Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15629 del 15/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 15/07/2011), n.15629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19780-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato CARRIERI MARIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4539/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/07/2006 R.G.N. 3440/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega CARRIERI MARIO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma, con sentenza 13.7.2006, rigettava l’appello proposto dalla spa Poste Italiane, ritenendo che, in relazione a contratto a tempo determinato stipulato tra le parti per il periodo 4.6.1999- 30.10.1999 “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, l’apposizione del termine a contratti a tempo determinato stipulati anteriormente al gennaio 2001 fosse nulla, avendo gli accordi attuativi dell’art. 8 ccnl 26.11.1994, previsto quale termine finale per procedere alle assunzioni quello del 30.4.1998 ed essendo venuta meno successivamente a tale data la contrattazione autorizzatoria.

Propone ricorso per cassazione la società con due motivi.

Resiste con controricorso la C. ed entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la società deduce la violazione e l’erronea applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), in relazione all’art. 1362 e ss. c.c., assumendo che il procedimento interpretativo non può non tenere conto dei principi che regolano il rapporto tra legge e contratto collettivo come delineato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 e che esclude che l’autonomia sindacale trovi limiti nella legge per quanto riguarda la tipologia delle nuove ipotesi di contratti a termine da introdurre. Il dato letterale degli accordi cd. attuativi non è evidente ed univoco e gli stessi sono da interpretare ne senso di prese d’atto della permanenza della ristrutturazione in atto, escludendosi l’intento delle parti sociali di volere stabilire una termine all’accordo. Evidenzia la violazione dei principi ermeneutici in tema di interpretazione della contrattazione di diritto comune, in quanto le parti non hanno mai pattuito un limite di validità temporale, ma hanno riconosciuto la persistenza delle esigenze aziendali retrostanti la causale in esame, riconoscendo la necessità di ricorrere ad assunzioni a tempo determinato anche oltre il limite temporale ritenuto operativo dalla Corte territoriale, nella persistenza delle indicate esigenze.

Formula, a conclusione della parte argomentativa del motivo come esposto, quesito di diritto, domandando se l’accordo de 25 9. 1995 non contiene in sè alcuna limitazione temporale in quanto integrativo della disciplina del c.c.n.l., per cui ha efficacia per l’intera durata di questo; se gli accordi e verbali intervenuti successivamente al 25.9.1997 e sino al 18.1.2001 non avevano natura negoziale, bensì meramente ricognitiva; se i termini individuati negli accordi successivi a quello 25.9.1997 non si riferiscono alla scadenza dell’autorizzazione a stipulare contratti a termine, ma alla durata delle assunzioni, una volta accertata la persistenza delle esigenze riorganizzative di cui all’accordo; se la posizione giuridica affermata in giudizio meritevole di tutela può definirsi di diritto quesito e quindi indisponibile da parte degli agenti contrattuali, qualora l’accertamento preliminare della sua esistenza non sia stata ancora oggetto di verifica giudiziale attraverso sentenza passata in giudicato.

Con il secondo motivo, la società denunzia la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 1217 e 1233 c.c., osservando che la situazione di mora accipiendi del datore non è determinata dall’istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione, prodromica solo all’instaurazione della controversia. Aggiunge che l’aliunde perceptum non poteva che essere genericamente dedotto dalla società e formula quesito di diritto, domandando se, per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro offrendo espressamente la prestazione lavorativa, nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 e ss. c.c..

li primo motivo di ricorso deve essere respinto.

Osserva il Collegio che Sa Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … ai sensi dell’art. 8 del ccnl del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento ai sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data a datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 dei c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rìmodulazìone degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base a tale orientamento consolidato ed ai valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n, 6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto a contratto de quo.

Quanto al secondo motivo di impugnazione, deve affermarsene la inammissibilità, atteso che il relativo quesito risulta in buona parte estraneo alle argomentazioni sviluppate e comunque del tutto astratto, rivelandosi privo di ogni riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato.

Infine, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere dalla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui i comma 7 della citata norma applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura dei controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

La soccombenza della società costituisce valido motivo per porre le spese di lite del presente giudizio a carico della stessa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2011

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