Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15631 del 04/06/2021

Cassazione civile sez. I, 04/06/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 04/06/2021), n.15631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1394/2019 proposto da:

J.G.O., elettivamente domiciliato in Roma presso la

cancelleria civile della Corte di Cassazione rappresentato

dall’Avv.to Anna Lombardi Baiardini, elettivamente domiciliato in

Roma, presso Corte di Cassazione;

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PERUGIA, depositata il

20/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2021 da Dott. MELONI MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Perugia con decreto in data 20/11/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Perugia in ordine alle istanze avanzate da J.G.O. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorrente, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Perugia di essere fuggito dal proprio paese perchè era stato aggredito dai seguaci di (OMISSIS) più volte tanto da aver deciso di fuggire.

Il Tribunale di Perugia, che ha sentito il ricorrente di persona, in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito riteneva non attendibile la vicenda narrata e poco credibile il trasferimento da (OMISSIS); infine negava il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonchè una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Perugia il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 4,5,6,7,8,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,25 e 32, in quanto il Giudice Territoriale lo aveva ritenuto non credibile senza alcun valido motivo nonostante il circostanziato racconto reso in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e non aveva concesso la protezione sussidiaria in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,25 e 32; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5 e 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto il Giudice Territoriale non aveva ravvisato i presupposti per la concessione della protezione umanitaria ed era venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria in quanto il Giudice Territoriale non aveva approfondito mediante ricerche specifiche sui siti accreditati la situazione attuale ed aggiornata del paese.

I due motivi di ricorso sono inammissibili.

Anzitutto il ricorrente è stato ritenuto non credibile dal Tribunale di merito il quale ha motivato in ordine a tale accertamento. A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età (Cass. ord. 26921/2017).

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il racconto del ricorrente per essere credibile richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano “considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E) e tali requisiti secondo il giudice di merito non risultano presenti nella narrazione del ricorrente.

In ordine al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, relativo all’accertamento della situazione oggettiva relativa alla zona di provenienza, (cioè Edostate che è il luogo ove è nato il ricorrente in quanto il trasferimento a (OMISSIS) è stato ritenuto poco credibile) occorre considerare che il Tribunale territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali della persona tenuto anche conto dell’assenza di una situazione di conflitto generalizzata ex art. 14, lett. C), nello Edostate, (secondo le informazioni aggiornate ed i siti online consultati e citati della cui idoneità non vi è motivo di dubitare) e, stante la scarsa credibilità del ricorrente, anche delle ipotesi di cui all’art. 14, lett. A) e B).

Con il secondo motivo, riguardante la verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applica bile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. S.U. 2019/29460) il ricorrente censura l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente: tuttavia il ricorrente, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal giudice di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità, non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Con riguardo poi alle violenze subite nel paese di transito prima dell’arrivo in Italia, ossia in Libia, si deve ribadire che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008)nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese” (Cass. 15 maggio 2019, n. 13096; 6 dicembre 2018, n. 31676; 20 novembre 2018, n. 29875).

Per quanto poi riguarda l’integrazione raggiunta in Italia, il ricorrente assume di avere ora una occupazione regolare in Italia come attestato dal contratto di lavoro e busta paga allegati al ricorso per cassazione, ma non specifica il contenuto di tale documentazione nè quando prodotta nel giudizio di merito e la sua localizzazione nel fascicolo del giudizio stesso. Ne deriva l’inammissibilità della deduzione di tale circostanza di fatto che non risulta presa in esame dal giudice di merito. Peraltro, posto che l’accertamento rigoroso delle condizioni di partenza di privazione dei diritti umani nel paese d’origine è essenziale, ne consegue che il raggiungimento di un livello d’integrazione sociale, personale od anche lavorativa, nel paese di accoglienza può costituire un elemento di valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza di una delle variabili rilevanti della “vulnerabilità” ma non può esaurirne il contenuto. Non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d’origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare l’esistenza di una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili. Solo all’interno di questa puntuale indagine comparativa deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l’effettività dell’inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità. L’accertamento della situazione oggettiva del Paese d’origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale, costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere.

Nella fattispecie tale comparazione non appare possibile a causa del giudizio di non credibilità del ricorrente adeguatamente motivato alla stregua degli indicatori di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2021

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