Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15627 del 22/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2020, (ud. 18/06/2019, dep. 22/07/2020), n.15627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10865/2015 proposto da:

SVILUPPO ITALIA CAMPANIA S.P.A., IN LIQUIDAZIONE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA DE VIVO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6506/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/10/2014 r.g.n. 2256/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza in data 30 settembre – 17 ottobre 2014 la Corte d’Appello di Napoli accoglieva soltanto per quanto di ragione il gravame proposto dalla S.p.a. Sviluppo Italia Campania avverso la pronuncia del 22 settembre 2010, mediante la quale il locale giudice del lavoro aveva accertato l’esistenza d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra l’anzidetta società e G.C., dalla data di stipula della prima assunzione con il contratto di somministrazione a partire dal 21 aprile 2004, con condanna della società al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal 16 settembre 2008, sicchè in parziale riforma della gravata pronuncia il risarcimento del danno veniva rideterminato in otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori ed ulteriori spese di lite;

della sentenza d’appello SVILUPPO ITALIA CAMPANIA S.p.a. in liquidazione ha chiesto la cassazione come da atto del 17 – 22 aprile 2015, affidando l’impugnazione a due motivi; il sig. G.C. è rimasto intimato;

parte ricorrente ha poi depositato memoria illustrativa, con allegati in copia taluni precedenti giurisprudenziali (sentenze della Corte d’Appello di Napoli – sezione lavoro – nn. 5782/2018 e 1675/2018).

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21,22 e 27, in ordine alle norme ed ai principi in tema di somministrazione di lavoro a tempo determinato, attesa la legittimità della causale ampia con riferimento all’indicazione nei contratti de quibus delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo anche se riferibili all’ordinaria attività esercitata dall’impresa utilizzatrice sul rilievo che la sentenza impugnata aveva negato la legittimità della causale indicata nei contratti di somministrazione lavoro intervenuti tra la società ADECCO (somministratrice) e la società ricorrente (utilizzatrice), ritenendosi che erroneamente la Corte territoriale avesse reputato necessaria l’indicazione puntuale e specifica delle ragioni giustificatrici del ricorso alla somministrazione a tempo determinato, laddove le ragioni erano sempre state indicate nei contratti, avendo considerato come applicabile nel caso di specie la disciplina propria del lavoro a termine di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, ed altrettanto erroneamente abbia ritenuto necessaria la specificazione della causale, anzichè la sua mera indicazione fra le esigenze a tale scopo contemplate dalla legge anche in relazione all’ordinaria attività dell’utilizzatrice; con il secondo motivo è stata denunciata violazione e falsa applicazione dei D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., oltre che degli artt. 167,414,416,115 e 116 c.p.c., con riferimento alla violazione del principio di non contestazione delle risultanze documentali in riferimento alle mansioni del lavoratore e alla sussistenza d’un picco di produzione etiologicamente derivante dall’intensificazione dell’attività aziendale in ragione dell’incremento delle domande di finanziamento per l’autoimpiego e l’imprenditorialità giovanile e del progetto “reddito di cittadinanza”, sia in relazione al rigetto delle richieste istruttorie di parte datoriale;

tanto premesso, il ricorso va disatteso alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia, concernente casi analoghi a quello di cui è processo in questa sede (v. tra l’altro Cass. VI civ. – L n. 12455 del 23 marzo – 17 maggio 2017), dovendosi pertanto ribadire le argomentazioni, qui interamente condivise, svolte da Cass. lav. con sentenza n. 18046 del 20/05 – 20/08/2014 (considerazioni poi ancora confermate da Cass. VI civ. – L con ordinanza n. 6606/11.02-6.04.2016);

sebbene la somministrazione di lavoro trovi nel D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e segg. – e non nel D.Lgs. n. 368 del 2001 – la propria specifica disciplina, in ogni caso, la mera astratta legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non basta a rendere legittima l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una rispondenza tra la causale enunciata e l’effettiva assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti (cfr. Cass. 9.9.13 n. 20598);

quanto alla contestazione della necessità dell’esigenza di specificità, che giustifica il ricorso allo specifico strumento contrattuale, sostenendone la ricorrente la rilevanza solo con riguardo al contratto a termine diretto, la straordinarietà o eccezionalità dell’esigenza rispetto alla ordinaria attività dell’utilizzatore è cosa diversa dalla permanente necessità del carattere temporaneo dell’esigenza produttiva, che è richiesta anche per tale tipologia contrattuale;

non osta a tale ricostruzione – come sottolineato da Cass. n. 17540/2014 – la sentenza della CGUE 11.4.13, Della Rocca, emessa in sede di rinvio pregiudiziale, la quale ha escluso che la direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, NICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi anche al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale, derivando tale inapplicabilità solo dal tenore del preambolo dell’accordo quadro e dall’esistenza di altra più specifica regolamentazione (la direttiva 2008/104) per il contratto a termine che si accompagni ad un contratto interinale o di somministrazione e non già da una ritenuta sua incompatibilità ontologica, a tutti gli effetti, con un puro e semplice contratto a tempo determinato (cfr. sul punto Cass. n. 17540 cit.);

nella specie la Corte di merito (cfr. in part. le pagine da 8 a 12 dell’impugnata sentenza) ha rilevato in particolare l’assoluta e generale rilevanza del profilo individuale, che se da un lato svincola l’utilizzatore dall’osservanza di previsioni legali o contrattuali collettive tipiche, d’altro canto gli impone di dimostrare che le specifiche esigenze indicate nel contratto siano realmente sussistenti ed abbiano un’effettiva efficacia causale rispetto a quella determinata assunzione, all’uopo richiamando anche Cass. lav. 15 luglio 2011 n. 15610 in ordine all’effettività delle esigenze cui si ricolleghi l’assunzione del singolo dipendente, allo scopo di escludere il rischio di ricorso abusivo a forme sistematiche di sostituzione del personale atte a mascherare situazioni niente affatto rispondenti a quelle contemplate dalla norma che la causale;

nel caso esaminato la somministrazione a tempo determinato risultava avvenuta al di fuori delle condizioni previste dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, non essendo state specificamente enunciate le ragioni contemplate da detta norma, attesa l’estrema genericità, e quindi l’inconsistenza della causale giustificativa menzionata nel contratto del 21 aprile 2004, circa “casi previsti dal c.c.n.l. di categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice – picco di produzione”, che non consentiva quindi alcun reale controllo sulle ragioni poste a sostegno dell’intervenuto contratto a termine, nè l’indicazione delle mansioni (adibizione ai piani di investimento) permetteva di chiarire e precisare il significato di detta causale, di guisa che, inoltre, le rilevate carenze di carattere formale si riverberavano anche sul piano sostanziale – probatorio. In presenza di specifiche contestazioni da parte attrice circa la sussistenza delle esigenze, che avevano giustificato l’assunzione a termine, sarebbe stata necessaria una pertinente allegazione da parte della società utilizzatrice, che avrebbe quindi dovuto riempire di contenuto l’anzidetta estrema genericità della causale. Per contro, nulla di ciò era avvenuto, poichè la mera allegazione da parte convenuta di aver ottenuto fondi a seguito di Delib. CIPE 9 maggio 2003, non giustificava l’assunzione a termine, a distanza di un anno circa, di lavoratore addetto proprio all’attività ordinaria cui dovevano essere adibiti i dipendenti a tempo indeterminato della SVILUPPO ITALIA CAMPANIA in ordine all’istruttoria di piani d’investimento prodotti dalle imprese al fine di ottenere finanziamenti. Pertanto, proprio la natura permanente, e non transitoria, dell’esigenza posta a fondamento dei contratti in argomento, oggetto del giudizio, dimostrava l’insussistenza di un nesso causale tra l’assunzione a termine dell’appellato (aprile 2004) e la menzionata esigenza richiamata nel contratto de quo;

in definitiva, la mancanza di idonea specificazione delle esigenze impediva di verificare la riferibilità della causale alle ragioni previste dalla legge come legittimanti il ricorso alla somministrazione di lavoro temporaneo, per cui le argomentazioni svolte al riguardo dal giudice del gravame appaiono congrue ed immuni da vizi di carattere logico-giuridico; quanto poi alla corrispondenza, non rilevata dai giudici di merito, che invece, secondo la ricorrente, sarebbe emersa dalla mancata contestazione, da parte convenuta delle risultanze documentali in base alle quali doveva considerarsi provata, in riferimento alle mansioni del lavoratore, la sussistenza d’un picco di produzione eziologicamente derivante dall’intensificazione dell’attività aziendale, sul punto, in primo luogo, si rilevano inammissibili difetti di specificità e di autosufficienza, in violazione di quanto invece previsto dall’art. 366 c.p.c., in proposito, non essendo stati tra l’altro ritualmente riprodotti i motivi dell’appello a suo tempo proposto dalla società, attuale ricorrente;

per altro verso – in conformità a quanto affermato da Cass. 18046/2014 cit. – la doglianza muove da un’errata ricostruzione del principio di non contestazione. Invero, come specificamente rilevato sul punto nella motivazione della sentenza qui impugnata circa le contestazioni di parte attrice, il lavoratore istante aveva già negato che nel proprio caso vi fossero in concreto ragioni che avrebbero giustificato il ricorso alla somministrazione di lavoro, di guisa che non doveva formulare altra specifica contestazione a fronte delle contrarie allegazioni della società resistente. In altre parole, la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore medesimo l’onere di “contestare la altrui contestazione”, dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo (v. anche Cass. lav. n. 6183 del 14/03/2018: la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore l’onere di “contestare l’altrui contestazione”, dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo);

del resto, l’onere di contestazione concerne soltanto le allegazioni in punto di fatto contenute negli atti difensivi della parte avversaria, ma non i documenti da questa prodotti (che è cosa processualmente diversa), rispetto ai quali rileva unicamente l’onere di un eventuale disconoscimento, nei casi e nei sensi di cui all’art. 214 c.p.c., o quello di proporre – se del caso – querela di falso ex art. 221 c.p.c., mentre la loro significatività o valenza probatoria può essere oggetto di discussione fra le parti in ogni momento, così come può essere autonomamente valutata dal giudice (cfr. Cass. III civ. n. 16908 del 27/06/2018: l’onere di contestazione concerne le sole allegazioni assertive della controparte e non anche il contenuto dei capitoli della prova testimoniale, posto che da questi ultimi è possibile trarre elementi di prova solo in quanto siano stati ammessi e confermati dal teste. Parimenti, secondo Cass. Sez. 6 – L, ordinanza n. 3126 in data 01/02/2019, l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non le prove assunte, la cui valutazione opera in un momento successivo alla definizione dei fatti controversi ed è rimessa all’apprezzamento del giudice.

V. altresì Cass. III civ., ordinanza n. 3022 – 08/02/2018: l’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all’art. 214 c.p.c., o di proporre – ove occorra – querela di falso, con la conseguenza che gli elementi costitutivi della domanda devono essere specificamente enunciati nell’atto, restando escluso che le produzioni documentali possano assurgere a funzione integrativa di una domanda priva di specificità, con l’effetto – inammissibile – di demandare alla controparte – e anche al giudice – l’individuazione, tra le varie produzioni, di quelle che l’attore ha pensato di porre a fondamento della propria domanda, senza esplicitarlo nell’atto introduttivo.

In senso conforme, id. n. 12748 del 21/06/2016: l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, nè la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice. V. altresì analogamente Cass. Sez. 6 – L, ordinanza n. 6606 del 6/4/2016: l’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, o di proporre querela di falso, restando in ogni momento la loro significatività o valenza probatoria oggetto di discussione tra le parti e suscettibile di autonoma valutazione da parte del giudice);

peraltro, non gioverebbe alla ricorrente neppure intendere il tenore della doglianza di cui al secondo motivo come sostanziale denuncia di travisamento delle risultanze processuali e/o di vizio di motivazione, trattandosi di critiche comunque non riconducibili ad alcuna di quelle consentite dal vigente art. 360 c.p.c., nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, la cui nuova formulazione (qui ratione temporis applicabile, ai sensi del cit. art. 54, comma 3, in relazione all’impugnata sentenza, risalente all’anno 2014) rende denunciabile per cassazione il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, nei termini in cui ciò è stato meglio chiarito nelle pronunce di questa Corte a s. u. 7 aprile 2014 nn. 8053 e 8054;

nella vicenda processuale in oggetto è innegabile che il fatto allegato come ragione giustificativa del ricorso alla somministrazione di lavoro in relazione alle mansioni assegnate al G. è stato senz’altro esaminato dalla Corte di merito, le cui valutazioni restano, ad ogni modo, insindacabili in sede di legittimità, laddove inoltre l’anzidetto apprezzamento in termini di genericità si è pure ripercorso sulle richieste di carattere istruttorio avanzate dalla società, con inevitabile incidenza quindi sulla stessa ammissibilità e rilevanza della prova testimoniale articolata dalla stessa parte;

pertanto, il ricorso va rigettato, peraltro senza alcun regolamento in ordine alle relative spese, nonostante la soccombenza della società ricorrente, visto che il sig. G. è rimasto intimato e comunque non ha svolto alcuna attività difensiva in questa sede; atteso, infine, l’esito del tutto negativo dell’impugnazione qui proposta, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte RIGETTA il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020

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