure, ha rigettato la querela di falso con gravame delle spese di lite.

3. Al ricorso, che propone tre motivi, ha resistito con controricorso M.D..

4. Il resistente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Vi si sostiene che la Corte territoriale avrebbe menzionato “solo incidentalmente” la c.t.u. relativa all’istanza di verificazione ed avrebbe omesso di “esaminare e di dar conto delle risultanze obiettive della consulenza calligrafica e grafologica in atti, di cui non (avrebbe) parlato affatto”, mentre, se le avesse considerate sarebbe pervenuta necessariamente “alla conferma della decisione del Tribunale” e le prove testimoniali avversarie sarebbero state smentite.

La successiva illustrazione del motivo si articola con la riproduzione di parti della c.t.u. e, quindi, della sentenza di primo grado. Segue, dopo la non spiegata premessa che “i fatti decisivi accertati dalla c.t.u., il cui esame è stato omesso dalla Corte territoriale, palesano la falsità delle testimonianze indotte dal querelato, peraltro manifestamente accomodanti, imprecise e contraddittorie”, la riproduzione dei capitoli di prova avversari e di tre deposizioni testimoniali. Segue ancora l’enunciazione che la sentenza impugnata si sarebbe “avventurata” in un’attività di valutazione delle dichiarazioni testimoniali senza considerarle alla stregua delle risultanze della c.t.u., nonchè in un errore di “interpretazione” dell’interrogatorio formale del qui ricorrente. Segue in fine una riproduzione di quella che si definisce ineccepibile rassegna delle risultanze istruttorie fatta dal Tribunale, di cui si riproduce la motivazione alle pagine 23-24.

1.1. Il motivo è inammissibile con riferimento ad entrambe le censure proposte, le quali logicamente dovrebbero essere fra loro alternative.

In tanto si rileva l’assoluta assenza di argomentazione espressa illustrativa della censura di violazione della norma del procedimento, cui fa riferimento l’intestazione evocando l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Tanto evidenzia che l’intestazione del motivo non trova riscontro alcuno nell’illustrazione, non senza che si debba comunque rilevare, anche al di là di tale carenza enunciativa espressa, che, se si apprezzasse l’illustrazione per valutare se essa consenta di evincere la suddetta censura, il risultato della valutazione sarebbe del tutto negativo, una volta considerato che le Sezioni Unite, nelle note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, hanno statuito, confermando il principio di diritto consolidato in precedenza a proposito della nozione di violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione”.

E’ palese che la struttura illustrativa del motivo non corrisponde in alcun modo all’immagine della censura di violazione dell’art. 132, n. 4, citato che emerge dal ricordato principio di diritto.

1.2. Non migliore sorte dev’essere riconosciuta alla censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e ciò anche al di là dell’assoluta carenza di individuazione espressa dei “fatti decisivi” alla cui omessa considerazione essa si dovrebbe riferire: la loro mancata identificazione rende già di per sè la censura inidonea ad evidenziare in thesi il vizio di cui al detto n. 5. E’ appena il caso di rilevare che il preteso omesso esame della c.t.u. sulla verificazione non riguarda un fatto, ma concerne un mezzo di valutazione delle prove. Peraltro, non è esatto che la sentenza impugnata abbia omesso la considerazione di tale mezzo: è sufficiente osservare che essa ha dato preliminarmente atto, nell’ultima proposizione della seconda pagina delle sue risultanze, là dove ha detto “che la sottoscrizione da parte dell’appellato (della scrittura) discende dalla pregressa verificazione”. In tal modo essa ha registrato l’esito della verificazione. La Corte ha, poi, osservato essere “pacifica la preventiva redazione della medesima ad opera dell’appellante”.

Il motivo, peraltro nemmeno in modo chiaro, adombra che le modalità della scrittura sul documento avrebbero dovuto essere apprezzate come idonee ad evidenziare il falso in contrapposizione con le risultanze delle prove orali e, dunque, si risolve in una postulazione con cui si vorrebbe che questa Corte proceda ad una nuova valutazione del materiale istruttorio, in modo estraneo ai propri compiti.

In ogni caso, l’illustrazione non corrisponde al modello di denuncia del vizio di cui all’art. 360, n. 5, individuato dalle citate sentenze delle Sezioni Unite là dove Esse hanno statuito che: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Nella struttura dell’illustrazione del motivo non si coglie nessuno degli elementi indicati dalle Sezioni Unite ed anzi la stessa sollecitata attività di riesame delle valutazione delle prove orali – al di là della sua estraneità al paradigma del nuovo n. 5 – risulta del tutto assente, risolvendosi nel dare mandato a questa Corte di confrontare le risultanze probatorie con la valutazione che ne fece il Tribunale.

Il motivo è, dunque, inammissibile per le plurime ragioni indicate.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia “violazione dell’art. 132 c..p.c., comma 2, n. 4), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), ed omesso esame di un altro fatto controverso e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Nell’illustrazione si asserisce che la Corte territoriale non avrebbe nemmeno esaminato il documento e si specifica il senso di tale deduzione alludendo: a) al fatto che era risultato vergato da M.D. con inchiostri diversi tra loro, “ma reca nella prima riga e nell’ultima, accanto alla firma del Sig. M.A., la stessa data del 20 settembre 1985; b) alla circostanza che la scrittura risultava irregolare, rispettosa dei bordi dell’uso bollo soltanto nella prima parte e poi debordante nelle righe precedenti la sottoscrizione ed inoltre recante aggiunte verticali oltre il margine.

Tali dati evidenzierebbero l’impossibilità di ritenere la validità di un documento del genere”.

2.1. Anche in questo caso l’illustrazione non enuncia nè espressamente nè implicitamente alcunchè che palesi il vizio di violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nei sensi indicati a proposito del primo motivo. E, parimenti, non rispetta neppure l’immagine del vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, posto che, se le circostanze indicate come caratteristiche della scrittura con cui risulta redatto il documento volessero intendersi come fatti secondari, da cui evincere che il ricorrente non la sottoscrisse con il tenore che da essa risulta, si dovrebbe evidenziare che esse sarebbero prive del carattere della c.d. decisività in tal senso, atteso che di per sè – cioè a prescindere dall’assolta mancanza di confronto con le risultanze probatorie orali apprezzate dalla Corte territoriale – esse non sono in modo logicamente necessario, ma anche solo altamente probabilistico, idonee ad evidenziare che la sottoscrizione sia stata apposta prima di una parte della scritturazione, sicchè vi sia stato poi un falso materiale.

3. Con il terzo motivo si denuncia “violazione dell’art. 91 c.p.c., del D.M. n. 127 del 2014, e del D.M. n. 140 del 2012.

3.1. Con una prima censura si addebita alla sentenza impugnata di avere liquidato a carico del ricorrente le spese della c.t.u., ancorchè essa non fosse stata espletata nel giudizio incidentale di falso, bensì nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo. Tanto evidenzierebbe la violazione dell’art. 91 c.p.c..

3.1.1. La censura non è fondata.

Mette conto in primo luogo di rilevare, ancorchè il ricorrente non lo metta in discussione, che il giudice che chiude davanti a sè il procedimento di querela di falso in via incidentale che, in ragione della competenza del tribunale collegiale, non ha avuto luogo nell’ambito del procedimento in cui la controversia sul falso sia insorta, deve senza dubbio liquidare le spese giudiziali relative allo svolgimento del procedimento. E’ sufficiente osservare che il procedimento incidentale di querela di falso è un procedimento che, nonostante la sua insorgenza nell’ambito di altro giudizio, nel quale emerge la controversia di falso, assume in quel caso una sua autonomia di trattazione, che sfocia in una decisione, impugnabile nei modi ordinari, cioè come sentenza di primo grado, e ciò anche allorquando la querela incidentale venga proposta in appello (Cass. n. 14153 del 2014).

Tanto giustifica che, nella logica dell’art. 91 c.p.c., il giudice che decide la querela si trovi in tal caso nella condizione di “chiudere il relativo procedimento”, supposta come giustificativa del dovere di provvedere sulle spese giudiziali relative. Sicchè è superata ogni suggestione che si potrebbe trarre in contrario dal tenore dell’art. 226 c.p.c., il quale, nell’individuare il contenuto della sentenza che decide sulla querela non fa riferimento alla statuizione sulle spese ed anzi prevede la condanna ad una pena pecuniaria.

La logica della norma generale dell’art. 91 prevale, in definitiva, sulla suggestione così indotta da quella dell’art. 226.

Posta tale premessa ed essendo il giudice che chiude il provvedimento davanti a sè legittimato a provvedere sulle spese giudiziali occorse a carico della parte vittoriosa nello svolgimento del procedimento, si potrebbe reputare in prima battuta che abbia ragione il ricorrente a sostenere che la Corte territoriale non avrebbe potuto provvedere sulle spese del giudizio di verificazione, in quanto il relativo procedimento e, dunque, i costi della relativa attività processuale erano stati sopportati nel giudizio di insorgenza della querela incidentale. Onde essi dovevano essere regolati nel detto giudizio.

Tale argomento non può essere considerato valido.

In primo luogo va considerato che, come dimostra la stessa articolazione dei primi due motivi, la c.t.u. venne utilizzata sebbene nelle sue conclusioni nel giudizio di falso e che anzi, secondo la loro prospettazione, avrebbe dovuto diversamente utilizzarsi. Poichè venne utilizzata e la sua formazione era avvenuta nel giudizio principale e poichè la querela di falso venne proposta proprio utilizzando il documento che ne era stato oggetto, siccome consacrato dal procedimento di verificazione e senza che su di esso fossero insorte, evidentemente proprio per questo, questioni, il suo utilizzo deve ritenersi abbia giustificato la considerazione della spesa sopportata pur anteriormente come una spesa funzionale alla decisione del procedimento di querela di falso, se si vuole in non diversa guisa da come è giustificata la liquidazione delle spese di un accertamento tecnico preventivo svolto in corso di causa.

Il principio di diritto che giustifica il rigetto della censura è il seguente: “il giudice della querela di falso in via incidentale, proposta contro una scrittura privata precedentemente verificata nel giudizio principale con una c.t.u. quanto alla provenienza della sottoscrizione, legittimamente procede, statuendo sulle spese del procedimento incidentale, alla liquidazione delle spese di detta c.t.u., in quanto l’attività svoltasi con la verificazione ed il suo risultato risultano ex post comunque strumentali al procedimento incidentale e, quindi, la liquidazione è giustificata dall’applicazione del principio di causalità”.

Naturalmente in questo caso la spesa per il procedimento di verificazione non sarà più da liquidare nel giudizio principale.

3.2. Con una seconda censura ci si duole che nella liquidazione delle spese la Corte territoriale avrebbe ecceduto rispetto a quanto dovuto in base al D.M. n. 127 de 2004, e, di seguito, in base a quello n. 140 del 2012.

Il motivo è basato su un erroneo presupposto, cioè che il valore della causa si commisurasse a quello del credito documentato dalla scrittura: viceversa, ai fini della liquidazione delle spese giudiziali, il valore della causa incidentale di querela di falso deve ritenersi indeterminabile, perchè il “valore” connesso ad una controversia sulla falsità di un documento non risulta determinabile, giacchè esso è connaturato: a) sia al significato del risultato finale che la controversia di falso è diretta a raggiungere, che è quello di eliminare la verità del documento anche al di là dell’utilizzo nella controversia in cui la querela è incidentalmente insorta; b) sia alle possibili implicazioni al di fuori del processo dell’accertamento della falsità, che sono immaginabili nonostante che la sentenza che accerta la falsità non metta capo all’accertamento dell’autore del falso a o meno della falsità.

Il motivo è rigettato.

4. Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro tremila, oltre duecento per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2017

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