Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15634 del 22/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 22/07/2020), n.15634

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18014/2018 proposto da:

SICURITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 3, presso lo

studio dell’avvocato ANGELO MARTUCCI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LUIGI GRANATO;

– ricorrente –

contro

Z.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato FABIO MASSIMO ORLANDO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 779/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/04/2018 r.g.n. 74/2018.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Milano, con ordinanza del il 9 giugno 2017 ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso fra le parti con la condanna di SICURITALIA S.p.A. al pagamento della indennità risarcitoria;

che, il medesimo ufficio, con sentenza n. 3377 del 15 dicembre 2017, ha rigettato l’opposizione di SICURITALIA S.p.A. L. n. 92 del 2012, ex comma 51, art. 1, ha detratto dalle 18 mensilità della retribuzione globale di fatto liquidate nell’ordinanza la somma di Euro 1.828,24 a titolo di aliunde perceptum ed ha aggiunto la condanna di SICURITALIA s.p.a. al pagamento a Z.P. dell’indennità sostitutiva del preavviso per Euro 817,15, oltre alle spese del grado;

che la Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 74/2018, respingendo il reclamo proposto da Sicuritalia, ha confermato la sentenza di primo grado;

che a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha ritenuto di concordare con il giudice di prime cure, quanto alla violazione, da parte di SICURITALIA s.p.a., dell’obbligo di cd. “repèchage” in relazione al licenziamento dello Z. (avvenuto, poichè questi, in seguito a malore, non aveva più ottenuto il rilascio del porto d’armi, condizione necessaria allo svolgimento delle sue mansioni di guardia giurata).

La corte, in particolare, dopo aver richiamato gli orientamenti del diritto vivente al riguardo, ha osservato come nel caso di specie, a fronte della allegazione, indicazione, da parte del lavoratore, di varie collocazioni lavorative che avrebbero potuto essergli attribuite, l’azienda, pur eccependone l’indisponibilità, non ha adempiuto alla prova relativa.

In particolare la corte ha evidenziato come la società non abbia adempiuto al proprio onere di prova nè relativamente a posizioni inferiori (che il lavoratore si era dichiarato disposto ad occupare) nè con riguardo ai neoassunti, ed ha quindi confermato la decisione di prime cure quanto alla somma riconosciuta al lavoratore, alla luce delle circostanze concrete e del fatto che il lavoratore avesse espresso la propria disponibilità ad accontentarsi di qualunque mansione disponibile, con qualunque orario e con qualunque paga e del fatto che tale richiesta fu sempre respinta da SICURITALIA s.p.a. senza addurre alcuna motivazione.

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la SICURITALIA SPA, affidato a otto motivi;

che Z.P. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte che entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:

1) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al doc. sub 23 prodotto dalla ricorrente nella fase opposizione L. n. 92 del 2012, ex art., comma 51, in cui sarebbe incorsa la Corte Territoriale, avendo erroneamente valutato e travisato la prova documentale offerta nel giudizio di 1 grado;

2) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115,116 c.p.c. e art. 24 Cost., in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello di Milano nel ritenere inammissibile la prova testimoniale offerta dalla ricorrente ai capitoli da 1 a 13 e da 29 45 indicati nel ricorso L. n. 92 del 2012, art., comma 58, già riportati nel ricorso L. n. 92 del 2012, ex art., comma 51 e nel verbale di udienza del 19/10/17 del giudizio RGL 6802/17;

3) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione

tra le parti in relazione in relazione alla omessa ammissione dei mezzi istruttori;

4) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 120 CCNL Istituti di Vigilanza in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello di Milano ritenendo dovuta allo Z. l’indennità sostitutiva del preavviso;

5) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., poichè la Corte d’Appello di Milano non avrebbe motivato il rigetto del motivo di reclamo avente ad oggetto l’erronea condanna di Sicuritalia Spa al pagamento in favore del Sig. Z. dell’indennità sostitutiva del preavviso.

6) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 5 e 7 e comunque, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello di Milano respinto il motivo di reclamo avente ad oggetto la quantificazione dell’indennità risarcitoria dovuta allo Z.;

7) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 18,artt. 115,116 c.p.c., art. 2729 c.c., in cui sarebbe incorsa la corte nella quantificazione dell’aliunde perceptum, e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso accertamento in ordine alle somme percepite dallo Z. da terzi in data successiva al licenziamento;

8) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al contenuto del ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, segnatamente per avere ritenuto la corte di appello di non poter procedere alla correzione del dispositivo della sentenza, in relazione all’aliunde perceptum (contenente un evidente errore poichè quantificato nella motivazione in termini di Euro 2400,00 lordi, e – invece – riportato nel dispositivo in termini di Euro 1828,24 lordi), poichè la doglianza non sarebbe stata riportata nei motivi di reclamo, nonostante – invece – a pagina 35 del ricorso la parte avesse esplicitamente formulato la doglianza;

Che il ricorso deve essere rigettato con eccezione dell’8^ motivo;

che il primo, il terzo, il sesto motivo, nella sua seconda parte, il settimo, nella sua seconda parte, i quali, per ragioni di connessione logico-giuridica (poichè in tutti il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione) possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili;

E infatti “..Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un nuovo e diverso vizio specifico (non essendo più consentita la censura di insufficiente o contraddittoria motivazione, cfr. Cass. sez. un. 14477/15) che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053, Cass. n. 13798/17, etc.). Il presente ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, limitandosi in sostanza a richiedere un inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito alla luce delle risultanze istruttorie.

Deve poi evidenziarsi che le varie censure inerenti la motivazione della sentenza impugnata sono inammissibili in base al principio della cd. “doppia conforme”, risultando il fatto ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014);

Va poi ricordato che in tema di accertamento dei fatti allegati dalle parti, i vizi di motivazione deducibili con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche nel testo previgente la novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, non possono riguardare apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti, poichè, a norma dell’art. 116 c.p.c., rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Tale operazione, che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non è consentita davanti alla corte di cassazione, neanche quando il giudice di merito abbia posto alla base del suo apprezzamento massime di esperienza, potendosi in tal caso esercitare il sindacato di legittimità solo qualora il ricorrente abbia evidenziato l’uso di massime di esperienza inesistenti o la violazione di regole inferenziali (Cass. n. 18665/17). In particolare:

– il primo motivo, con il quale la ricorrente si duole del fatto che la corte non abbia esaminato il documento decisivo, da cui sarebbe emersa la prova della incollocabilità del ricorrente in mansioni diverse è inammissibile, non solo, per la sua genericità e aspecificità (dalla mera lettura del motivo di ricorso, invero, emerge come la ricorrente, senza confrontarsi realmente con la motivazione assunta dalla corte, e senza dunque porre in la decisività di tale documento, si limiti, attraverso l’invocato riesame dello stesso, a chiedere una diversa valutazione dei fatti di causa, rispetto a quella ragionatamente condotta dalle corti di merito) ma anche perchè non rispettoso del disposto dell’art. 384 ter c.p.c., comma 5, come interpretato dalla giurisprudenza di questa corte, in caso di “doppia conforme” (v. per tutte Sez. L -, Ordinanza n. 6544 del 06/03/2019);

Analoghe considerazioni possono essere svolte per il terzo motivo con il quale il ricorrente si duole dell’omessa istruttoria, in sostanza richiedendo una revisione del merito della decisione con la quale concordemente i giudici di merito hanno ritenuto correttamente istruita la causa, come ampiamente chiarito non ammissibile, e per la seconda parte del sesto motivo con il quale il ricorrente si duole, genericamente, dell’omesso esame delle risultanze di causa chiaramente auspicando una valutazione difforme delle stesse, nonchè la seconda parte del settimo motivo relativa all’omesso accertamento delle somme percepite dal lavoratore in data successiva al licenziamento (anche relativamente a tale ultimo profilo deve essere affermata l’inammissibilità per tutte le ragioni sopra evidenziate;

Anche gli altri motivi, con i quali sono dedotti violazioni di legge, e che possono essere esaminati congiuntamente, per connessione logico giuridica, ossia il secondo, il quarto, il quinto il sesto prima parte, il settimo prima parte) sono infondati.

Ed infatti tutti i motivi proposti ancorchè denunciando formalmente anche violazioni di norme di diritto, si risolvono in una richiesta di rivalutazione e rivisitazione delle emergenze ed istanze istruttorie, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata particolarmente ampia ed esauriente, oltre che logica ed inerente tutti i profili oggi denunciati;

in termini generali deve infatti osservarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394;

Deve poi considerarsi (cfr. di recente Cass. n. 13798/17, Cass. n. 21455/17) che il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge uno o più fatti ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame).

Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 1788/11, Cass. n. 7948/11) ineriscono ad un vizio della motivazione pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di fatti storici decisivi, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

le considerazioni svolte valgono per tutti i motivi in esame e segnatamente:

– il secondo motivo con il quale la ricorrente si duole del provvedimento con il quale la corte d’appello di Milano ha ritenuto di non ammettere la prova testimoniale e ha fondato la decisione in ordine alla violazione del “repechage”, sulla base del solo dato documentale, è inammissibile o infondato, alla luce del principio espresso ripetutamente da questa Corte, secondo cui il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011).

– il quarto motivo, con cui la ricorrente, pur deducendo formalmente una violazione di legge, chiede una rivisitazione della decisione (quanto all’indennità sostitutiva del preavviso), senza peraltro produrre integralmente la norma contrattuale che assume violata e perciò incorrendo nel vizio di aspecificità;

E’, del pari, inammissibile il quinto motivo con il quale la ricorrente si duole dell’omessa motivazione quanto al motivo di reclamo relativo alla condanna in favore del lavoratore dell’indennità sostitutiva del preavviso, prospettando una nullità della sentenza ex art. 360, n. 4;

in primo luogo il motivo è irrispettoso del canone dell’autosufficienza atteso che, nel caso in cui ci si dolga di una omessa pronuncia, è indispensabile innanzitutto dettagliare nel corpo del motivo i fatti processuali che la sostanziano e, quindi, i contenuti dell’atto che contiene la domanda o l’eventuale motivo di appello su cui il giudice non si sarebbe pronunciato (Cass. n. 2886 del 2014; Cass. n. 14561 del 2012). Nel medesimo senso si è affermato (Cass. n. 317 del 2002 e Cass. n. 3547 del 2004) che la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su di una domanda, ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, di specificare quale sia il “chiesto” al giudice del gravame sul quale questi non si sarebbe pronunciato, non potendosi limitare ad un mero rinvio all’atto di appello, atteso che la Corte di cassazione non è tenuta a ricercare al di fuori del contesto del ricorso le ragioni che dovrebbero sostenerlo, ma può accertarne il riscontro in atti processuali al di fuori del ricorso sempre che tali ragioni siano state specificamente formulate nello stesso.

Inoltre il motivo, con cui si denuncia un error in procedendo in cui sarebbe incorso il giudice distrettuale nel non esaminare talune questioni sollevate in primo grado, risulta privo della necessaria decisività che, come ricorda da ultimo Cass. n. 16102 del 2016, avuto riguardo all’art. 360-bis c.p.c., n. 2, là dove implica che la violazione di norme del procedimento determini quella dei principi regolatori del giusto processo, “nell’unica lettura possibile per dare alla previsione un senso” comporta proprio che detta violazione abbia svolto un ruolo decisivo, dovendosi dimostrare che l’omessa pronuncia riguarda “una quaestio iuris astrattamente rilevante”;

invero per costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, il vizio processuale deve necessariamente influire, in modo determinante, sulla sentenza impugnata, nel senso della necessità che la pronuncia stessa – in assenza del vizio denunciato – non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata (v. per tutte: Cass. n. 22978 del 2015); infatti la lesione delle norme processuali non è invocabile in sè e per sè, essendo viceversa sempre necessario che la parte che deduce siffatta violazione adduca anche, a dimostrazione della fondatezza, la sussistenza di un effettivo pregiudizio conseguente alla violazione medesima (Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009), poichè alla radice di ogni impugnazione deve essere individuato Un interesse giuridicamente tutelato, identificabile nella possibilità di conseguire una concreta utilità o un risultato giuridicamente apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata, e non già un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica non avente riflessi effettivi sulla soluzione adottata (Cass. n. 18074 del 2014; Cass. n. 7394 del 2008; Cass. n. 13091 del 2003); pertanto sovente si trova dichiarato che dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per cui la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio (v., per tutte, Cass. n. 26157 del 2014, la quale aggiunge che l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata);

nel caso di specie, peraltro, la corte di appello ha sul punto adeguatamente motivato quanto alla indennità di preavviso (cfr. 58) risultando il motivo dunque, ancora una volta, una sollecitazione ad un diverso giudizio, inammissibile presso questa corte, per le plurime ragioni evidenziate.

Analogamente deve argomentarsi per il sesto motivo prima parte, e per il settimo motivo prima parte, ove, rispettivamente per il primo, neppure si evince quale sia la norma asseritamente violata, risultando solo la ricorrente sollecitare un nuovo e diverso inammissibile giudizio in ordine all’aliunde perceptum rispetto a quello motivatamente espresso dalla corte, e per il secondo vengono formulate plurime censure di violazione e falsa applicazione di legge trascurandosi di considerare che il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

che diversamente occorre argomentare, invece, quanto all’ottavo motivo, relativo all’omissione in cui è incorsa la corte nell’esame della parte del ricorso (pag. 35) con la quale l’appellante, sul rilievo dell’errore materiale commesso dal giudice di primo grado sull’aliunde perceptum (quantificato nella motivazione in termini di Euro 2400,00 lordi, e – invece – riportato nel dispositivo in termini di Euro 1828,24 lordi), ne chiedeva la correzione (negata dalla corte poichè la doglianza non sarebbe stata trasposta dei motivi di reclamo).

Ed infatti parte ricorrente ha allegato, producendo nel fascicolo di cassazione il relativo atto, di avere, a pagina 35 del ricorso, indicato l’errore, chiedendone la correzione.

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, con eccezione dell’ottavo motivo, in relazione al quale la sentenza impugnata deve essere cassata, disponendosi con decisione nel merito, la detrazione della somma di Euro 2400,00 lordi dall’indennità risarcitoria liquidata in favore di Z.P. a titolo di aliunde perceptum;

che al rigetto segue la condanna della ricorrente, secondo il principio della soccombenza, nel caso di specie prevalente, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità e dei giudizi di merito;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie l’ottavo motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, detrae dall’indennità risarcitoria liquidata in favore di Z.P., a titolo di aliunde perceptum, la somma di Euro 2400,00 lordi; condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000, 00 per compensi dovuti per il primo grado, in Euro 6000,00 per compensi dovuti per il grado di appello e in Euro 200,00 per esborsi, in Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre al rimborso delle spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020

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