Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15642 del 04/06/2021

Cassazione civile sez. I, 04/06/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 04/06/2021), n.15642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17730/2020 proposto da:

S.J.V., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Massimiliano Vivenzio,giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via del Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 5052/2019 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 17/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/4/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Milano, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c., del 10 luglio 2018, rigettava il ricorso proposto da S.J.V., cittadino della Nigeria proveniente dal Delta State, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento della protezione internazionale.

2. La Corte d’appello di Milano, a seguito dell’impugnazione del richiedente asilo, rilevava – fra l’altro e per quanto qui di interesse che la negativa valutazione del racconto dell’appellante (il quale aveva dichiarato di essere scappato a seguito della morte di un ragazzo col quale aveva avuto un rapporto sessuale, per sfuggire al desiderio di vendetta della famiglia di quest’ultimo) induceva a ritenere che la vicenda non fosse connotata da atti di persecuzione diretta e personale ed a negare che questi, in caso di rimpatrio, avrebbe potuto correre il rischio di subire un grave danno alla sua persona; in ogni caso il richiedente asilo aveva raccontato di alcuni episodi di violenza comune, ma non aveva mai riferito di avere subito concrete minacce di sorta nè alcuna concreta discriminazione.

Le risultanze degli atti erano tali da far poi ritenere insussistenti situazioni di vulnerabilità (“legate all’età, allo stato di salute, a necessità familiari ecc.”) per ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3. Per la cassazione di tale sentenza, pubblicata in data 17 dicembre 2019, ha proposto ricorso S.J.V. prospettando due motivi di doglianza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c., al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 8, nonchè l’omessa valutazione di un fatto decisivo ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente tenuto conto della situazione di violenza generalizzata correlata alla vicenda di omosessualità che aveva visto coinvolto il migrante; si sarebbe invece dovuto considerare che l’orientamento sessuale assurgeva a ragione di persecuzione e verificare se lo Stato di origine sia in grado di offrire un’adeguata protezione a una persona che si trovi in questa condizione.

5. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 e art. 19 T.U.I., nonchè l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il riconoscimento della tutela umanitaria, in quanto la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare a tal fine la situazione di vulnerabilità del soggetto omosessuale, correlata alla limitazione dei diritti che in genere subisce chi si trova in questa condizione, in primo luogo nella manifestazione del proprio orientamento sessuale.

6. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

6.1 Ambedue le censure si dolgono della mancata valorizzazione della condizione di omosessualità del ricorrente, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione umanitaria.

Le stesse, tuttavia, muovono dal presupposto della verosimiglianza delle dichiarazioni del ricorrente, mentre la Corte di merito ha espresso un giudizio di ben differente tenore, laddove ha formulato una “negativa valutazione del racconto dell’appellante”, così intendendo chiaramente rappresentare la non credibilità del racconto compiuto dal richiedente asilo.

6.2 D’altra parte la Corte distrettuale, laddove (a pag. 3) ha registrato il tenore dei motivi di appello presentati dal migrante, non ha affatto indicato che questi abbia lamentato, con il primo e secondo motivo di ricorso, l’inappropriata considerazione di una situazione di violenza generalizzata correlata alla vicenda di omosessualità che lo aveva visto coinvolto, così come non ha dato atto che la vulnerabilità prospettata fosse specificamente da porsi in correlazione con la limitazione dei diritti che subiscono gli omosessuali.

Ne discende l’inammissibilità di entrambe le censure, dato che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito nè rilevabili d’ufficio (Cass. 1377/2003).

6.3 La Corte distrettuale ha espressamente osservato (a pag. 5) che il migrante “ha raccontato di alcuni episodi di violenza comune, ma non ha mai riferito di avere subito concrete minacce di sorta, nè alcuna concreta discriminazione”.

Il che significa che l’esistenza di una situazione di violenza generalizzata correlata alla vicenda di omosessualità e di una condizione di vulnerabilità dovuta alla limitazione dei diritti degli omosessuali non solo non rientrava nei motivi di appello, ma non era neppure mai stata allegata dal richiedente asilo.

Allegazione che invece era imprescindibile per l’analisi di ambedue le questioni, dato che il principio dispositivo, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni in fatto dell’attore.

I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono, quindi, essere necessariamente indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale.

I motivi in esame lamentano invece la mancata valorizzazione di situazioni di fatto mai allegate e risultano quindi, anche per questa ulteriore ragione, inammissibili.

7. La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c., ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2021

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