Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15637 del 22/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 22/07/2020), n.15637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21063/2014 proposto da:

EPLOS S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso lo

studio dell’avvocato CARLO DE MARCHIS, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CARLO SILVANO CAVALIERI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA GIORNALISTI ITALIANI

GIOVANNI AMENDOLA, in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GABRIELE CAMOZZI 9, presso lo

studio dell’avvocato GAVINA MARIA SULAS, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 624/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/03/2014 R.G.N. 6353/2012.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 5890/2012 il Tribunale di Roma, in accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla società EPLOS s.r.l., dichiarava l’infondatezza delle pretese dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” (INPGI) in relazione alla posizione del giornalista S.G., revocando il decreto e compensando tra le parti le spese di lite.

2. Contro la detta sentenza l’INPGI proponeva impugnazione dinanzi alla corte di appello di Roma, lamentando l’erroneità della sentenza di prime cure che, nonostante le chiare risultanze istruttorie, non aveva ritenuto la natura subordinata del rapporto con la EPLOS del predetto giornalista. La EPLOS si costituiva per resistere all’impugnazione.

3. Con sentenza pubblicata l’8.3.2014 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza impugnata, respingeva l’opposizione proposta dalla EPLOS al decreto ingiuntivo e condannava quest’ultima al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

4. Richiamata la giurisprudenza di questa Corte in materia di vincolo della subordinazione nel lavoro giornalistico, il giudice di appello rilevava che dal complesso della prova esaminata emergeva che il giornalista S.G. forniva alla redazione circa sessanta articoli mensili, per le testate “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”; che egli seguiva costantemente, con cadenza quotidiana, l’ambito della pallacanestro nel settore dilettantistico, mentre gli altri giornalisti che seguivano il basket si occupavano della squadra del (OMISSIS); che egli doveva fornire alla redazione risultati e commenti sugli eventi relativi al basket, in forza della direttiva del direttore. In conseguenza, la Corte territoriale riteneva la fattispecie sussumibile nel caso identificato dalla giurisprudenza di questa Corte come ((rapporto di collaborazione fissa”. Dagli elementi acquisiti emergeva secondo il giudice di appello l’esistenza di un obbligo da parte dello S. di fornire un determinato numero di articoli e di assicurare l’acquisizione delle notizie nel particolare settore in cui egli era esperto – basket dilettantistico e semiprofessionistico – coprendo l’esigenza informativa del giornale in quello specifico ambito. Inoltre, risultava che la trasmissione degli articoli alla redazione avveniva in modo costante e continuativo, senza che potesse ipotizzarsi una successione di singoli incarichi. Di qui, la conclusione che il giornalista rimanesse a disposizione della testata nell’intervallo tra una prestazione e l’altra e che dunque, assicurando la continua copertura della specifica esigenza informativa del giornale, egli fosse stabilmente inserito nell’organizzazione del giornale per cui lavorava.

5. Avverso la citata sentenza della Corte territoriale la società EPLOS propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’INPGI resiste con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Con il primo motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con altri soggetti giuridici in concorrenza con la stessa società ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Con il secondo motivo la EPLOS lamenta ancora l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, quale la sussistenza di un contratto di collaborazione di natura autonoma con il giornalista in questione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. I due motivi, che attengono a pretesi vizi di motivazione della sentenza impugnata, possono essere esaminati congiuntamente.

5. Entrambi presentano evidenti profili d’inammissibilità, in particolare per mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso in cassazione, giacchè essi si limitano a contestare genericamente vizi motivazionali della sentenza impugnata, riproponendo le argomentazioni già fatte valere nei gradi di merito.

6. Come questa Corte ha affermato in particolare con la sentenza a Sezioni Unite n. 8053 del 2014, il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nuovo n. 5, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

7. La parte ricorrente dovrà, quindi, indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso. Tali elementi mancano nel ricorso, che si limita ad evocare, quanto al primo motivo, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato del giornalista S. con la società Telesettelaghi s.r.l., oltre a riferirsi a prove testimoniali attestanti varie circostanze ritenute rilevanti per dimostrare la mancanza di continuità della presenza dello S. al Giornale, la brevità della stessa e la mancanza di vincoli, e, quanto al secondo, che la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare l’esistenza di un accordo di lavoro autonomo, che espressamente escludeva la sussistenza di un vincolo di subordinazione, senza le precise indicazioni richieste dai principi giurisprudenziali suindicati, cui il Collegio intende dare continuità.

8. In ogni caso le circostanze invocate mancano all’evidenza di decisività. Vero è che il ricorrente, pur denunciando, formalmente, un insanabile deficit motivazionale della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) così come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, mostrando in tal modo di aspirare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

9. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso è quindi complessivamente da rigettare.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

11. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020

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