Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1564 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2020, (ud. 27/09/2019, dep. 23/01/2020), n.1564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1093-2019 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LIA MINACAPILLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto 3529/2018 del TRIBUNALE di PALERMO, depositato il

05/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SAMBITO

MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., N.A. cittadino pakistano, impugnava innanzi al Tribunale di Palermo il provvedimento di diniego delle misure di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, esponendo di esser stato costretto a fuggire dal suo paese di origine perchè minacciato dai familiari di una ragazza, con la quale aveva avuto una relazione sentimentale che loro osteggiavano e perchè cacciato da casa dal proprio padre. Il giudice di merito, con decreto del 5.11.2018, rigettava il ricorso. Contro tale decreto, N.A. propone ricorso, lamentando: a) la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5; b) la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); c) la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32. Il Ministero non ha depositato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Premesso che la violazione dell’art. 112 c.p.c., che il ricorrente reitera in tutti i motivi, non è utilmente dedotta, per esser state esaminate tutte le domande proposte, il primo motivo, con cui il ricorrente contesta la valutazione di inattendibilità del suo racconto, operata dal Tribunale, nonchè la violazione del principio dell’onere della prova attenuato sancito in materia di protezione internazionale, è inammissibile.

1.1. Anzitutto, esso non incontra la sentenza, che a prescindere dai profili di non credibilità del narrato, ha ritenuto i fatti esposti estranei a motivi di persecuzione o ai casi di danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). E su tale profilo, il ricorrente, che neppure espone se insiste nella richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, tace.

1.2. Inoltre, il motivo introduce (pag. 2 e 9 del ricorso) elementi di novità (la fatwa alla quale sarebbe stato sottoposto per scomunica “per condotta infedele”) di cui non tratta la sentenza, che piuttosto parla di una relazione sentimentale contrastata dai familiari della ragazza.

1.3. Infine, la valutazione di inattendibilità, compiuta dal Tribunale in condivisione di quella formulata dalla Commissione territoriale, costituisce un apprezzamento di fatto, incensurabile in questa sede di legittimità, ed in presenza di dichiarazioni che siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori.

2. Il secondo motivo, con cui si lamenta il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, stante la situazione di violenza imperversante in Pakistan, è infondato.

2.1. Va rilevato che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui tale conflitto armato rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia.

2.2. Nel provvedimento impugnato, il collegio giudicante ha puntualmente scongiurato questa eventualità, ed, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha verificato, sulla scorta dei menzionati reports, l’assenza di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica del ricorrente nella sua Regione di provenienza (Punjab).

3. Il terzo motivo, con cui il ricorrente denuncia il mancato riconoscimento della protezione umanitaria stante la situazione di insicurezza del Pakistan e la sua impossibilità di godere dei propri diritti umani fondamentali in ipotesi di rimpatrio è inammissibile. 3.1. Il richiedente non ha, infatti, allegato particolari situazioni di vulnerabilità tali da giustificare la protezione umanitaria qui invocata, e la misura deve avere ad oggetto la vicenda personale del singolo richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

3.2. A tanto, deve aggiungersi che l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto a conformarsi nei procedimenti in materia di protezione internazionale, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata (il che nella specie non è stato) ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda (Cass. n. 3016 del 2019).

4. Non va provveduto sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115, de 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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