Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15632 del 15/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 15/07/2011), n.15632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19740-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PILEGGI ANTONIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.A.;

– intimata –

e sul ricorso 20620-2007 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 484/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/07/2006 R.G.N. 6210/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato BUTTAPOCO ANNA per delega PILEGGI ANTONIO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per inammissibilità del ricorso

principale e sospensione del giudizio in attesa di decisione della

Corte Costituzionale.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 5.7.2006, in accoglimento dell’appello di I.A. per quanto di ragione, dichiarava la nullità dei contratti intercorsi tra la predetta e la s.p.a. Poste Italiane dal 14,10.1997 al 31,1,1998, dal 8.6.1998 al 30.9.1998 per espletamento del servizio in concomitanza di ferie, dal 27.10.1998 al 20.11999 per esigenze eccezionali, nonchè della proroga sino al 30.4.1999, e dichiarava la trasformazione dei singoli rapporti in unico rapporto a tempo indeterminato dal 31.4.1999, condannando la società, in favore dell’ I., al risarcimento de danno, pari alle retribuzioni dalla data di messa in mora del 10.10.2000 fino alla scadenza del triennio dalla scadenza dell’ultimo contratto del 30.4.2002.

Rilevava la Corte territoriale che i contratti stipulati in virtù dell’accordo del 25.0.1997 erano illegittimi in quanto, da un lato, la società non aveva dimostrato, per quello stipulato anteriormente al 30.4.1998. il nesso di causalità tra le singole assunzioni e le ragioni indicate nei contratti e, dall’altro, in quanto, successivamente al 30.4.1998, l’accordo del 25.9.97 era scaduto e non era più in atto la contrattazione autorizzatola.

Propone ricorso per cassazione la società con tre motivi, lamentando, con il primo di essi, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 1362 c.c. e ss.. L’insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine alla efficacia dell’accordo del 25.9.1997, integrativo dell’art. 8 ccnl 1994; con il secondo, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. n. 230 del 1962, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. n. 56 del 1987, art. 23 ed, infine, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c. e, con il terso, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 1217 e 1233. Resiste con controricorso la I., che propone, altresì ricorso incidentale, affidato ad unico motivo, con il quale denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226 1227 2094 e 2099 c.c., degli artt. 112, 114 e 432 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) e la insufficienza e contraddittorietà della motivazione su punto decisivo e controverso, in ordine all’ammontare delle retribuzione e, comunque, del risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Disposta, preliminarmente la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., deve rilevarsi che nella fattispecie va applicato l’art. 366 bis c.p.c. ratione temporis, trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 ed anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (cfr. fra le altre Cass. 24-3-2010 n. 7119, Cass, 16-12- 2009 n. 26364), osserva il Collegio che il ricorso risulta inammissibile per mancanza dei quesiti di diritto imposti dalla detta norma.

L’art. 366 bis c.p.c. infatti, “nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo l’iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione” (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).

In particolare, il quesito di diritto, in sostanza, deve integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4- 2009 n. 8463) e “deve comprendere l’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v.

Cass. 30-9-2008 n. 24339).

Pertanto, come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui nuovamente enunciato ex art. 384 c.p.c., “è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte” (v. Cass. SU. 26-3- 2007 n. 7258, Cass. 7-11-2007 n. 23153), non potendo, peraltro, il quesito stesso desumersi dal contenuto del motivo, “poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., consiste proprio nell’imposizione al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al migliore esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità” (v. Cass. 24-7-2008 n. 2040, cfr. Cass. S.U. 10-9-2009 n. 19444).

Orbene, nella fattispecie, la società ricorrente, che pur ha ampiamente illustrato i singoli motivi di ricorso, riguardanti sia asserite violazioni di norme di diritto che censure riferite all’art. 360 c.p.c., n. 5, non ha formulato alcun quesito ai sensi dell’art. 366 bis. c.p.c., nè ha prospettato, sia pure in modo sintetico, le ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Il ricorso principale va, pertanto, dichiarato inammissibile e conseguentemente, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, l’impugnazione incidentale deve dichiararsi inefficace, stante la tardività della stessa.

L’esito della controversia giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi: dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2011

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