Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15626 del 22/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2020, (ud. 21/05/2019, dep. 22/07/2020), n.15626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28902/2015 proposto da:

Z.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICCARDO

GRAZIOLI LANTE 7, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MOROSINI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CO.TRA.L. COMPAGNIA TRASPORTI LAZIALE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ROCCA SINIBALDA 10, presso lo studio dell’avvocato MARIA CERBARA,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5466/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/10/2015 R.G.N. 2155/2012.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

Fatto

RILEVA

Che:

CO.TRA.L. S.p.a. appellava la sentenza, n. 15625/2011, con la quale giudice del lavoro di Roma in parziale accoglimento della domanda proposta dal dipendente sig. Z.M., respinta la domanda principale, volta ad ottenere il riconoscimento del vantato diritto al superiore inquadramento invocato, accoglieva quella proposta in via gradata, per l’accertamento del diritto alla qualifica di cui al parametro 193 dell’area professionale 2, amministrazione e servizi, condannando per l’effetto la convenuta società al pagamento delle differenze retributive, da quantificarsi in separata sede, relativamente al periodo primo gennaio 2001 – sei ottobre 2011, oltre accessori e rimborso spese, in dipendenza delle superiori mansioni svolte;

la Corte di Appello di Roma con sentenza n. 5466/15 in data 24 giugno – 15 ottobre 2015, notificata il 9 novembre 2015, in riforma dell’impugnata pronuncia, accogliendo il gravame interposto dalla COTRAL, rigettava la domanda dell’attore, condannando l’appellato al pagamento delle spese di lite, relative ad entrambi i gradi del giudizio;

avverso la decisione d’appello ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il sig. Z. con atto notificato il 14 dicembre 2015, affidato a quattro motivi, cui ha resistito CO. TRA. L. S.p.a. – Compagnia Trasporti Laziali – mediante controricorso in data 18 gennaio 2016.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo è stata denunciata dal ricorrente, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte d’Appello completamente disatteso l’unica domanda residuata all’esito della sentenza di primo grado, ovvero il vantato diritto a percepire il trattamento economico corrispondente alle superiori mansioni sul presupposto dell’autonomia di tale diritto rispetto a quello relativo alla promozione, sul presupposto della mancata impugnazione in ordine alle altre pretese, rinunciate, di modo che la Corte capitolina aveva errato nell’identificazione della statuizione contenuta nella precedente decisione, essendole sfuggito il raffronto della sentenza di primo grado con l’oggetto specifico del processo d’appello. Di conseguenza, attesa la diversità del diritto alla promozione (o meglio, all’invocato superiore inquadramento), il giudice era incorso in omessa pronuncia, perciò in violazione dell’art. 112 c.p.c.;

con il secondo motivo il ricorrente ha lamentato, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro (c.c.n.l. autoferrotranvieri), con specifico riguardo alla erronea mancata riconduzione delle mansioni svolte da esso Z. a quelle indicate dalla declaratoria dell’area professionale 2, concernente le mansioni di coordinamento e specialistiche, attesa l’errata interpretazione di detta declaratoria, che assumeva valore determinate circa l’effettiva portata degli specifici profili professionali e del correlato diritto al pagamento della corrispondente retribuzione, laddove le attività richieste potevano essere svolte anche con l’applicazione di competenze tecnico/scientifiche richiedenti un adeguato livello di professionalità, avendo l’interessato partecipato a numerosi corsi di formazione professionale promossi dall’azienda, tenuto conto delle previsioni di cui all’art. 2 del c.c.n.l. per le aziende della mobilità 2000-2003 con riferimento allo specialista tecnico – amministrativo, nonchè dell’art. 2 dell’accordo nazionale 27-112000 riguardo al profilo di collaboratore di ufficio par. 175. Ed il collegio giudicante era incorso nell’errore decisivo di non aver saputo contemperare il profilo del materiale probatorio offerto con la normativa di riferimento;

con il terzo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 148 del 1931, art. 18, all. A, in relazione al trattamento economico per le mansioni superiori di fatto svolte ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove non era stato riconosciuto lo svolgimento di mansioni superiori per oltre sei mesi, l’esistenza del posto vacante e di un ordine di servizio aziendale per lo svolgimento delle mansioni superiori, tanto in relazione al connesso invocato trattamento economico. La sentenza impugnata risultava errata nella parte in cui la decisione si fondava unicamente sull’analisi della ricorrenza o meno del diritto alla promozione, però senza considerare che la Corte d’Appello era stata investita soltanto della valutazione circa il diritto al riconoscimento economico;

infine, con il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’impugnata sentenza è stata censurata per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio omessa valutazione delle risultanze istruttorie, non essendo stato correttamente valutato quanto emerso dall’istruttoria, sia con riferimento alle prove costituende che alle prove costituite, in quanto i giudici investiti del gravame avevano mancato di esaminare in maniera approfondita e circostanziata l’espletamento delle mansioni superiori siccome emerso dalla prova testimoniale, da cui si evinceva il coordinamento in concreto, con margini di discrezionalità e di iniziativa, di una unità operativa funzionale tecnico-amministrativa come il servizio manutenzione mezzi di (OMISSIS), con relativa responsabilità di risultati, unitamente al totale omesso esame dei documenti allegati, inerenti alla partecipazione a numerosi corsi di formazione indetti dall’azienda;

tanto premesso, le anzidette doglianze vanno disattese per le seguenti ragioni, dovendosi in primo luogo evidenziare la carenza di complete allegazioni, da parte ricorrente, per contro richieste a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, visto che non risultano adeguatamente riprodotti gli atti processuali di primo e secondo grado inerenti alle asserite omissioni e manchevolezze, cui per contro allude il ricorrente;

ciò chiarito, il primo motivo è comunque inammissibile, oltre che infondato, visto che trattandosi di error in procedendo, circa la pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., il relativo vizio andava, in ogni caso, ritualmente ed univocamente denunciato in termini di nullità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (non già quindi ex art. 3), nonchè riproducendo integralmente gli atti processuali relativi all’asserita omessa pronuncia, omissione invero nemmeno ravvisabile, avendo la Corte d’Appello pronunciato, come appare pacifico, nei limiti del gravame devolutole dalla società appellante, la quale aveva chiesto l’integrale rigetto della domanda avversaria, inclusa quindi, ovviamente, anche la sola pretesa creditoria riferita ad dedotto svolgimento di mansioni superiori, laddove, d’altro canto, la pronuncia dell’organo giudicante non poteva, evidentemente, prescindere dalla verifica in diritto delle mansioni in concreto svolte dal sig. Z., però comunque raffrontate alla correlativa declaratoria prevista dalla contrattazione collettiva. In altri termini, dato anche per scontato che la pronuncia d’appello doveva limitarsi a verificare la sola fondatezza della richiesta di differenze retributive connesse al dedotto svolgimento di mansioni superiori, perciò indipendentemente dal diritto ad ottenere il corrispondente inquadramento, ciò nondimeno la Corte investita del gravame sul punto non poteva di certo esimersi dall’accertare, sebbene incidentalmente, un tale diritto al fine di poter stabilire se l’asserita attività, tale da giustificare un maggior credito retributivo, corrispondesse o meno alle previsioni normative in proposito (derivanti dallo speciale regime per gli autoferrotranvieri, secondo legge e contrattazione collettiva);

deve, pertanto, escludersi la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., indipendentemente anche dalla sopra rilevata inammissibilità della censura, siccome formulata con il primo motivo di ricorso;

pure il secondo motivo presenta vizi di carattere formale, a causa della mancata allegazione del testo integrale della contrattazione collettiva e dei similari accordi di riferimento, cui rimanda l’anzidetta doglianza, visto inoltre che nell’indice in calce al ricorso (a pag. 18, sub n. 4), vi è il generico richiamo al “fascicolo di parte”, laddove per giunta nell’indice della produzione, recante il timbro di depositato a cura della cancelleria (risalente al 20 ottobre 2009), tra i 22 documenti ivi elencati al n. 21 figura unicamente “copia stralcio CCNL 27 novembre 2000”, in violazione perciò soprattutto di quanto per contro imposto a pena d’improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4;

invero, nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto soltanto con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica di questa S.C. e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.. Nè a tal fine può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti (Cass. lav. n. 4350 del 4/3/2015. V. in senso analogo pure Cass. I civ. ordinanza n. 15580 del 15/03 – 14/6/2018 – Rv. 649273, nonchè Cass. lav. come da ordinanza n. 6255/4.3.2019 V. ancora Cass. lav. n. 27876 del 30/12/2009: l’onere di depositare il testo integrale dei contratti collettivi di diritto privato, previsto a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non è limitato al procedimento di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 420-bis c.p.c., ma si estende al ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo alla necessità che la S.C. sia messa in condizione di valutare la portata delle singole clausole contrattuali alla luce della complessiva pattuizione, e dovendosi ritenere pregiudicata la funzione nomofilattica della S.C. ove l’interpretazione delle norme collettive dovesse essere limitata alle sole clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito. Conformi id. n. 2742 – 08/02/2010 e n. 3459 del 15/02/2010. Cfr., ancora, Cass. lav. n. 4373 del 23/02/2010: l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di detti atti. In senso analogo v. ancora Cass. lav. ordinanza n. 11614 del 13/05/2010. Parimenti, v. Cass. VI sez. – L, ordinanza n. 21366 del 15/10/2010, con principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, ed analogamente come da ordinanza n. 21358 del 15/10/2010, secondo la quale l’anzidetto deposito deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale);

gli anzidetti principi valgono tanto più nel caso di specie qui in esame, in quanto una valutazione globale della previsione della contrattazione collettiva sarebbe stata necessaria, onde porre a raffronto la declaratoria concernente l’area professionale 2, inerente a mansioni di coordinamento e specialistiche relativamente al parametro 193 con quella di appartenenza (di cui all’inquadramento secondo il profilo di collaboratore di ufficio – par. 175 / liv. III, area professionale 3), questione sottesa, evidentemente, a tutte le censure di parte ricorrente, tra loro connesse teleologicamente in relazione all’azionata pretesa creditoria;

per contro, la Corte di merito ha adeguatamente motivato la propria decisione, evidenziato in primo luogo come il primo giudicante avesse omesso di indicare in modo specifico le differenze sostanziali relative alle due qualifiche, mancando un preciso raffronto tra le declaratorie e le attività svolte per come emerse dall’istruttoria. Di conseguenza, richiamate le due declaratorie con i relativi parametri concernenti il profilo di collaboratore di ufficio e quello di cui al par. 193 per gli specialisti tecnici/ammnistrativi, analizzate le rispettive peculiarità e le loro diversità, unitamente alle deduzioni di parte attrice ed alle dichiarazioni rese dai testi D. e A. (le cui deposizioni, non apparivano chiarificatrici, pur avendo tra l’altro il primo fatto cenno anche alla sostituzione del collega V. da parte dello Z.) e C. (superiore gerarchico del ricorrente, dalla escussione del quale non emergeva l’ambito di autonomia operativa, necessaria e prevista dal parametro 193), la Corte d’Appello ha desunto la non specificità delle mansioni svolte dall’appellato e la conseguente sussumibilità di tali attività sotto il parametro ad egli già attribuito, perchè non riconducibili ad un’attività di “notevole contenuto professionale”, quanto piuttosto a compiti di tipo tecnico e/o amministrativo, visto che il significato dell’aggettivo “notevole” non poteva connotare mere operazioni ricognitive e di gestione come quelle descritte in sede di ricorso e confermate dai testi in istruttoria;

parimenti inconferente si appalesa il terzo motivo di ricorso, visto che la ratio decidendi dell’impugnata sentenza non è ancorata in alcun modo alla disciplina speciale di cui al R.D. n. 148 del 1931, sicchè non contiene alcun riferimento alla problematica relativa alla vacanza del posto ed alla esigenza di specifici ordini di servizio al fine di conseguire la promozione (cui allude il ricorrente), poichè la decisione di non riconoscere le invocate differenze retributive, come sopra visto, è scaturita essenzialmente dal motivato accertamento di merito circa il ritenuto difetto di prova (al cui onere, ovviamente ex art. 2697 c.c., era tenuto l’attore) della corrispondenza delle asserite maggiori mansioni alle peculiarità concernenti la declaratoria di cui al succitato parametro 193, comunque indispensabile per poter fondatamente vantare anche il solo diritto alle conseguenti differenze retributive;

inammissibile appare, inoltre, la quarta ed ultima doglianza, poichè nella specie non è stata ritualmente allegata, in modo specifico, alcuna circostanza fattuale decisiva, di cui la Corte di merito abbia omesso l’esame, avendo per contro la Corte dato atto, con sufficienti argomentazioni, delle ragioni tali da non poter validamente giustificare il riconoscimento delle pretese differenze retributive con riferimento alle mansioni effettivamente svolte dall’appellato, in basse alle previsioni della contrattazione collettiva di settore, avuto riguardo alle acquisite risultanze testimoniali, mentre per altro verso l’asserita omessa valutazione di documenti (però non corrispondenti ai fatti di cui al vigente art. 360 c.p.c., n. 5), invero vagamente enunciati (in violazione quindi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), siccome attinenti in effetti alla mera frequentazione di corsi di formazione professionale, appare del tutto estranea a specifica attività operativa in concreto svolta, quest’ultima esclusivamente rilevante ai fini dell’azionata pretesa creditoria (comunque, l’impugnata sentenza reca motivazione di certo non inferiore al c.d. minimo costituzionale, il cui vizio, in astratto, non è censurabile in base al vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella specie ratione temporis applicabile, con riferimento alla sentenza de qua risalente all’anno 2015, ma unicamente ex art. 360 c.p.c., n. 4, per l’eventuale violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., sempre che la doglianza risulti formalizzata univocamente in termini di nullità. V. a tal riguardo Cass. Sez. 6-3, n. 22598 del 25/09/2018: in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. V. analogamente Cass. n. 23940 del 2017, nonchè S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014. Cfr. altresì Cass. II civ. n. 10862 del 7/5/2018 nonchè Cass. sez. un. civ. n. 17931 del 2013);

invero, parte ricorrente nemmeno denuncia specifici errori d’interpretazione della contrattazione collettiva, pretendendo invece di confutare, inammissibilmente in questa sede di legittimità, quanto per contro apprezzato ed accertato nel merito dalla Corte territoriale, esclusivamente competente in proposito;

pertanto, il ricorso deve respinto, con la conseguente condanna della parte rimasta soccombente al rimborso delle spese del giudizio;

ricorrono, quindi, ricorrono anche i presupposti processuali di cui del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore di parte controricorrente, in Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020

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